Critica Sociale - XIX - n. 14-15 - 16 lug.-1 ago. 1909
CRITICASOCIALE 229 nente di disordine produttivo. La improprietà del linguaggio nello esprimere un grosso guaio sociale rileva e spiega, come, per curare il guaio stesso, si escogitino mezzi tem1>oranei, pro1>ridi una vera crisi, e non si arrivi ne1nmeno a vedere le cause perma– nenti di ciò che è più propriamente un male costi– tuzionale. Nessuno si è mai domandato perchè solo per l'uva da mosto l'eccesso di produzione produca disastro: in ogni coltura è sempre vero il proverbio che ab– bondanza 11ou fa mai, carestia, perchè la diminui– zione del prezzo è sempre largamente compen– sata dal maggior prodotto, e l'eccesso di questo non riesco mai a distruggere la convenienza della col– tura stesso, so la quantità smerciabile bnsta a pa– gare lo spese; ma da un ventennio quel proverbio non è applicabile alla viticultura. I più necessarl prodotti agricoli, per la legge che le cose migliori sono anche lo pii1 rare, generalmente sono inferiori ai bisogni. rn agricoltura Pabbondanza è più un dono gratuHo cli natura che un effetto de) lavoro umano, e non può perciò produrre danno. UJ;la grave disarmonia dell'ordinamento capitali– stico della produzione ò che i prodotti non corri· spondono mai, o per eccesso o per difetto, ai bisogni del consumo, generando il malessere sociale; ma l'eccesso della produzione enologica arreca inoltre un grave disordine in tutto l'ordinamento agricolo meridionale ed opera come un vero disastro. Il feno– meno merita di essere esaminato in tutta la sua apparento stranezza: la tendenza ad estendere oltre il bisognevole il vigneto ò data dalla naturale rea• zione contro la. povertà produttiva deJl'ordinamento agricolo feudale; ma la resistenza di tale ordina– mento agricolo 01>pone perpetue crisi violenti all'ec– cesso del vil,t'neto, sconvolgendo tutta la struttura economica dell'Italia. meridionale. La vigna indefinitamente estesa è la prima ribel– lione contro la povertìt della semina e del pascolo. Il latifondo seminativo e pastorizio è proprio del sistema feudale; invece la. vigna favorisce lo spirito avventuriero borghese. Portato nl massimo il vigneto meridionale, e l'ordinamento feudale rimanendo im– mutato, è succeduta la emigrazione da una parte e la organizzazione delle Leghe dall'altra. Sono fatti che sembrano HConnessi, mR.che sono forme diverse di un unico moto contro il latifondismo foudale. La vigna richiede un maggior impiego di braccia che non la semina saltuaria e la pastorizia vagante, resiste di pii1 alla siccità estiva, che si prolunga. fino ad otto mesi; attecchisce bene nelle colline pie– trose, meno idonee alle altre colture, e vi produce il miglior vino; è di rapida ed abbondante produt– tività; e dà un prodotto di largo consumo: tutti requisiti per fo.rJa.rapidamente estendere. La gente nuova e i subiti ·guadagni trovarono nella vigna un largo campo per portarvi lo stesso spirito del giuoco d'azzardo. Il valore viticolo, come un qualsiasi va– lore di borsa, con la speculazione al rialzo, doveva inevitabilmente pigliare proporzioni fittizie e risol– versi in un generale fallimento. La più fugace vi~ cenda favorevole al mercato vinicolo, una qualsiasi causa 1 che porti per pochi anni, o magari per uno, la produzione enologica al disotto del bisognevole e rincarisca il prezzo, fa correre pazzescamente tutti a piantare vigna, svellendo gli uliveti, o dove è in– vece pili conveniente la semina e il prato. Si sostiene che la vigna dà reddito maggiore di ogni altra coltura 1 elle non sia l'orto e il giardino. E' grossolano errore. La vigna, è vero, può dare, in date contingenze do! mercato, un rapido guadagno, che in pochi itnni paga la spesa d'impianto, e perciò ognuno punta sul vigneto come su di unn carta da giuoco; ma, al cliruori di quel momento fortunato, la vigna dà meno del oarrubbo 1 del mandorlo, del fico, del fico d)lndia, del canneto. L'ulivo può, in alcuni casi, rendere mono della vigna, ma. è assai più !on• gevo e assai meno soggetto a :?raneli sbalzi com– merciali. La convenienza del!R. "ite rispetto al fru~ mento suppone che tutto il vino vossihile trovi sm.ercio, e che si possa c on la sua vendita compe– rare il grano che viene a mancrt.re. Ma all'estero il vino comune italiano è arr estato da lle alte barriere doganali innalzate per difendere la viticultura locale, che tende ovunque ad estendersi in eccesso, e le altre bevande alcooliche, fra cui principalissima la birra. All'interno il consumo si mantiene per varild ragioni al disotto di quello stesso che in una giusta misura sarebbe possibile, e quindi al disotto del vino prodotto. li quoziente di bevande alcooliche per abitante in Italia è minore che in tutti gli altri Stati civili, mentre il \'ino italiano cre::ice a di• smisura. Sulla incapacità meridionale a consumare il vino che producesi nel Mezzogiorno stesso, bisogna spen• dere, qualche parola di più. Anzitutto, i meridionali sono, per caratteri conferiti dal clima, assai meno bevitori dei nordici : l'alcoolismo non è per lo più causa lii degenerazioue, ma effetto d'insufficienza fisiologica di razza, che richiede forti eccitanti per sentire ~usto ai cihi e alle bevande; a.Itrimenti non si spiegherebbe perchè i siciliani, che producono molto vino, sieno il popolo più astemio e condiscano meno fortemente le vivande. [n Sicilia " vedi il calor del sole che si fa vino ,, alcoolizzare senza che il vino si be,•a. Secondariamente, una gran parte del vino meridionale, per ruvidezza e so– verchia alcoolicità, non è idonea al diretto con– sumo. In terzo luogo, la più stridente ineguaglianza nei consumi fa che il vino arrivi a quadruplicare il prezzo nelle osterie delle grandi città, e non lo si possa comprare da tanta gente delle campagne a qualsiasi basso prezzo: il contadino, che non si sfama, quando non è un vizioso, non beve. La povertà del– l'agricoltura feudale, contro la.quale tentò insorgere la viticultura meridionale , impedisce che questa possa far consumare il vino alle popolazioni stesse che lo produconQ. ri'alto diritto fondiario sul pro– dotto, re110scarso nei latifondi, conferisce metà della ricchezza a pochi latifondisti e metà a tutta la classe lavoratrice: or i primi, per quanto siano di Yentre capace ed alimentino un largo servitorame ed i me– stieri inutili del lusso, non possono ingoiare metà. del vino prodotto; e gli altri non hanno i mezzi di comprare l'altra metà, per insufficiente che sia, perchè devono prima comprnre dall'estero il pane e tutto il necessario che il latifondo meridionale non dà. li vinç., che si somministra agli " uomini ,, ad– detti ai lavol'i Chmpestri, è gen~ralmentf~ quello inven dibile 1>erpessima qualità, mentre quello buono resta invenduto. Armonie sociali! La coltura del grano, nel Mezzogiorno e special– mente in Sicilia, data la natura del suolo e del clima, dà la spina dorsale a tutto l'ordinamento agricolo, e non può cedere il posto al \'igneto, per quanto le vicende del mercato possano dare a questo la supe– riorità di tornaconto. Questa superiorità, quando si oltrepassa il punto di saturazione del mercato Yini– colo, con vertesi inevitabilmente in disastro. Che vale che il vino, anohei a dieci lire l'ettolitro, possa dare un tornaconto sul grano, se a quel prezzo se ne può vendere solo una parte, e l'altni rimane a ingom– brare le cantine e a rovinare, per la sua mévente, come dicono i rranccsi, il viticultore? Il grnno ora non basta; ma, in mm ag-l'icoltura industrhtlizzata dalla organizzaz.ione di tutte le forze cli lavoro, potrà bastare, o 1>ot.ràessere compensato dall'aumento cli altri prodotti ora pur manchevoli. L'uva da mangia1·e, essendo un cibo assai nutriente ed igienico, non teme crisi di abbondanza: se ne
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