Critica Sociale - Anno XVIII - n. 2 - 16 gennaio 1908

24 CRITICASOCIALE gretto egoismo distruttore; la classe operaia è in– calzata continuamente dalla minaccia degli strati inferiori della società, i quali, nelle mani dei suoi avversari, possono trasformarsi in formidabili stro– menti di degradazione e quindi si trova senza posa indotta a perfezionarsi, non può adagiarsi nell'egoi– smo di un neo-unionismo cli classe, e non potrà ri– posarsi se non nel giorno in cui abhia risoluto in modo permanente il prohlema della disoccupazione, ossia ltello squilibrio fra la popolazione e le sussi– stenze, ossia la questione sociale? * .. Mi lusingo di avere così - per quanto assai suc– cintamente e riserbando lo svolgimento completo in altra sede - risposto alle obbiezioni fondamentali, nascoste nel ragionamento piuttosto involuto del Crespi. Da quanto ho scritto sopra, risulta l'utilità della organizzazione operaia nel regimo attuale cli costi– tuzione economica. Certo, io pure sogno col Crespi uno stato ideale di associazione umana in cui, mu1i– curata l'uguaglianza dei punti i111zial1. di partenza (li tutti gli uomini, questi abhiano un'idea così pre– cisa della coincidenza degli interessi del singolo con quelli deJla collettività, una concezione così elevata della libertà o dello condizioni indispensabili per effettuarla, che una logge coercitiva contro il kru– miraggio diventi e appaia a tutti un non-senso. fo questo, mi figuro, il sogno cli quanti, al pari di me, vedono nel socialismo, non già lo stadio finale dell'umanità, ma un regime superiore di transazione per ele\lare materialmente e moralmente, col minimo sforzo, le classi inferiori al livello indispensabile per la effettuazione di una società anarchica, più per– fetta ancora. Ma il problema prospettato dall'avv. Marchioli non era questo: esso si conteneva - come ha be– nissimo avvertito l'a\'V. 1farchioli stesso - nei limiti meno mistici, ma più pratici, dell'odierno mondo \'i– \'ente. E allora il parallelo che il Crespi istituisce tra la orgaaizzazionc e la libertà di lavoro non ha senso: poichè la sccoada è uua cosa che oggi non esiste. Nel mondo industriale odierno vi è la libc,·tà di sfruttamento, la libertà di morire cli fame, una serie di altre lihertà, ma non, per Pinclividl10 isolato e staccato dagli stromenti di produzione, la libertà di lavoro. F: allora, poichè il Crespi ci in\'ita tutti a dubitare saviamente col Sidgwick e lamenta che in Italia non si legga e non si pensi, io mi permetto alla mia volta di invitarlo a leggere, propl'io nell'opern di\ lui citnta del Siclgwick, la critica ,nossa da quo– sVultimo a quella scuola classica inglese che, auspice lo Stuart Mili, si illudeva, col principio della libertà, cli aver toccato le coloaue cl'Brcole della scienza economica; e inoltre la colorita descrizione che lo stesso autore fa de!Pimbarazzato stato d'animo in cui si trovarono i discepoli migliori di quella scuola quando, guardandosi attorno nella vita, videro i hoi risultati a cui si era giunti in Inghilterra con la celebre libertà cl 1 industria e di lavoro. E, mi permetto ancora di suggerire, legga e pensi il Crespi su quelle potenti relazioni degli ispetlori di fabbrica inglesi, attraverso alle quali si prospetta tutta la storia breve e dolorosa del proletariato in– dustriale britannico. Allora, ne sono sicnro, il Crespi si sentirà con noi compreso di altn revere nte amm irazione davanti allo spettacolo di una civiltà unrn.na , giunta rapidamente e inopinatameato a un grado tanto elevato da ren– dere possibile che, con un mezzo CÌ\'ilo e moderato quale l'organizzazione, il quarto stato trovi lit via per compiere una enorme tmsformnzione sociale. Di fronte ai risultati presenti, a quelli immanenti di essa, le piccole rivolte, gli errori deg1i scioperi g-enerali, le sassate che fracassano qualche vetrina si riducono allo loro proporzioni di attriti da mi– croscopio. Poichò, se il mondo non fosse così colossalmonte progredito dal 17 9 ad oggi; se il quarto stato do– vesse, per sorgere, ricorrere ai mezzi della bor– ghesia, anzichò a quelli così pacifici della organiz– zazione; se quindi, al pari del terzo stato, fosso spinto a stendere il conto dello crudeltà raccapric– cianti, delle ignominie atroci, dello onte sanguinose inflittegli dalle classi superiori col più cieco egoismo da quanti secoli l'umanità contn una storia, per sal– darne la partita in un colpo solo, le lanterne di tutto il mondo piegherebbero sotto il peso dei grap• poli umani e la civiltà verrebbe per qualche tempo travolta in unn inaudita orgia espiatrice cli crudeltà e di sangue. . * • Stavo per spedire questo manoscritto, quando vedo, sul numero della Critica del 1° gennaio, l'ultima replica del clott. Crespi alFavv. J\farchioli. Essa mi obbliga aJ aggiungere poche ri~he. Il dott. Crespi rimprovera al suo contraddittQre di 11011 essere molto attento nella lettura. di ciò che confuta. n rimprovero mi pare ritorcibile, poichè egli a sua volta non tiene nessun conto delle IJl'O– messe su cui l'avv, Marchioli fonda il suo ragiona– mento. Noi partiamo precisamente t,lalla dimostrnzioue matematica con cui "\Valras e Pareto giungono alla affermazione che, nel regime di libera, concorrenza, ;, prezzi si fissano in modo da procurare a ogni JJer– mutante il massimo di utilità, intendendo per II re– gime cli libera coucorrenza,, quello in cui ogni 1Jer– mutante sul>isce i prezzi di mercato senza trntw·e de– liberatwnente (li modificarli; è questa la definizione del Pareto. Però noi abbiamo osservato che questo è il regime della libera concorrenza in economia pura, ossia prescindendo dagU attriti. Abbiamo studiato l'in• fluenza di questi attriti sul mercato del lavoro e abbiamo vh,to che essi eliminano lo ipotesi su cui si posa il concetto della lihera concorrenza. Ad esempio, il capitalista e il hn·oratore non hanno punti iniziali cli JHtrtenza uguali: 81.lrebbe, per ripor· tare un esempio del Pantaleoni, •!ome se noi faces– simo fare una corsa a due ca,•alli A e B, metteuclo il primo a IO km. dalla mèta con 50 chili sul grop· pone, e il secondo sulla stessa strada, nrn a 5 km. dalla mètn co11 10 chili cli carico. Tmpedonclo questi attriti l'effot.tunrsi nella vita pratica delle condizioni di libera concorrenza, ne derin, altresì che, sempre nella vita pratica, l'equi– lihrio di mercato si raggiunge 1:Jenzache un gruppo di contraenti - i lavoratori - abbiano. raggiunto 11utilifa massima. E badi il dott. Crespi. E vero che, date lo circostanze, se i lavoratori non raggiungono il massimo di utilità relativo nello scambio, i capita– listi raggitl)1gono un massimo pili elevato. Ma, date le equazioni walrasiane, no11 si vuò concludere rhe il meno degli uni viene rom})ensato dal JJÌÙ degli altri. il meno non si compe11s{l. e costituisce una pe1·– dita 11ettu generale; il che il dott. Crespi potrà age– volmente vedere sul Pareto, passando dall'esame delle equazioni dello scambio n quelle delht produ- zione. • Bisognava. quindi costruil'O la macchina che, por· tanùo a.I minimo gli attriti incontrati in pratica dai lavoratori, accostasse il mel!liO possibile sul mercato le loro condizioni a quelle teorizzate nello studio di economia pura, permettendo in tal modo il Ye• rificarsi di quella. conclusione della utilità massima, cli cui il dott. Crespi rile\'a giustamente l'impor-

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