Critica Sociale - Anno XVII - n. 12 - 16 giugno 1907
CRITICA SOC[Al,E 187 dell'uguaglianza economica, non dovuto al capriccio o all'avidità della classe operaia, ma sorto spontaneo ed irrefrenabile da che la civiltà. e Il progresso, coll'abbat– tere le altre disuguaglianze, ànno reso l'ultima più odiosa e gravosa. 11 La disparità. delle ricchezze - scrivo anche Il Oide nell'opera citata ( 1 ) - è divenuta più Insopportabile agli uomini via via che tutte le altro disparità che li separavano caddero l'una sulle altre. Le leggi ànno realizzato l'uguaglianza civile; il suffragio unlvorsale ;\. conferito l'uguaglianza politica; la diffusione crescente dell'Istruzione tende a far pure regnare una specie cli uguaglianza Intellettuale: solo l'Ineguaglianza delle ric– chezze rimane, e, mentre era essa un tempo qua.si dis– simulata dietro ineguoglianze più alte, èccota appa rire al primo piano e concentrar su sè stessa tutte le ire. 11 Il socialismo, adunque, ubbidisce alle leggi del pro• gresso, o n. lui vanno rivolto tutto le accuso e le locli cho merita. questo. Nessuno è più convinto di uoi che il progresso è un immane lavoro di Sistro o una immensa tela di Penelope, e che l'uomo è condannato da natura a un eterno supplizio di Tantalo (ci si scusi questo srorzo di coltura mitologica) appunto perchè l'uomo agogna sempre a quella benedetta assoluta felicità. che gli sta eempre davanti e che non può mal raggiun• gerc. Ma dobbiamo per questo pigliarcela col progresso, con la natura, con l'universo intero? Dobbiamo onche noi concludere che questa vita, giacchè non è del tutto come noi la vogliamo e coma desiderammo foggiarla con le nostre mani (sa dio che pasticcio verrebbe fuori!), non vale la pena di viveri&.? Eh no! Dacchè ci siamo su questa terra, dacchè abbiamo ratto lo sproposito di venirci invece di preferire Marte e magari Venere, dacchò altra. vita non è possibile e nemmeno immaginabile, v·– viamola io santa pace prendendo il buono dov'è e senza dare inutilmente la testa nel muro, ribellandoci a ferree ed ltnmulablll leggi. Ora ti rinunciare al progresso e Il rintuzzare i bisogni, come I buoni borghesi consigliano agli operai, è un rinunziare alla vita 1 visto e considorato cho gli uni sono legge de\1 1 a\tra.. Non è dunque da vedere o da discutere se i buoni borghesi seguono la strada da loro indicnta; è da vedere se questa sia strada possibile, e noi rispon• diamo recisamente di no, percbè contrarla alla corrente della civiltà, che à ormai pure travolto nel suoi gorqhl e nelle sue onde la classe operala 1 spingendola vlolcn• temente alla caccia d'una nuova e maggiore felirità, sia pur questa inesistEnte e illusoria. . .. so.- Ma è poi inesistente, è poi Illusoria davvero una maggiore felicità per la classe operala? Anche qui conviene intendersi. Quando noi parliamo di felicitò. costante, non esclu• diamo affatto che la felicità abbia degli alti e bas~i continui, delle continue variazioni in senso contrario, che la ranno oscillare intorno a una media sempre uguale. Essendo data la felicità. da un perretto equilibrio tra bisogni e mezzi per soddisfarli, essa è costante da tempo a tempo, da condizione n. condizione, percbè a un aumento di mezzi corrisponde sempre, per legge im– mutabile, un aumento di bisogni, e ad un aumento di bisogni non può a lungo non corrispondere un adeguato aumenfo di mezzi senza che il bisogno, o meglio il do• lore che lo determina, non si atroflzzt e scompaia, o, ledendo L'organismo, non risolva con la morte il p·o– blema della felicità e della vita. Ma l'equilibrio non si fl) P,·l11clpu d'lco110111ltpo/Uiq1tt, pag. S9S. stabillilco ipso facto: esso tende a. stabilirsi; ed è ap• punto nell'intervallo che intercorle tra l'aumento di bi– sogni e Il corrispondente aumento di mo,.,1.ichA si ra sentire acuta e acerbissima. la. nostra. ln:ollcitl1. La regola della vita non è l'esser sempre felici o sempre lnfollcl; la regola è data di\ un passaggio con– tinuo dal dolore al piacere o viceversa. Raggiunta In AOddisfazlonebramata o vinto Il dolore sofferto, altre soddisfazioni ed altri dolori non tardano a presentarsi per adescare o tormentare il nostro animo e far dimen– ticare completamente la felicità. conseguita per un at– timo rnlo; slcchè non ò d'una maggioro felicità che noi l\ndiamo In cerca, ma ò sempre della medesima felicità. che im1>rovvisaci sfugge di mano quando pili crediamo di tenerla serrata. Dobbiamo per questo venire alla solita melanconica conclusione cho il nostro è un lavoro inutile od illu– sorio? Inutile niontaffatto, od illusorio neppure, perchè tende a ristabilirci sempre in una posizione psicologica, che viene sempre a mancarci o sema la quale impos– sibile o veramente infelice sarebbe R.noi l'esisten:u1. Qnesto diciamo in genere, e questo ripetiamo nella specie per quanto riguarda la. felicità della chu;se ope– raia. Con,•eniamo benissimo che i la,•orntorl nl)n saranno eterna.monte nò completamente felici e soddisfatti Qllando avranno ragginnto la mèta che tanti agognano e per cui tanto si affannano; ma la qttostione ò che esqi 1 nt• tuulmonte, sono ancora mono felici o mono soddisfatti, àuno perduto quella. tranquillltò. di spirito, quell'equl– lilJrio dell'animo, quella apatia o quella rassegnazione che a,•evano un tempo, e sentono quindi la neces itil, per vivere, di conseguire non una nuova o una assoluta e stabile felicità, ma lo stesso grado di benessere mo– rale In cui si trovavano prima. Se è dunque esatto l'affermare che i IR.voratori non saranno più felici in avvenire di qmrnto lo furono in passato, non ò niente esatto il sostenere che essi siano felici al presente; essi Infatti si trovano In quel perioc1o transitorio, comune a tutti gli uomini, In cui nitri pi8- ceri ed altri dolori ci si presentano innanzl, e prO::lucono altri desideri ardenti ed altre pene, cho fllllno obliare completamente le gioie e le soddisfazioni raggiuute 1 e ci rendono Irrequieti e scontenti flnchò non al.lbiamo conseguito la nuova mèta, o non siamo con,•inti, dopo vl\nl e ripetuti srorzl 1 di non J>Oterlaaffatto conseguire. È questa una legge dell'animo umano, e non è in nostra facoltà di considerarla abrogata nel ri1,ruardi di una categoria di uomini. Del resto, noi abbiamo ~sami– nato abbastanza IL lungo corno i nuovi desideri, le nuove aeplrazloni, i nuovi bisogni della classe operaia dipen– dano da un rapido mutamento dell'ambiente stesso in cui la classe operaia vive, e non sia essa quindi respon– sabile d'aver perduto quella feliciti\ che ora à il diritto indiscutibile di ricercare. Il consigliare quindi oggi la calma, la trauq11\llità 1 la serenità. ai lavoratori ò una suprema Ironia. F.ssi l'avevano la calma. e la serenità, prima che la grande industria e il regimo capitalista venissero a lanciarli nel vortice della moderna vita agi– tata e convulsa. Sotto Paspetlo del benessere morale, se non pure di quello materiale, gli operai cl'oggi giorno, i salariati, ànno tutto da 1uvldinre agli artigiani d'un tem))O.Questi, uniti e serrati nelle loro corporazioni cli mestiere, erano pagati bensl dal maestri, ma. non sta– vano di fronte a loro nei rapporti antagonistici di sala– rlatl a padroni. L'etimologia stessa dl compag,ume (cum prrne), ovverosia commensale - secondo nota anche il Oide - rivela abbastanza bene l ra.pportl che 1 almeno
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