Critica Sociale - Anno XVIII - n. 1 - 1 gennaio 1908
CRITCCA SOCIALF. chezza senza sperpero; mentre, dove l'aumento di ric– chezza precede la capacità a farne il miglier uso, si ha sperpero fino a che questa sia stata acquistata. Senza queste considerazioni, non si spiega perchè, a parità di guadagni o di ricebezza, vi Fiiano nella meclesima cate– goria di persone tanti diversi livelli di comfo,-t; vi sia chi scende e chi sale; ma, se ciò è vero, l'elemento etico deve acquistare preminenza su ogni considerazione eco– nomica nel giudicare dei fatti della vita sociale e della loro gittstizia. Se noi consideriamo l'educazione della per~onalità. io tutte le sue facoltà come Il fine della vita, chi può ne– gBre che vi shrno verità e virtù che si apprendono solo mediante l'aspro conflitto con resistenze opposte e me- , diante le stesse 11confltte?Sono gioie più ricche e no– bili quelle che constano di un elemento meramente edo– nistico o quelle che risultano dal trionfo su difficoltà e 11ullostesso dolore? È più forte la gioia. di sedere al caffè o quella cli contemplar la natura dal Monte Rosa? Sarebbe la storia cos1 interessante se non vi fos-.e ne- cessilà d'eroi? Avremmo noi della umani là un concetlo più alto se non fosse stato il martirio di Socrate e <li Gesù? Se ci fosse la giustizitl economJca e sociale, sa– rebhe per ciò durevole la nostra felicità, o non cesse– rebbe allora di esistere? Senza il sacrifizio sarebbo bello l'am_ore? Fichte disse di preferire lo sforzo pel vero al pos~ sesso del vero; lo stesso va detto della giustizia.. Da questo punto di vista può il Marchioli ritenere che non siano utili per gli operai anche le sconfitte e Rpessopiù delle stesse vittorie, se esse hanno virtù educativa? Io penso che non poco della. grande disciplina degli operai inglesi è dovuta a ciò, che dovettero lottare contro re11i!1teoze immensamente più forli che gli operai italiani. Qu"'sti ultimi, nella stessa natura più clemente e Jiiù bella, hanno l'equivalente di un maggior salario in con– fronto a quelli; e io penso che, precisamente per questo, l'esistenza rli resistenze educative è più necessaria tra noi che al :Nord.Al Nord la passione per lo sport è uu altro coefflciente di felicità. Nello sport ricchi e poveri si incontrano; l'istinto del fair play crea tra le varie classi un sentimento cavalleresco - economie chivale,·ie tare che, se alcuno attendeva ancora da. Angelo Crespi la dimostrazione definitiva. del suo non esser più socialista - non già in un senso speciale ita– liano, _ma nel senso pill fondamentale e quindi uni– versale del vocabolo - egli lealmente la ha data. Il che no11 toglie pregio ai suoi studi e alle sue vedute, anohe · pei lettori sociri.listi: ma è opportuno, per tutti, ch'esse siano etichettate col loro nome. 'l're concetti (sorvolando ai particolari) dominano in quest1 11 ultima replica,,. li primo: che la negata libertà del lavoro krumiro equiYale al protezionismo, è un protezionismo della merce-lavoro, e conduce quindi - come ogni protezionismo - a uno sper– pero di ricchezza sociale. La questione, anche pel protezionismo vero e proprio, quello applicato ai prodotti e ai produttori, è un po' meno semplice di come il Crespi la pre• senta. V'è, senza dubbio, nell'intrico dei fenomeni della produzione, un protezionismo necessario (:saivo disputare sui casi e sulla misura), che, creando o mantenendo industrie le quali 1 senza di esso, o non nascerebbero o perirebbero, aumenta, in realtit, la vniver-ale -ricchezza. Non vog!iamO ora addentrarri in questo spinoso terreno. Certo è che Pargo– mentazione crespiana, in quanto parte da.Ila. equipa– razione del lavoro a una merce, del lavoratore a una cosa, ossia a uno strumento, è squisitamente borghese. Dobbiamo ag-giungere, per la verità) che è anche peggio che borghese eri è preborghese - in quanto la moderna borghesia l'ha ormai abbandonata. La teorica che difende la libertà del krumira~gio in nome di quell'astrazione cho è la maggior ricchezza sociale - un :Moloch non mai sazio di vittime, un noumeno che fenomenicamente in nessun luogo ò afferrabile .... fuorchè nei muniti forzieri dei capita– listi - non è, in fondo, che del puro manchester– rianismo, oppugnatore di ogni inten'enzionismo dello Stato fra capitale e lavoro. E invero, Fabuso del lavoro delle donne e dei bambini, il libero ~frutta• mento del lavoro notturno, del lavoro nelle industrie insalubri e pericolose, ecc., ecc., che altro erano se non forme di krumira.ggio, forme cioè di libera con• correnza che la merce lavoro fa alla merce•laYoro? Eppure gli Stati borghesi e gli industriali medesimi hanno a mano a mano compreso la necessità di im- - che solleva gli spiriti al di sopra delle distinzioni, li porre dei limiti ~ nel loro stesso interesse _ a abitua a guardare da un punto di vista più largo del questa libertà di un commercio) che ha per oggetto proprio e a sentirsi tutti eguali come genlhme11. ln uno - vedi mo?! - non ba.Ile di cotone o casse di co- spirito energico e attivo come l'inglese lo spettacolo loniali, ma il sangue dell'uomo e l'avvenire della della ineguaglianza sociale non suscita l'invidia o l'odio specie! di classe, ma viene come una RflJa a provare che si ha Più ancora borghese e preborghese è il secondo in sè l'energia di valer di piìl di chi ò stato ft1vorito concetto lumeg~iato dal Crespi: lo ~frutta mento - dalla fortunà. ' hnel senso socialista della parola - è cosa che non esiste. Lo sfruttamento, scrive il Crespi con grande disdegno, '· è un concetto morale, non un concetto economico ,.. Il lavoratore t, non è povero e debole perchè sfruttato, ma è sfruttato perchè povero e debole ,, (sic). Diventi forte, diventi ricco - vera– mente ei non chiede di meglio! - e cesserà tli essere sfruttato; (cesserà anche, soggiungiamo, di essere laYorntore 1 e allora la questione è risolta, ma è troppo risolta,!). Il lavorMore, insomma. ha il torto di 11011 appartenere alla éli.fe , nella qmde si rnccol– go,110i dominatori, come un tempo dicevasi 1 per di– l'itto diYino, rappresentanti di 1111 piì1 vasto e sL1pe– riore interesse. In questo senso, quel modo prosaico di considerar le cose, di cui il bfarchio!i i:1i vauta, è ad un tempo eff~lto e causa di impoverimento di 11pirito.E,iso concentra i'ilt• tenzione dell'uomo sulle cose esterne e ne lo fa seno, invece di rivelargli la sua inesauribile ricchezza in•e– riore che no lo ft1.donuo. Questo è il lato dissolvente, fnnesto, demoralizzante del concetto materialistico della vita, assunto come norma di condotta e di tattica, sia da socialisti, sia da individualisti. Al resto non ri.::1pondo. È retorica e non di buona lega. ANGELO ÙRESl'I. Lasciamo ancora una volta aJ Ettore Ma.rchioli opporre - se vorrà - a questa " ultima replica,, la sua ultima controreplica. Orma.i, se non c'ingan– niamo, le argomentazioni contrarie si ripetono, l"i111• balza.te , come un pallone, dal pu~no di ferro di due concezioni reciprocamente irreducibili. La polemica. ormai è ridotta a piéti11e;- s11rpiace o a divagare. Qui, per la coere.11za nostra, ci limitiamo u consta- Come poi codesta rigidità materialistica si concilii coll'idealismo misticamente umanitario onde il Crespi fa pompa, è cosa che riguarda. hl sua logica e la sua coscienza. IJonti\ sua, egli a.mrnettn che il diritto di– vino dell"imprenditore sia suscettibile, non g-ii\ di venir rovesciato, ma di venir controllato (?) dal la– voratore, come parte dell'iutera. nazione. Concede in– somma un qualche tèmperamento costituzionale al
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