Critica Sociale - Anno XIX - n. 16 - 16 agosto 1909

248 CRITICA SOCIALE come nel medio evo, venissero dal popolo a rinsan– guare la infracidita nobiltà, Ma una lapide comme– morativa dell'avvenimento, post~ nell'androne della l3ihlioteca nazionale di Palermo, dice che i baroni " spontaneamente abdicavano i feudali diritti "' e insulta tacitamente le popolazioni siciliane che, senza quella spontanea abdicazione, non avrebbero saputo liberarsi dalla feudalità e sarebbero restate sempre serve del baronato. Inoltre, nessuna lapide commemora che i non sullodati baroni, divenuti proprietari del feudo, usurparono i diritti hnprescrit– tibili ed inalienabili di uso civico, che le popolazioni da tempo immemorahile aveva.I10 sulle terre dei feudi, e non riconquisteranno finchè i pubblici po· teri snranno strumento di conservazione degli usur• patori e dei loro manutengoli cappeddi. La costituzione siciliana medioevale, riformata nel 181.2 e soppressa immediatamente dopo, uon avea il fine di tutte le costituzioni moderne, di chia– mare la rappresentanza popolare al Governo, ma serviva sopratutto ad impeJirc che il patrimonio pubblico fosse dai monarchi, segnatamente se stra– nieri, cui fu lungamente l'Isola soggetta, sperperato per fini estranei all'Isola stessa. Nel mentre si pre– parava la riforma costituzionale, la Corte Borbonica di Napoli, rirugiatasi in Sicilia, consumava il tesoro siciliano per pagn-l·e le famose bande del cardinale Rufo e di l!'ra Diavolo, con le quali riconquistare il perduto regno napolitano. L'odio implacabile dei Siciliani contro gli An– gioini, oltrechè da soprusi che i Francesi del D'Angiò commettevano certamente anche nelle provincie del Napolitano, derivava dalla perdita del Regno, essendo divenuta la Sicilia una dipendenza di Napoli; il Regno siciliano con la sua costituzione garentiva il pubblico denaro dalle prede del monarca. I Napoli– tani non si unirono ai Siciliani nella rivoluzione del Vespro, sia perchè meno ribelli alle soverchierie, sia perchè non aveano perduto nulla politicamente. i\[a la :Monarchia siciliana degli Aragonesi, costi– tuitasi dopo la guerra del Vespro, finì nell'impotenza di tenere a posto il baronato, che, padrone dei feudi, cioè dei quattro quinti dell'Isola, manteneva uno stato permanente di sanguinose contese e convertiva le campagne in un generale covo di banditi ai ser– vizì del hi~ronato stesso. Nel secolo decimoquarto, durò per circa mezzo secolo completa anarchia feu– dale sotto il regime dei Quattro Vicari, giacendo sul trono re imbecilli o fanciulli. La terra del Vespro, per viltà del baronato, dopo un secolo che aveva cacciato l'Angioino, apriva l'Jsola ai ~Iartini colla dominazione spagnuola. Nei richiami storici delle fanfaronate patriottiche non ricordasi mai tale pe– riodo di viltà. La Sicilia latifondista non poteva darsi un Governo proprio, per quanto tenesse a proclamarsi Regno. .·. La persistenza di un opprimente sistema fondiario, soltanto per dominare nel quale si è svolta la storia, ha impedito che in Sicilia si compiessero ma;:i vere rivoluzioni: furono innumerevoli le sommosse e le rivolte, dalle quali non mai derivò mutamento nella vita delle popolazioni rurali. Fu tipica la rh•oluzione del '48 1 nella quale pochi ardimentosi seppero incu• tere paura nella sbirraglia borbonica: ma, costitui– tosi il Governo siciliano, si constatò che le forze veramente rivoluzionarie, cioè capaci di un verace rinnovamento) erano ben scarsa cosa; nelle popola– zioni educate alla vita di violenza eruppero la mania omicida e il furore crimiuale in modo epidemico, che lasciò un pauroso ricordo nella maggioranza buona ma inerte; e il Borbone, dopo un anno 1 potè ritornare, incontrando fiacca resistenza nella stessa terra, dove l'Angioino di Napoli avea per ben 17 anni fallito nei tentativi di riconquista fino a rinunziarvi. La rivoluzione del '60 invece riuscì a miglior fine, perchè fu condotta col concorso di tutte le forze nazionali. Garibaldi con i suoi valorosi, se si fosse dirntto in altre regioni, non avrebbe trovato le stesso energie popolari favorevoli alla rivoluzione che trovò in Sicilia, o magari avrehbe ricevuto le stesse accoglienze popolari che ricevettero Gioac– chino .i\[urat, i fratelli Bandiera e Carlo Pisacane. Ma, senza Garibaldi, la Sicilia non avrebbe saputo condurre a savio fine il suo movimento rivoluzio– nario, come non lo seppe nel '48. Ugualmente, in epoca piit antica, un pugno di valorosi Normanni, trascinando con sè un largo se• guito d'rtaliani di altre regioni, ridiede alla Sicilia il carattere spiccatamente latino, eclissato per poco dalla dominazione musulmana. 1~ per questo che siamo unitari. * * • Dal modo come si è svolta la storia siciliana, è derivata la concezione mafiosa ~i essa: ciò che più si glorifica, ciò che più si riconosce degno di ricordo storico, sono le bravate patriottiche, che, nella men– talità popolare, si confondono per la forma con le comuni malandriner-ie mafiesche. Xell'ohelisco ele– vato in Palermo ai martiri dell'indipendenza italiana, sta inciso che " non abbia Italia altri martiri se non caduti nelle patrie battaglie 11• Non pare che l'augurio sia seguito dai fatti: altri martiri del la– voro e della fame, altri martiri della violenza costi– tuita soccombono ignorati, senza la possihilità di battersi, pur llon mancando di coraggio. Ancora si sale meglio in considerazione e si ha diritto al ri– spetto, se anche chi ha qualche merito o valore è 1 nel s~nso mafioso della parola, un cristiano, ossia se sa " tenere il ferro ,, ed " essere l'amico degli amici ,,. Il crispismo e il nasismo, che tanto hanno fatto denigrare la Sicilia, non ebbero di particolare, sulle più incivilite e maggiori disonestà continentali, che la forma mafiescamente sfacciata dello sperpero del pubblico denaro a favore di un séguito di mafia. l!,u questa particolarità che fe' insorgere il mondo politico, perchè le forme mafiesche magari piacciono nelle pose da Guerin Meschino, ma non si tollerano alla direzione generale del Govemo. Palermo è potuta salire a capitale dell'Isola, anche perchè è il gran centro della mafia bassa ed alta: le forme mafiesche sono state diffuse dai cocchieri e carrettieri palermitani; e per lo più in Sicilia il mafioso piglia accento e modo di dire palermitani, che, più che del dialetto, sono propri di un gergo particolare. Per la suddetta concezione della storia e della vita, questo mio studio, lo so, non può avere for– tuna " nella bella Sicilia. che caliga ,,, e dove non nacqui per fare il mafioso nelle finte battaglie contro la mafia. . • * La penetrazione dell'anima socialista tra le masse i:siciliane, oltrechè dalle forze ritardatrici del solle– vamento proletario, è attraversata dallo spirito di mafia. Questo pervade tutta la vita storica siciliana, assicura il trionfo ai soli violenti, falsa la concezione del valore personale, e soffoca ogni tentativo di rin– novamento morale, sia recisamente sopprimendolo, sia pure inquinandolo di mafia. In Sicilia è da te• mere che si affermi pure il socialismo mafioso, come è da prevedere che sorga il socialismo latifondista. Con tante tendenze! Già il popolarismo, imposto al movimento proletario in sostituzione del socialismo, toglie a questo ogni sua azione specifica, per darlo in balìa de' suoi nemici, che assumono qualificazione di partiti, radicale e repubblicano, inesistenti !

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