Critica Sociale - Anno XXI - n. 15 - 1 agosto 1911

228 CRITICA SOCIALE ragioni idealistiche ed etiche, valorizzate al massimo grado da una particolare situazione storica. Le sue dimostrazioni economiche, d'altronde, non servivano affatto al suo contenuto filosofico; perciò, quando si parla di socialismo « superato », non si vuole in al- cun modo tener conto della provata erroneità di esse. I nascimenti e i tramonti d'idee hanno, ad ogni modo, cause molto complesse; nè è da escludersi assolutamente che la caduta del positivismo abbia po- tuto, quand'altro mancasse, lasciare non indistur- bato il socialismo sul suo trono. Le idee non tanto valgono per sè, quanto per la interpretazione e l'as- sociazione che il pubblico ne fa. Ed esse possono subire vicende, che le loro origini e il loro intrin- seco contenuto neppur facevano supporre. Ciò può pure toccare al socialismo, per i suoi artificiali ed artificiosi vincoli col positivismo. Ma noi ci terremo in un campo meglio definito, se guarderemo alla trasformazione dell'ambiente econo- mico-sociale, nel quale il socialismo marxistico si formò e venne alla luce. Ogni dottrina ha il suo momento storico propizio. Il socialismo l'ebbe nella vertiginosa fase iniziale ffell'éra capitalistica: fu quello il suo terreno di col- tura e di sviluppo. I suoi concetti filosofici, i suoi elementi ideali e sentimentali, invero, già vivevano, perché sono eterni quanto é eterno il mondo. Sap- piamo come Marx li utilizzò, li animò, li riempì di vita reale. Da « eterni n, li fece diventare « storici »; coagulò in storia la filosofia. Tanto, anzi, egli « sto- ricizzò » quegli elementi, con tanto magistero egli ne operò la metamorfosi in obbiettive forze econo- miche, che vi fu un momento — il quale, per qual- cuno, clùra ancòra — in cui noi non li scorgemmo più entro noi stessi, e credemmo orgogliosamente ad un socialismo dimostrato coi calcoli. Prendemmo la storia e ne facemmo una matematica. Accettammo il socialismo come una « fatalità 5: e ci sentimmo so- cialisti nostro malgrado. Era un'illusione. Noi subivamo soltanto la sugge- stione dei fatti, così potentemente e singolarmente dichiaratici da Marx. Nel modo di questa dichiara- zione era tutto il segreto della nostra entusiastica sicurezza. Ma, dopo l'incantesimo, dovemmo accor- gerci che la realtà era mutata: e ne soffrimmo, e credemmo di volgerla a noi interpretandola al modo antico, e ne serbammo un simbolo nelle parole che continuammo ad usare. Le miseide e i dolori del primo industrialismo, da cui ebbe origine il pensiero marxistico, sono ora scomparsi. Bisogna forse dedurne che debba scom- parire anche il socialismo? In nessun modo. Non è affatto vero, nella storia, che, cessata la causa, debba cessare anche l'effetto. La vita delle idee segue leggi tutte proprie. Non vive ancora, forse, il cristianesimo, distrutte le cause che ne determinarono la nascita? Anche il socialismo è sopravvissuto alle circostanze sociali che lo videro nascere. E vive, e può vivere an- cora, sia per proprio impulso ideale verso una ef- fettuazione non peranco compiuta, sia perchè alle scomparse condizioni di nascita sono succedute suffi- cienti condizioni storiche di vita; perché, in altri ter- mini, esistono sempre due classi in lotta, esistono sempre un proletariato e una borghesia, i cui rapporti economici e sociali, benchè mitigati nella loro pri- mitiva asprezza, restano fondamentalmente immulati. Certo, il socialismo non poteva rimanere del tutto insensibile alla disparizione della sua atmosfera na- tiva. Diciamo meglio: alla notizia di questa dispa- rizione; nerchè, in realtà, esso la conobbe, o volle conoscerla, molto tardi: allorchè dovè pure accorgersi che le previsioni e le teorie economiche di Marx era- no inesatte. Ma la scossa, che n'ebbe, non fu forte. Il suo idealismo era la sua corazza. Gli avversari suoi, i o senza fede », gridarono: « il socialismo è finito ». Ma chi crede ha ragione: e il socialismo non fini. Perdè soltanto il suo carattere fatalistico. Ma trovò di che sostituirlo. Il proletariato era vivo più che mai: e dal suo seno nacquero il pragmatismo riformistico, il volontarismo, il sindacalismo. Prima ancòra che codesta caduta di fatti e di prin- cipi ne offuscasse leggermente i sogni, il sociali- smo era minato da una causa di dissolvimento, tanto più impreveduta ed imprevedibile, quanto più era connaturata al suo stesso sviluppo, quanto più, anzi, del suo processo era il prodotto spontaneo e desi- derato. Il socialismo — lo sappiamo — visse da principio come pura ideologia, come filosofia etica. Diffuso in idea pel mondo, non fu, allora, combattuto con sirmi ugualmente ideologiche. Perseguitato negli apostoli, fece dei mistici e degli eroi. Il suo successo era an- che in questa sua virtù. La sua seduzione era anche nel suo pericolo. Ma, dopo aver vagato per alcun tempo nelle ampie luminosità del sogno, esso scese alfine in terra, creb- be, rassodò le ossa e sviluppò i muscoli; si gittò nei gorghi della vita vissuta e lottò, da prode; sollevò le plebi 'e le guidò alla vittoria; aggredì, ferì e fu ferito, cadde e si rialzò, non mai esausto, non mai vinto; e, più penetrò nella mischia, più si sentì pervaso di forza, acceso di vita, irradiato di gloria: la sua fiam- ma di moralità fu luce all'opera sua feconda. Nel primo momento, tutti ne fummo presi, e di lui vivifi- cammo la compagine lassa del nostro spirito; al suo contatto, ogni cbsa parve dovesse rinverdire, ogni istituto purificarsi, l'organismo sociale rifiorire: il progresso non era vana parola, nè il socialismo fan- tastica chimera... Il giorno, in cui il socialismo spicca il salto nella realtà, bello della sua maschia fierezza, secondato dai voti anonimi d'innumeri turbe, atteso alla prova dalle simpatie giovanili, avversato, temuto da tutto un mondo giudicato e condannato, quel giorno fu il mi- gliore e il più grande della sua vita, rappresentò il vertice della sua potenza spirituale. La seduzione di ogni ideale sta nella sua vita irreale, nel fantasma di cui esso consiste. Il suo fascino cresce portentosa- mente, sino al momento in cui il bisogno di concre- tarsi spinge l'ideale all'azione vittoriosa. L'azione con- trastata ed inefficace è ancora un ideale in potenza, e non ancora ne distrugge la magia, può anzi accre- scerla. L'azione che crea, l'azione che prolifica in una sfera di consentimento, è la forza via via negatrice dell'ideale. Tutto ci sorride finchè la speranza ci as- siste. Una speranza effettuata è una speranza distrutta. Un ideale in atto è un ideale che ha ucciso se stesso. Il giorno, in cui abbiamo creduto di dargli vita, noi l'abbiamo smarrito, e la nostra opera è diventata una sequela di espedienti, una successione di atti edoni- stici, privi d'anima e di luce. Il salto nella realtà è stato il salto nel buio. La realtà è nemica dell'ideale: e un ideale che la tocca è un ideale che si spegne.

RkJQdWJsaXNoZXIy