Critica Sociale - Anno XVII - n. 10 - 16 maggio 1907
152 Clt!TICA SOCIALE irregolarità, illegalità e colpe? Quale fu il giudizio della Corte dei Conti, del nostro supremo Minosse, e Jlatteggiamento e il conteg-no, cli fronte alle irre• golarità 1 alle illegalità, alle colpe? Quali le respon– sabilità del ministro e quali quelle della Corte? La rosponsabilità di chi lascia fare il male quando ha la missione di pre,•enirlo, non sarebbe forse mag– giore della. responsabilità di colui che lo fa? E non avrebbe la sanzione doverosamente rigida della Corte, in questo, come negli innumerevoli altri casi, tagliato il male alla radico e impedito di riprodursi? Cominciamo dal caso Nasi, perchè esso ci fornisce un prezioso documento ufficiale, dove sono consegnate le prove della docile acquiescenza. della Corte dei Conti; e perchè costituisce un episodio tutt'atfatto caratteristico deHa ,,ita pubblica italiana. Attorno al caso Nasi fu sollevato un immenso scalpore di scan• dalo, come davanti a un fatto eccezionale. Ma che .eccezione! Lasciateci frugare liberamente nei sacri archivi de1la Corte e ficcare lo sguardo nei suoi ,•er– bali, e vedrete. Nè occorre tanto, francamente. _Il più elementare buon senso e i dati che abbiamo ci avvertono che quello fatto al Nasi dalla Corte dei Conti 11011 pote,•a essere un trattamento speciale, mentre è notoria la tendenza generale delle ammi· nistrazioni a sconfinare nelParbitrio. Parvero ecce• :donali le constatazioni dei cinque, sol perchè il loro esame si limitava all'affare Nasi, e tutto il resto rimaneva nel buio: non tanto però che quelle con· statazioni non gettassero vivi sprazzi di luce nel1a tenebra. Certo, la lettura della relazione tramandataci dalla Commissione dei cinque è uno sbalordimento. E sa– rebbe da augurare che le invocate Commissioni di là da venire sbalordissero di meno. Lo auguriamo sinceramente; ma la nostra fiducia su questo punto è scarsissima. l'er noi l'affare Nasi è un terribile atto di accusa contro la Corte dei Conti e un indice di estrema gravità della sua disorganizzazione morale. Come mai è possibile che un uomo diSJ>Ongaa suo talento di un bilancio dello Stato, e passi sopra indisturbato a leggi e a regolamenti, quando ogni atto passa at– traverso il controllo della Corte dei Conti, e quando il paese si paga questo controllo appunto perchò i bilanci, le leggi, i regolamenti non restino alla mercè di un ministro o di un funzionario qualsiasi? Non vi ha dubbio che, dati i nostri minuti e mac– chinosi congegni di controllo, un uomo solo non avrebbe potuto, senza la complice e favoreggiatrice acquiescenza della Corte dei Conti, arrivare a tanto e nemmeno uscire dalla legalità. D'altra parte non è troppo da stupire che la Corte esca così malconcia dall'inchiesta sull'affare Nasi, porchè non le sarebbe forse accaduto dirnrsamente, in tema di illegalità e di arbitrio, a parte la gravità piì1 o meno grande dei risultt1ti, se le inchieste fossero state estese ad altri rami dall'Amministrazione pubblica e al rela– tivo controllo della Corte. Ciò attenua i casi singoli o lo stesso caso Nasi, e rivela invece, in tuUa la sua trista luce, l'assurdità e la magagna del sistema. Ma il caso Nasi, come dicevamo, è tipico e rap– presentativo; e perciò da esso cominciamo: tanto pii1 che non si presta oramai, dopo le risultanze dei Cinque, a rettifiche o a sofisticazioni. Dai documenti ufficiali depositati alla Corte dei Conti - alla Corte dei Conti, si noti - e le cui ri– sultanze furono solennemente consflcrate nella rela– zione della Giunta Generale del 13ilancio sui con– suntivi 19Q2-903 e 1903-904 1 balza fuori la prova dell'opera negativa della Corte stessa di fronte ai fatti che poi sono divenuti per il Nasi e per la sua amministrazione altrettanti gravis1:1imi atti di ac– cusa. La legge organica 3 luglio 1902 n. 248 aboliva, ad esempio, i "comandati ,.,. La Corte dei Conti tol– lerò e approvò che questi fossero, ciò nonostante, mantenuti, mentre avrebbe potuto facilmente repri– mere questa flagrante violazione della legge, respin– gendo i mandati con cui si pagava quella categoria di impiegati, da1la legge soppressa. E anehbe reso un servizio al Nasi stesso, che specialmente nelle pattuglie dei comandati ebbe i più efficaci col1abo– ratori del disordine e dell'anarchia. Il capitolo 3 destinato ai compensi straordinari, che constava., nei due esercizi sommati, di 102 mila lire, a furia di successivi ingrossamenti a scapito di altri capitoli, saccheggiati, e dei relativi servizi, di-. venta di circR. 224 mila lire. Ma poichè il Parla– mento fissa, determina l'ammontare del1a spesa di un dato servizio, come mai questa spesa si potè ar• bitrariamente superare senza che la Corte - alla t.Juale il Parlamento si affida perchè aia rispettata la sua volontà - si opponesse come glie ne faceva obbligo la legge di sua istituzione? E si rifletta che la Corte dei Conti in questi casi può opporre il veto assoluto/ Perchè non lo fece? Ma non basta: i mandati in parola sono sforniti di qualsiasi documentazione, di qualsiasi indicazione che abbia riferimento al1a natura dei lavori straor– dinari, al tempo, al luogo in cui furono compiuti; mancano 1 insomma, tutti gli estremi che valgano ad identificw·e quei lavori straordinari, e che offrano la possibilità di poterli rintracciare, qualora il Par– lamento - che ha sempre dubitato della loro esi– sttmza - volesse assicurarsi della loro veridicità. È veramente enorme che la Corte dei Conti, in offesa alla legge di contabilità e alla sua medesima legge costitutiva, abbia lasciato ad. un ministro la libera disponibilità di più di 200 mila lire senza richie– dergli alcuna. documentazione, alcuna giustificazione. E questo fosse tutto; ma la lista, ahimè, è intermi– nabilmente lunga! La legge del bilancio dice nella maniera più chiara ed esplicita che u le spese di qualsivoglia natura per gli addetti ai Gabinetti vanno imputate al capitolo 4 ,, ? Non importa; al Nasi occorrono 30 mila lire di pilì per retribuire i suoi gabinettisti, e se le prende dai capitoli 3 1 12 e 86. E la Corte, che avrebbe potuto, anche qui, opporre il veto assoluto, lascia allegra– mente passare. La cecità, chiamiamola così, del1a Corte dei Conti è completa quando arri,iamo al ca• pitolo 7: " spese di ufficio,,. Grazie a quella strana cecità, che permise di imputare su questo capitolo ~pese, che non avrebbero potuto trovarvi assoluta– mente imputazione, (tra l'altro si parla di cornici, di travi, rli bolloni, di catene di ferro), la spesa di questo capitolo, preventivata per i due esercizi in esame in L. 138.400, raggiunse la enorme cifra di L. 278.738.11. Nè più difficile contentatura ebbe la Corte dei Conti per le ragguarctevoli spese di "rinfreschi " che, in– vece che dal1e fatture dei fornitori, le quali sareb– bero state gli unici titoli giustificativi, erano suffra– gate dalle quietanze rilasciate all'economo da un commesso. Non c'è ehe dire: la Corte è estrema– mente riguardosa per tutti, tranne che per...... la. legge. Diamine, non s'ha ad aver fiducia di un usciere scelto dalla fiducia di un ministro, scelto a sua volta dalla fiducia di Sua Maestà? Nè si creda che qui sotto non ci sia che un apparente bisticcio; c'è lo spunto di una teoria, che ebbe il suo quarto d'ora di esilarante celebrità! Intorno al capitolo 9, u spese di adattamento e manutenzione di locali dell'Ammioistraidone Cen– trale,,, ci limitiamo a riportare da un documento parlamentare (1) queste gravi considerazioni, che suonano, nella loro secca concisione, indignata cen– sura a11'operato della Corte: - "Io un quinquennio ( 1) Leglsl. XXII. SeBBlone 904·90~. Dooum, N. l·A e 2·A, pag. 311.
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy