Critica Sociale - XVII - n. 13-14 - 1-16 luglio 1907

202 CRITICA SOCIALE sono avuti, è vero, 80 concorrenti; ma di questi, 20 pro– venivano da Napoli, 17 da Palermo, 17 da Roma, 10 da Bologna, 6 da Firenze, 6 da 'l 1 orino 1 4 da Cagliari. Similmente, nell'ultimo concorso per la carriera di concetto nel Ministero dei Lavori Pubblici, si sono pre• sentati, è verissimo, per 25 posti 1 156 concorrenti (nu– mero, del resto, non esorbitante, io confronto di quelli che si avevano un tempo), ma 51 provenivano dall'Uni– versità di Napoli, 39 da quella di Roma (e anche gli studenti di Roma sono in massima parte napoletani, calabresi, siciliani e sardi), 27 dalle Università di Si– cilia e Sardegna, e solo i rimanenti 3!)erano dati dagli A tenei delle altre regioni d'Italia. Ora, si domanda: è lecito 1 è politicamente opportuno che lo Stato, sfruttando le cattive condizioni econo– miche del Mezzogiorno, vada sempre più immeridio– nalando le pubbliche Amministrazioni, dando così loro un carattere esclusivamente regionale, e di regioni che, purtroppo, sembrano avere della correttezza ammini– strativa una concezione tutt'affatto speciale? O non dovrebbe, migliorando gli stipendi, cercare che il grande esercito della burocrazia civile fosse composto di tutti i cittadini del Regno, e, possibilmente, dei mi• gliori cittadini? Si. rientra qui in una seconda osservazione, che oc– corre fare a proposito della legge della domanda e del– l'offerta: e cioè che, oltre alla quantità dell'offerta, è necessario - come del resto ha fatto notare pure l'ono– revole Bertolini - aver riguardo anche alla sua qualità. Per esempio - a quel che ci consta - i concorsi per la magi:::tratura non sono mai andati deserti; ma quanta zavorra non ànno essi elargito allo Stato? Fatti recenti ce ne dànno, purtroppo, luminosissime prove. Rimane infine un'altra capitale questione. Lo Stato, anche quando l'offerta sia copiosa e sia buona, non può approfittarne oltremisura imponendo o mantenendo sti– pendi di fame, perchè 1 insieme a degli scopi economici, esso à o deve avere degli scopi etici, che gli impedi– scono di agire come un privato speculatore qualsiasi. Inoltre, anche rimaneudo nel campo esclusivamente economico, è da rHiettereche la rimunerazione dell'im– piegato pubblico consta di una retribuzione presente (lo stipendio) e di una retribuzione futura (la pensione), la quale ultima entra come un fattore importantissimo nel calcolo del privato per indurlo a far parte della pubblica azienda. Ma la pensione è perduta del tutto dal funzionario che si dimetta; sicchè egli, dopo un certo n~mero d'anni che presta servizio allo Stato, non può abbandonarlo per non perdere una gran parte del frutto del suo lavoro; egli non può liberarsene e ap– profittare delle vicende favorevoli del mercato. È dun– que una suprema ironia l'esortare i funzionari che si lamentano dei cattivi stipendì a lasciare l'impiego pub– blico per passare a quelli privati, e il dedurre dal fatto, che il passaggio non avviene quasi mai, che i funzionari si lagnano di gamba sana. No; i funzionari pianterebbero in asso tante volte, ben volentieri, il preteso canoni– cato dell'impiego pubblico, se lo Stato liquidasse intera– mente quanto deve; ma lo Stato non paga quella specie di assicurazione, che costituisce del compenso dovuto all'impiegato una parte sostanziale, nè rimborsa i premt che i funzionari per percepirla. ànno versato con anni e anni di lavoro; e perciò questi ultimi, per non per– dere e l'una e gli altri, debbono rimanere in servizio anche quando la loro attività frutterebbe altrove di più. Ora, data questa impossibilità negli impiegati pubblici di ùisiuvestire la loro opera, sarebbe giusto, sarebbe equo, anche prescindendo da criteri etici, cbe lo· Stato non calcolasse gli stipendi sui prezzi che segna, per la prestazione d'opera, momentaneamente il mercato, ma li tenesse sempre a una media altezza o li elevasse (anche se non costretto dalla necessità di non farsi sfuggire gl'impiegati), quando apparissero manifesta– mente esigui. Ammesso pure, adunque, con l'on. Bertolini; che per pereq_uazione fra. le condizioni degli impiegati pubblici e quelle degli impiegati privati non si deve intendere io modo assoluto uguaglianza di stipendi i non pos– siamo però ammettere, senza le restrizioni fatte sopra, che la rimunerazione dei pubblici funzionari" debba sempre essere fondata sulla legge della. domanda e dell'offerta. ... Ma qui viene affacciata dall'on. Bertolini uo 1 altra grave difficoltà. Lasciata anche da parto la questione del maggiore o minor numero di persone aspiranti ad impieghi pubblici, il più serio ostacolo a un aumento degli stipendi starebbe nel fatto, che lo Stato è sempre obbligato, " in causa della stessa pr~mordiale essenza. di qualsiasi pubblica amministrazione, della necessità di complicati congegni di controllo, e, sopratutto, in causa dell'asservimento dell'amministrazione alla poli- · tica, dell'abuso di protezione e di clientele, delle in– frammettenze parlamentari, ecc. ni ad assumere un nu– mero di impiegati superiore alle esigenze del servizio e a non disfarsi di quelli che risultino inutili. Anche questo è vero, ma solo in parte; in ogni modo non à, o almeno non dovrebbe avere, una tale gravità da impedire la. desiderata riforma. Diciamo "non dovrebbe avere n1 perchè non crediamo che l'asservimento dello Stato alle clientele e la subordinazione degli interessi pubblici ai più meschini e loschi interessi privati co– stituisca, in tempi normali, una regola per un Governo che si stimi tale. In ogni modo, dato pure e non concesso che anche il miglior Governo non sappia resistere alle pressioni e alle inframmettenze illecite, ed ammesso anche che sia insita nella natura della burocrazia la tendenza ad ampliar sè stessa.; ragione di più questa per adottare ogni tanto il rimedio radicale dello sfollamento e delle amputazioni, onde impedire che la fungaia. degli im– piegati cresca tanto da soffocare il respiro alla nazione, e danneggiare, in definitiva, gli impiegati medesimi. Ma la burocrazia ricresce, osserva l'on. Bertolini, ap– poggiandosi all'esempio di quanto avvenne in Francia dal 1871 io poi. Ebbene, e il paese tagli e non si stanchi di tagliare le teste e i tentacoli rinascenti di questo mostro 1 e conseguirà così, con mezzi energici ed ecce– zionali, quello che non si può conseguire per la via piana, appunto come nei casi, io coi la popolazione aumenta al disopra delle sussistenze, interviene l'ine– sorabile Parca a falciare il numero esuberante, e a ri~ stabilire, in modo doloroso ma necessario, il pareggio. Quel che ci vuole - e che sembra mancare alla nostra fibra di Soderini più che di Machiavelli - -"ODO !'energia e il coraggio. Il fermarsi davanti a una ri– forma, solo perch'essa appare difficile o richiede una certa fatica o conturba la pace di qualche persona, non è degno di chi si sia assunta la grave responsabilità di governare un paese, nè è degno di un paese che sappia provvedere ai propri destini. Del resto, non esageriamo. Si potrà trovare qualche difficoltà e qualche resistenza ad abolire un Ufficio, quantunque di simili ·abolizioni si sia già avUto anche

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