Critica Sociale - Anno XVII - n. 6 - 16 marzo 1907

CRITICA SOCIALE 91 esso chiudere il periodo feudale con uomini come Carlo Cottone e Giuseppe Ventimiglia. Oggi quella stessa rarità non è pii, riscontrabile. Dei rapporti 1 che i I carattere feudale della possi• <lenza in Sicilia determina tra latifondista, gabelloto e coloni, abbiamo detto abbastanza e diremo ancora in appositi paragrafi nel corso di questo scritto. Qui mi pare sede più propria per ritornare sul con• trasto di classe che quel carattere di foudalità pro– voca tra il proletariato dei centri rurflli e la bor– ghesia dei grossi centri, invitando il lettore a rive– dere quanto in questo proposito ho scritto nella prima parte del presente studio: La lotta di rlasse •iu Sicilia, edita dalla stessa Critica, sociale nel 1896. li borgo rurale, perduto in mezzo ai latifondi, è in rapporto di vassallaggio verso le città. - Paler· mo specialmente - dove la vecchia nobiltà e la recente borghesia. si sono accentrato. Qualche fami– glia signorile, in grazia del regime rnppresentativo) si è ora fermata nel nati \'O paesello por occupare i poteri amministrativi e politici; ma tale famiglia riesce a dominare perchè fa conup1ella con gli altri della stessa risma, ,,iventi nel capoluogo della Pro• ,·incia o a Palermo. Inoltre, per lo più i piccoli 1>aesi dell'interno eleggono a consiglieri provinciali e a deputati persone nate o acclimatate nei capoluo• g·hi provinciali o io centri maggiori. Oli interessi predominanti in tali centri sono in aperto contrasto con quelli del proletariato rurale. Il proletariato industriale vi è scarso per difetto della grande industria, o vi assume, come ho dovuto rilevare altre volte, piuttosto carattere di servo della. casa che di operaio della officina; e la cittadinanza. vi è, nella generalità, composta di nobili decaduti, lati– fondisti, professionisti, commercianti, impiegati, ar– tigiani, creaU, preti 1 sbirraglia, camorristi e mafiosi - tutti viventi sulla grnnde possidenza fondiaria e collo sfruttamento del proletariato agricolo. Questo stato di cose dura, più o meno immutato, da. più secoli, e non può cessare se non trasformasi l'ordinamento feudale della possirlenza. Il La Lumia così descrive lo stato sociale di Palermo all'epocfl dei tumulti capitanati da Giuseppe D'Alesi nel 164 7: u Quell'aristocrazia siciliana, da. ogni punto dell'Isola adunata nell'antica metropoli, non potea mancare di avervi preponderante influenza j i Principi, I Duchi, i Conti, i Marchesi, i Baroni s'incontravano ad ogni passo; nella prima decade del xvu secolo si annoveravano da lunga. pezza. stabilmente fiisate non mono di settan• tatrè famiglie nobili (come allora. diceva!II) di a,mi cento e di qum·ta generoz(oue i nitre additavansi trapiantate cli fresco; altre \'enivano nobilitandosi 1>eracquisto re– cente lii sìgnorle e di terrc 1 per dignità e per dovizie conseguite nell'esercizio della toga. La borghesia cre– scluta di numero, e, In rag,Juaglio al passato, cresciuta. t:iziandio d'importanza; ma in massima parte composta sempre di curiali, notai, ragionieri, scrlnni, tutta g,mte <'be, in apparenza. non servendo alcuno, volere o non volere, lucrava e viveva sui grandi.,, Le case principesche nutdvano a Palermo un largo codazzo di vario servitorame e di bravacci tratti dal malandrinaggio dei latifondi deserti; ai loro servigi vivevano pure i professionisti e le maestranze - ogni artigiano ambiva ad assurgere a mastro di la casa di qualcuna delle famiglie ricche. Uon le innumere chiese di Palermo, posseditrici di grande reddito, e con i conventi e monasteri ricchi cli molta parte del territorio siciliano, oltre allo stuolo d'impiegati e servi, viveva sulle continue e fastose funzioni religiose un gran numero di sagrestani, apparatori, suonatori, 10cudifucara e simili esseri inutili ma sperperatori della pubblica ricchezza.. Le pompe funebri - Obiti - di carattere chiesastico, assai dispendiose, concorrevano al mantenimento di quella innumere classe di parassiti. n fasto princi– pesco si estrinsecava in gran parte nelle funzioni religiose: il vicerè Caracciolo, scrive Isidoro La Lumia, " trovò il cnato di Palermo obbligato per uso ad assistere ogni anno a. cento quaranta tra. processioni e funzioni di Chiesa, s ttraendo così funta parte del prezioso suo tempo agli affari e allo cure municipali; e, con suo di~paccio, ridusse a diciassette quellll lista cli superfluo comparse 1 ,. Le {igurelle (tabernacoli) infestavano in ogni canto di via con il piì1 lrnrl,arico culto idolatra; e di esse sta ancora a rappresentare una sopravvivenza me· dioe,•ole in piena epoca moderna la .lf{l(lonnc1, la bella in via i\facqueda. L' accattom1ggio em educato nella plebe dallo sterminato numero cli elemosine cli carattere religioso, le quali in fornrn, più degra– dante si erano sostituite al 1Jcme111 et circenses degli antichi Romani. Dal 1 60 ad oggi molto vecchiume è andato scom• ptlrendo in grazia della scomparsa dei conventi e del diminuito reddito dellt, chiese. Però il carattere di Palermo nei suoi rapporti sociali con l'Isola è di poco mutato, perchò immutato è il latifondismo siciliano, di cui propriamente Palermo è la capitHle. Il ceto professionale e quello commerciale, assai più sviluppati di prima, vivono con i reg11itoli che càla110 tutto dì a Palermo chiamati da miserevoli bisogni. Palermo non è città di produzione, ma un gran centru di consumo ed una grande fiera permanente; e adempie a questa doppia funzione con la enorme pomprL aspirante delle gr,belle e premente dei biso• gni dei~ 1·egnicoli 1 per cui il proletariato rurale è costretto a sommettcrsi alla grande città. ID il pri– vilegio baronale nntico passato nei grossi centri dell11.borghesia, il quale costringeva. il colono a la– vorare per poco grano, a vendere questo al signore al disotto del prezzo di mercato, a ricom1>rarlo da lui a prezzo di c1unorra, e a macinarlo nel mulino pure di sua signoria. li carattere saraceno e spagnolesco che si è voluto vedere nella. popolttzione cli Palermo, rite11endolo acquisito con lo dominazioni, è invece il po1·tato del rapporto di vassallaggio tra il borgo dei latifondi e il grosso centro signorile. Milano stette sotto il do• minio spagnolo quasi quanto Palermo, e ha conser• vato poco o nulla del ,•ecchiù dominio; altre città della Sicilia, pur avendo subìto le stesse vicende storiche di Palermo, hanno diversa fìsonomia morale. Il rapporto di vassallaggio, che i Comuni rurali hanno sopratutto con Palermo, rilevasi anche in qualche altra grossa città marittima. Trapani tiene economicamente asservita la propria pro\·incia, ed, incuneata tra Marsala e 1fonte S. Giuliano, ha suc– chiato di questi Comuni tutti gli umori vitali. In 'l'rn.pani, come in Palermo, imperano accentrati il monopolio fondiario e quello bancario, l'accaparra– mento dei prodotti e l'usura nelle anticipazioni dei mezzi di produzione. I monopolì economici sono resi più camorristici dai privilegi governativi di detti grossi centri j fra i quali privilegi è principale quello della sede dell'amministrazione della Oiustizia. Le Associazioni cooperative di contadini, però, mirano ora a sottrarro il lavoratore dei campi a tutte le suddette ladrerie e sudditanze, acquistando, cioè, le terre, i concimi, le sementi, gli arnesi di lavoro in forma collettiva e per via diretta; provvedendo col– lettivamente al credito agrai·io; vendendo in comune i prodotti depositiLti nei magazzini sociali; e po• tendo, con Segretnriati del popolo, assicurarsi una assistenza onesta f)er gli affari amministrati\•i e giu– diziari. 11 carattere feudale della possidenza fondiaria, oltrechè i rapporti suddescritti tra piccoli e grossi

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