Critica Sociale - Anno XXI - n. 11 - 1 giugno 1911

166 CRITICA SOCIALB forma tributaria alla rappresentanza proporzionale, dal suffragio universale alle statizzazioni e mun.ici– palizzazioni, ecc.) per convincersi come queste non ridondino a solo vantaggio della classe proletaria, bensì di molto più vasta cerchia di cittadini. Vi po– trà essere una varia gradualità di vantaggi, ma in– negabilmente un interesse comune esiste e va al di là deJla sfera operaia. Se, pertanto, per operare nel senso della :rnspicata trasformazione sociale, non si può far conto sulla sola classe proletaria, che non è affatlo la quantità dinamica prevista dal Marx; se la società odierna ha una complessità e una interdipendenza di rapporti, che sempre più si allontanano dallo schematismo di coloro che primamente hanno invocala la lolla di classe come strumento di sempre crescenti e pro– fonde conquiste; se la leva di tutte le riforme con– seguibili deve poggiare su una base molto più larga di quella occupala dalle classi lavoratrici; - ne se– gue che il partilo socialista, se vuol tendere e avvi– cinarsi alla mèta, che si è prefissa, non può porsi dal solo angolo visuale del proletariato, bensì deve in– spirarsi a qualcosa di più ampio e elevato, deve es– sere il ceittro di forza e di attrazione della giustizia sociale, nel più profondo senso dell'espressione. So bene che queste parole, « giustizia sociale», faranno sorridere molti; ma esse, se hanno un con– tenuto innegabilmente idealistico, non contengono, almeno per me, alcun significato mistico e trascen– dentale: sono un'espressione analogica di quelli che si chiamano i diritti e gli interessi della maggioran– za dei cittadini, dell'utile generale, il quale non è altro che una nostra sintesi mentale, un ideale. Co– loro, che mi imputassero di cadere nel democrati– smo o, peggio, in una reversione del superato uto– pismo, farebbero una critica mollo superficiale al mio concetto; poichè io, certo, non mi aspetto la effettuazione del socialismo dalle classi parassitarie e monopolizzatrici, contro le quali dovrà essere con– dotta una guerra senza quartiere, e le quali incar– nano in sè la negazione della giustizia sociale; solo affermo che i vessilliferi di questa giustizia non pos– sono essere i soli proletarì, e che gli ideali sono forze Yive ed operanti nella società molto più di quel che non pensino i materialisti in genere e i marxisti in ispecie - dato che non vogliano contraddirsi. Onde ha pienamente ragione il Fouillée di aver scritto un libro per dimostrare che le idee sono delle forze. L'ideale è una sintesi, che la nostra coscienza fa e che continuamente contrappone alla grezza ma– terialità del fatto, quale è direttamente dato dal– l'esperienza. Ed è, appunto, in questa contrapposi– zione dell'idea al fatto, che noi ci distinguiamo da coloro, che sono puramente i descrittori dei feno– meni sociali, quali accadono e sono accaduti. 'Noi non ci accontentiamo di fare, di fronte alla società ._:_ per dirla con termini precisi - dei puri e sem– plici giudizi descrillivi; noi formuliamo anche dei giudizi valutativi, che sono ben più complessi e im– portanti della sola descrizione; essi si radicano in tul.la la nostra personalità psichica - inteJlelliva, volitiva, emozionale - e hanno un contenuto preva– lentemente emozionale, che è di somma imp_ortanza nella vita pratica. Il socialismo è un fenomeno ben più complesso della pura economia e non può essere giudicato alla stregua del mero punto di vista economico. Perciò esorbitano molto dal loro c6mpito quegli economisti BibliotecaGino Bianco che, in base alla loro scienza ~ fondala quindi su giudizi descrittivi - si -arrogano il diritto di giu– dicare il socialismo, che, in massima parte, si fonda su giudizi di valore. Appunto perchè, dal punto di vista del meccanismo materialistico, non si possono fare giudizi di valore, parlare di giustizia, d'ingiustizia o di ideali; appunto perchè, a mio avviso, il s·ocìalìsmo ha un carattere eminentemente idealistico; appunto perciò, anche il partito sociali-sta ha una ragion d'essere e una fun– zione perenne da compiere. Se fosse altrimenti, il partilo socialista rischierebbe di essere un duplicalo, non solo inutile, ma dannoso, della Confederazione del lavoro. È solo ispirandosi alla nlosofia idealistica (in definitiva bisogna sempre ricorrere ni concetti universali deJla filosona) che il partito (fermo l'at- , tenzionc sulla parola partito) può vantare i titoli alla propria esistenza. Lo stesso Engels, neJla piena maturità ciel suo pensiero, ha dovuto ammettere che i fattori etici e ideali - determinati da quelli materiali - reagisco– no, alla loro volta, su questi ultimi. Per un materia– lista, l'ammettere questa interdipendenza era già un allo di coraggio. Bisogna fare un passo più innanzi, e dire che i fattori elica-ideali (per usare l'impropria lerminologia engelsiana) hanno un primato e una superiorità sugli altri. In ciò si è all'unissono colla verità e colle più moderne correnti dell'indagine filo– sofìca. Col mio idealismo, non intendo staccarmi dalla realtà e dall'esperienza; non nego in alcun modo gli antagonismi di· gruppi o di classi, che entrano cer– tamente nel dinamismo sociale; solo aggiungo che la funzione del partito socialista dev'essere intima– mente inspirata all'idealismo. L'azione culmina nel pensiero, e il QUrtito socialista può trovare solo nel– l'idealismo il suo più forte e agguerrito alleato. In tal modo, si rende esplicito ciò che è iinplicilo nel– l'azione sua, e si levano tutte le contraddizioni in– consce. l\'lolli equivocano grossolanamente sull'idealismo: quasi si spaventano della sola parola. ìvla l'idealismo critico non è nè l'ideologismo, nè l'immaterialismo di Berkeley, nè l'idealismo assoluto di Hegel, e non è da confondersi· con non si sa quale metafisica dogmatica e acchiappanuvole, la quale trascuri af– fatto la realtà. La verità è che l'idealismo critico ha per primo suo assertore nientemeno che Emanuele · Kant, il più grande fìlosofo dell'epoca moderna, e le cui tre critiche rappresentano uno dei monumenti più grandiosi dell'umano pensiero. E Kant (il Bern– stein, con vago presentimento dell'insostenibilità della fìlosofìa marxistica, proclamava anni sono il Zuriiclc zu [(ani!) dimostra, anzi, che non bisogna allontanarsi dal terreno solido dell'esperienza, se non ci si vuole avventurare nell'oceano infinito e bur– rascoso della fantasia; se 1ion che, questa esperienza (che è un dato di cui non si può fare a meno) biso– gna prenderla nella sua interezza, tanto esterna che interna. Quella, che di solito si chiama reallà eslerna, entra in noi con un processo speciale, del quale è merito imperituro di Kant avere mostralo il segreto. Noi elaboriamo i dati della sensazione mediante gli schemi, le categorie della nostra coscienza: il mondo esterno entra in noi trasformato, idealizzato. Noi, mediante una sintesi, dal caos delle sensazioni trag– giamo un mondo ordinalo; razionalizziamo, per così dire, la materia. E, siccome è una proprietà della

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