Critica Sociale - Anno XVII - n. 12 - 16 giugno 1907

18G CRITICA.SOCIALE mentre i dolori morali accompagnano, Benza ingiuste preferenze, qualunque condizione sociale e qualunque stato di rortuna. Lo stosjo Oide, quando passa a dimo• straro il suo a,~orto, non cita che dolori flstci. • l sobborgJ1l operai ttl Parigi - egli 11crive - con– to.no un numero dieci volte più grande di tubercolosi eho n on il quartiere dei Campi Elisi. In Inghilterra rl– oiultn da numerosi calcoli statistici che la diirata dello dia media nelle clas.!11 ricche è da !>5a 56 anni, mentre s'abbassa a 2H anni e anche meno per la classe operaia. Secondo la 8latlstlcR tiella città di Parigi, la mo1·t0Utà generale, cbo scendo fino a 10 per 1000 nei quartieri ricchi dei Campi Eilsl e dell'Arco lii 'J'rlonfo, s·eteu a 43 per 1000 nel quartiere dì :Montparnaese. A Londra peggio ancorn. Secondo l'Ufficio Sanitario, la mortalità, varia da I1,8 J)0r 1000 nello caso ricche, a 50 per 1000 nelle case povere. Stando a questi conti, ndunque, un ricco à. qunttro o cluquc probabilità di più di vivel'e cho non un povero. 11 Prolrnbilit:\ di vi\•ere 111 1 di essere vera.mento felice no. La vita non ò di per sò stessa una felicità, visto che molli vi rinuncerebbero volentieri se non avessero timore della morte, o che i J)llLrisoluti non titubrrno spesso n proferir la seconda alla prima. E anche le infermità., i dolori fisici, divenendo abituali, si rendono sopportabili e l'uomo Il mette nel novero di tutte le altre immanca– bili nolo, ingegnandosi a prendere Il mondo com'è, e a godere con maggiore Intensità quel poco di salute e di hene che gli rimane. Come si spiegherebbe altrimenti che I ciechi sono generalmente giocondi ed ilari, che a persone affetto da malattie croniche e trascinanti la vita da anni o anni nel tondo d'un ospedale non man– cano il sorriso e la serenità sul volto, che uomini tenuti in galera per un lungo periodo cl &lsono talmente a.ssue• ratti che non ne vogliono uscire ad ogni costo, o ranno di tutto per ritornarci P L'abitudine è una seconda na– tura per l'uomo, ed ò Il farmaco ptii potente e ripara– tore per lo eue plaghe e I suoi mali 1 ridonando all'animo nostro quell'equilibrio col mondo esterno che ci rende sopportabile la vita In qualunque ambiente e in qua– lunque stato. Jnfattl la caratteristica più saliente del– l'uomo forte ed equilibrato ò quella di non curare i mail più cl &l trova Ingolfato, e di appigliarsi sempre, come a tavola di salvezza, alle poche gioie che gli si JHlrandavanti. Notevole, e rilevnta dn tutti, ò per esempio la 11ponslerato1,zariel poveri In confronto al cumulo dei pen&lerl che tormentano le persone agiate. Mentre queste si crenno un'Infinità di preoccupazioni e di dispiaceri, mentre ranno una questione di Stato d'ogni più piccola Inezia, mentre la nascita d'un figlio di più è per le loro case un disastro, e l'allevamento e l'educazione della prole un problema Insolubile, i poveri, mancando per loro fortuna cli centri Inibitori o avendoli saputi atro• fizzaro, lasciano provvedere al buon dio, vivono alla giornata abbandonandosi alla corrente della loro sorfo senza contrastare con le onde, ncchìappano a volo il piacere dov'ò e com'ò, e ne godono serenissimamente senza pensare al domani, 0 1 come son capaci di spendere in llb11zionl o in pautagruelicho scorpacciate il salario di una settimana, cosl, dandosi In braccio all'amore, mettono al mondo un figlio dlotro l'altro, per lasciare a tutti l'ere,Htà. del toro stracci e dello loro infinito ed inesaurlbill Illusioni e SJ>eranze. La miseria, generalmente, fa 1>iùpeon n chi la vede che a chi la provn; ò un fenomeno J)iÙ brutto oggetti– vamente che soggettivamente. li benestante, che scorge Il proJ)rlo simile nell'indlgenza, ne sente una viva com, pR.!lslone;ma ò un sontlmento il suo che à. più radice nell'egoismo che nell'altruismo. Egli prova pietà perchè immagina di vedere ad un tratto sò stesso nell'identica condizione, e pensa che dolore proverebbe se dovesse d'un sùbito rinunziare al beni che à 1 a cui s'è assue– fatto, e la cui rinunzia tornerebbe molto più amara a lui che non al povero abituato dalla nascita o da lungo tempo a farne a mono completamente. A tutti noi, del resto, se non avessimo, nella maggior parte dei ca&I, il ben fondato Umore di poterne ei-ser vittime, le sofferenze del prossimo cl farebbero usai meno pietà, come ci rauno meno o nessuna pietà I mali che sappiamo toc– cati ad esseri In condizioni tutt'sffatto diverso delle no– stre, o le cll11grazieohe capitano mille miglia lontane. ln ogni modo, è certo che l'uomo non usa altra misura C'he sè stes110per valutare i sentimenti altrui, e, come l'Individuo onesto si maravlglla che il delinquente non senta alcun rimorso del amo malfare, cosl li benestante, ohe &bbia timore della miseria per conto suo, ò indotto a credere cbo l'indigente soffro. tutte le torture e I pa• tlmenti obo Aflliggerebboro lui ,ie venisse bistrattato do.Ila fortuna. t; un modo di pensare e di sentire Ine– rente alla nostra natura, la quale ci induce porftno n proiettare nel morti i nostri sentimenti, e a farci erodere che noi stessi o i nostri cari, una volta usciti da questa valle di lacrime, preferiremo, per esempio, la crema– zione o la sepoltura, delle pompe solenni o mode3te, un cantuccio nel camposanto comune o una cappella monu– mentale a tutta nostra dl1poslzione. La miseria, aduoquo, non è tonte di per sè stessa di sofferenze morali e d'infelicità, almeno quando non giunge all'estrema mancanza di tutto, che allora non è questione di felicità o Infelicità, è questione di vita o di morte. Ma la miseria ohe non attenti 'liolentemente all'eslstenz!l e 1 più o meno rigogliosamente, ci lasci in piedi, la mi1erla., Insomma, a cui s'è ratto 110,so e che consideriamo ormai come l'unico tenore di vita a noi riserbato, non dà maggiori o minori sofferenze morali della. ricchezza, per la solita ed eterna ragione che a più forti e più numerosi col1>I od attacchi provenienti dal mondo esterno tanno riscontro uno. più grande in– son,lbiUtb. e una J)H1profonda apatia. ... 29. - Concludendo, riteniamo anche noi, in ma.sslma 1 che In rellcltà &la costante da tempo a tempo, uguale da classe a classe, e non aumenti col crescere del pro– gresso o ~ella civlltà. Ma, ammesso questo, dobbiamo pure ammettere che l'odierno movimento della classe operaia verso un avvenire migliore è inutile ed illu– sorio ? Qui sta il busillis I Innanzi tutto, per noi, ogni apprezzamento malevolo o benevolo ò qui tuor di posto. Padroni coloro, che ri– tengono le Istituzioni sociali un mero prodotto dello 11plritoumano, di far da pedagoghi a questo spirito, di mandarlo a 11eoletta,e di volerlo indirizzare sulle vie che essi reputano della saluto. Noi non ci s~ntlamo da tanto, perchò erodiamo che lo spirito umano abbia anch'esso le sue leggi, e possa., In nomo di queste, inftschiarsi della nostra Ingenua morale. Ora, una di queste leggi 1 la principale, se non l'unica, l'abbiamo vista ed esami• nata: il bisogno; ed abbiamo aoobe visto come il bisogno non sia uo alcun ohe di identico o di 10Homesso alla volontà. ed al libero arbitrio. Come dunque parlare di bene o di male 1 di giusto od Ingiusto, di esatto o di er• rato? SI parli di necessario o di non necessario, e sarà l'uolca. ba&e su cui J>Otrà.condursi la discussione. 11 movimento operalo è appunto un fenomeno neces– sario come ia &tessa civiltà e lo atesso progresso, di cui ò figlio legittimo. 11 aociallsmo scaturisce dal bl1ogno

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