Critica Sociale - Anno XXI - n. 8 - 16 aprile 1911

CRITICA SOCIA LE 125 Nella nozione «sociologica» e «positiva» legataci dal Gumplowicz - lo Stato appare invece plasmato nella guisa in cui lo esprimono le classi in conniuo. e la sua nzione si riduce ad un problema di dinamica sociale. Da quando, come nei regimi democratici, tulle le classi sono, più •O meno, in grado di partecipare alla sua vita, l'equilibrio sociale, che prima si sta– biliva in ogni caso senza o malgr:=ido lo Stato, ora può talvolta raggiungersi attraverso di esso, e la coincidenza degli interessi Dlluarsi mercè l'opera su,1. Che importa tale variazione? Se lo Stato è lo spec– chio in cui si ri!leUe la forza delle classi, in qual modo e con quale utile potrà poi innuire sul loro equilibrio fugace? · Lo Stato ha la suo. specifìca vil'tl.l nel fotto di essere creatore del diritto e potere coercitivo: in ciò è la fonte magfliore dei suoi benefìzl. Quindi l'equili– brio, la coincidenza cleg-li interessi, che, senza l'opera dello Stnto, s'ubi'rebbe le pili gravi e pericolose oscil– J'nzioni, e le pi'ù frequenti alterazioni, mediante l'in– terposizione statale, acquista una sicurezza, una sta– bilità, una durnla maggiore. Lo Stato, dunque, anzi– chè distribuire fra le classi, con fantastici criteri di elica rigida ed astratta, la ragione ed il tol'LO, gli utili e gli svantaggi, si limita u segnare d'un'impronta giuridica l'opera della mnggior forza sociale, che sia riuscila a penctrnrlo ed a provocarne la utile at– tività. Consideriamo quel che avviene oggi. Una lotta di classe si combatte nella società; e la classe lavora– trice, forte delle pl'oprie 01·ganizz::izioni, vi ha ac– quistato posizioni vantaggiose. L'equilibrio, che ad ogni istante si stabilisce fra l'una e l'altra classe. è la risultante dell'nzione simultanea delle loro po– tenze rispettive. Lo Stato, pur nella sua lempernla de– mocrazia, risente in sè l'aumentarsi della forza pro– letaria, e, non polenclo non orientare In propria azio– ne nel senso favorevole a dare appagamento a quella forza, dirige la propria opera a produrre utilità spe– cifìche: crea la legisla?.ione sociale. Questa dunque non è se non la espressione della maggior forza della classe lavoratrice, e si contiene nei limiti segnati da questa fol'za. Essa è indubbiamente, in sè presa, un elemento dell'equilibrio sociale. Ma - e questo è il punto - la sua formazione, cioè la sua esistenza. ha essa moclifìcato, e come, e c1uanlo, la condizione del proletariato, in sè e nei suoi rapporti col capitalismo? In' altri termini, è vero, oppur no, che lo Stato può operare sull'equilibrio sociale, alterando quello pre– esistente ed allunnclone uno nuovo, cioè una nuova coincidenza d'interessi? Poichè la legislazione sociale deriva dallo sviluppo della classe lavoratrice, è chiaro ch'essa costituisce il miglior mezzo ed il più «economico», pel raggiun– gimento di una ulilitù, altrimenti conseguibile con sforzi maggiori o inconseguibile nella stessa misura. Lo Stato è il produllore specializzato, quasi il mono– polista, degli ntlributi estrinseci, che fanno di co– desto mez.zo il pili «economico». Se legislazione so– ciale - quel simulacro che c'è - non esist.essc af– fatto, vi sarebbe un suo sostituto - se non un suo equivalente - nelle più diverse e_più strane forme di usi, consuetudini, sistemi di lavoro, frammentad. sporadici e instabili, pacifìcamente conquistali o im– posti con la violenrn. da lavoratori d'una data indu– stria, d'una data regione, d'un· gruppo di impl'ese, cruna sola officina. Sarebbe la ridda dei successi del– l'azione dircUa: senzu disciplina e senza omogeneità. BibliotecaGino Bianco Ma l'equilibrio, la coincidenza degli interesse pur allora, non mancherebbe: solo, sarebbe sommamente precario, limitalo, eterogeneo. La legislazione sociale ha invece la virtù d'integrare tali defìcienze, di ren– dere meno instabile, meno fuggevole, meno vario, meno inegolare l'equilibrio delle forze. 1! la disci– plina esteriore. Lo Stato, segnando d'una larga· im– pronta morale e giuridica la vita del lavoro e ren• dendone coercitive le norme, non crea utilità. mo solo inlel'preta le forze sociali, ésplica ed afferma il va– lore della loro pressione, dà lol'o uno soddisfazione ade~uala, diffondendo, ripartendo, livellando i benefì– ci. Lo Stato è creatore d'utilità in un sol caso: quando manca la pressione cli una data categoria operaia. l\'fa esso, in Lai caso, crea a vuoto le utilità. cioè non ne crea afTalto, poichè le forze, che non hanno agito, e che quindi mancano o sono insuffìcìent.i, non si gio– ,,ano per nulla, o solo scarsamente, della legislazione !-OCiale: i lavoratori, insomma. non avverlenclonc il bi– soi:tno, non sanno che cosa farsene. Così. nell'Tlalia meridionale - ed è fìn troppo nolo - le pochissime misu1·e cli legislazione sociale, che la pressione clei lavoratori del Nord vi ha riversale, non solo non si applicano affatto, ma di esse non si intende neppure la ragione. Tull.o questo, che è effetto della disparitù cli ·condizioni economiche in uno Stato unitario, sa• 1·ebbe il proclollo normale d'un'azione stnlnle, ispi– raln alla preconcetta finalità della coincidenza degli interessi. Lo Stato, che si facesse impresario cli giu– stizia sociale, avrebbe di queste mortificazioni! Ecco pcrchè la formula elci Ferri, che lo Stato im– ponebbe a se stesso come mèta concretamente rng– g-iungibile, deve essere interpretata. in modo che la metafìsica le rimanga del lutto estranea. Lo Stato. che si proponga la coincidenza degli interessi, hn un campo di attività molto limitalo, poichè non può se non sostanzialmente rispettare le condizioni cli fHlto, sulle quali intende opera1·e. Esso non crea nuovi equi– libri sociali, ma n~sicura solo all'eciuilibrio e alle forze esistenti una più ampio composizione. Prodotto esso stesso dell'urlo delle classi, lo Stalo, nllorchè il suo meccanismo sia sensibile e capace, può tull'al più rendere agevole ad alcune energie, che aspirino nd un equilibrio superiore, cli raggiungerlo nel modo meno tortuoso e meno precal'io. Se tali energie - come, ora, quelle prolet.arie - agiscono nel senso tli ~ma maggiore equiUi. sociale, e lo Stnto le fnvo– risce, non perciò esso sarà divenlnlo lo st.rumenlo cosciente dell'P-lica nslralla, o anche solo l'organo so– cinle che volutamente attui la coincidenza degli inte– ressi. Ma la sua azione resta sempre un problema di forze concrete e contingenti; e quella coincidenza non è altro che la coincidenza preesistente, resa solo più pura, più stabile e insieme giuridica: leggera rn.l'iazione dell'equilibrio normale, attuantesi per im– pulso spontnneo cli eventi. Se non che, il prof. Ferri, dopo nver dichiaralo l'inelullabilità della lolla di classe e dopo avere pro~ clamato lo Stato l'orgono della giustizia sociale, il qunle, pw· rispettando quella lotta, debba at.tunre la roincidenza degli interessi, condanna recisnmenle, come :iberranle dalla teoria e d::dln prntica della lolla di classe, ogni collaborazione di classe. Ol'a, è chia- 1·1:> che l'aver fatto della coincidenza un fine voluto e costante dello Stato e delle classi, rende per lo meno inopportuna l'accusa alla collnborm.ione even– tuale e precaria deìle classi stesse. E non è neppure il caso, forse, che i due principì si scambino il molto

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