Critica Sociale - Anno XVII - n. 3 - 1 febbraio 1907
CRITICA SOCIALE 45 CRQN ACA SOCIALE I net panificio dui·ante it lavo,·o noltui·JJo, È la schiavitù che permaue ! --- I ùormitorì per i lavoraoti sono un'ironia all'igiene; L'industria dellpanificazione e il lavoro n ttnruo dei f rnai. ~f,~i~,.f%eu,m;~~'i!~~di~gi!;~:~: 1~;K 1~.• 1 e ~~:ti 1 ~'t 1. L'industrùt. - 2, Le condizioni del lavoro e gli operai. - 3. Il lavoro notturno e la sua abolizione. L'Ufficio del Lavoro di Roma ha pubblicato un' u in– chiesta sul lavoro notturno dei fornai 111 e un'altra ne UiCirà a giorni " sul lavoro notturno rlei panettieri a Milano ,, fatta dall'Ufficio del Lavoro della Società Umanitaria. Stimiamo utile, sulla guida delle due Re– lazioni, dare alcune notizie sull'industria della panitìcn• zione, che è una sopravvivenza di medievale sporcizia e di medievale servaggio. . * • 1. L'in(lttsfria. - L'industria della panificazione è rimasta in una condizione di inferiorità. grande rispetto ai progressi fatti dagli altri rami dell'attività umana. " Il p~nificio attuale - dice il relatore romano - è, nella immensa maggioranza dei casi 1 i'limile a quello pompeiano e la fabbricazione del pane è antieconomica -· perchè soverchiamente frazionata - antiquata, co– stosa, antigienica. ,, L'assenza quasi completa della concorrenza fra produttori e prodotti di luoghi diffe– renti, per il carattere locale dell'industria che ne osta– cola l'accentramento, rende quasi impossibile il perfe– zionamento della panificazione e il sorgere della grande impresa e permette l'esistenza di tanti piccoli fornai poveri di mezzi. Questa povertà obbliga cotesti fornai, che sono il maggior numero, a ridurre al minimo Je spese e ad accrescere in tutti i modi, leciti ed illeciti 1 i guadagni: " a impiegar locali di• infimo ordine i a non far fatiche e spese per tenerli puliti; u. impiegar farine guaste o adulterate colle peggiori miscele; a non cuocer bene il pane, dando acqua invece di materia nutriente; a frodare sul peso; a far credito ai loro clienti; a trarre dal lavoro degli operai il massimo effetto utile, assog– gettandoli a uno speciale regime di semiclausura e protraendo la durata del lavoro i a impiegar ragazzi invece di operai. n La maggior parte dei panettieri in Italia produce pane per 40 o 50 famiglie; queste devono così mante– nere il fornaio, la sua famiglia 1 i suoi garzoni 1 pagare l'affitto, le imposte, ecc. Ecco perchè, non ostante il gran ribasso del prezzo dei grani, il prezzo del pane non è notevolmente diminuito. Notevoli progressi si sono ottenuti però nei panifici cooperativi di Londra, di Glasgow, dì Stoccarda, di r:ruxelles, ecc., ecc. In Milano, secondo l'inchie~ta dell'Umanitaria, che abbraccia 601 panifici, cioè quasi la totalità, soltanto il 13,81 °lo :sono provvisti di mHzzi meccanici e il paui– ficio più frequente e tipico è quello che, provvisto di uoa sola bocca di forno, impiega da 2 a 2½ quintali di farina e occupa 3 operai. Nel 31 1 28 °/tl dei panifici il proprietario partecipa direttamente alle manipolazioni del pane, con funzioni varie, e coadiuvato o dai membri della famiglia o da qualche operaio salariato. •*• 2. Le condizioni clel la.voro e gl·i openii. - L'in– feriorità di sviluppo della industria si ripercuote sulla condizione degli operai, che è tanto disgraziata quanto qnella è arretrata, e sulla igiene della industria, che non esiste affatto. Il quadro che diamo può ripetersi per tutti i paesi civili. Le industrie della Finlandia., della Germania, del– l'Inghilterra, della Francia, degli Stati Uniti, della ltepnbblica Argentina, persino del lontano Giappone, ricordate dal relatore romano, mostrano la universalità del problema dell'igiene nell'industria del pane. L'inchiesta dell'Ufficio del Lavoro di Roma rileva come il lavoro sia quasi dappertutto notturno. Il lavoro dura, nel maggior numero di forni censiti, da 11 a 14 ore; ma raggiunge anche le 20, le 21 e le 22 ore. In Milano, secondo l'inchiesta delPITmanitaria, l'orario medio complessivo è di 12 ore per l'infornatore e di 1S 1/ 2 per l'impastatore e il terzo_. Due terzi dei lavoranti su cui l'Ufficio del Lavoro di Roma ha raccolto i dati (1468 operai) sono rinchiusi pane, ecc.)i spesso tenuti nella più grande sporcizia; le lenzuola sono cambiate rarissimamente, e il ktto, che ha sei·vito la noUe pe,· il padrone, serve bene spesso di gio,·no pe,· i lavoranti; a volte attcom le squad1'e di giorno e di noue si avvicendano negli slessi lelti. Così scrive il relatore dell'Ufficio del Lavoro di Roma. E la. R,elai.ione di quello dell'Umanitaria rileva come il 3,0G °lo di cotesti dormitori non abbiano finestre i come nel 13,41 °lo due persone dormano in un sol letto; come uel 4,21 ° 0 si cambino le lenwola una volta al mese; come la pulizia manchi affatto uel 35,4-! °lo dei dor– mltort. I panifici, ce~siti dall'Ufficio del Lavoro di Roma, sono spesso sotterranei. E questi, mancanti di !neo e d'aria, u sm·el>berospesso 1- iù adatti per cloache che pei·panifici; spesso l'acqua trasu.ia dai muri e sorge dal suolo e le muffe ricoprono ogni cosa, quando pure non sono le acque dei pozzi ueri quelle che passano attraverso I~ male intonacato mura. 11 In quasi la metà dei panifici censiti, la circolazione del Fa ria è insufficiente; la illuminazione è per lo piìt a gas, cioè la più antigieuiC;\j più della metà dei pani• fiti non hanno condultw·a cl'ucqua J,Ola{),te all'interno dei locali di lavoro e l'acqua viene attinta a pozzi u lmppo spesso inquinati e spoi·chi w Le latrine, in più della metà dei panifici censiti, sta:ino presso i locati di laV01'0, e, su 520 panificì 1 ben 435 ì:anno te latrine sfor– nite di getto d'acqua. E l'inchiesta milanese conferma questi fatti. La netlezza dei panifici milanesi fu rtichia1'ala insuf– ficiente in 1 l l casi, e anche la pulizia riersonate degli oµerai lascia moltissimo a deside1·a1'e. Il fapone manca in più di 30'.) panificì. Sono provvisti d~ catini 205 panifici su 601, ma per lo più non sono usati 1 e la lavatura si fa. di regola. ne:te secchie del s :i.le o nel tazzooe. In 186 panifici (31 1 37%) si accede alla tall'ina dai locali di lavoro. E basta di queste porcherie! ... 3. J l l<wo·1•0 1t0ttn1·1to e la sua abolizione. - Si può, senza. tema di errare, affermare che la principale causa di queste orribili condizioni è da attribuirsi al lavoro notturno. Il lavoro notturno danneggia anzitutto l'operaio i tanto più che ai danni generali di esso si aggiungono quelli specifici che derivano dalle condizioni antigieniche nelle quali abbiam visto svolgersi il lavoro. Di qui la durata spaventosamente breve della vita e la più alta mortalità e morbilità dei fornai. Al lavoro notturno deve pure attribuirsi, secondo il relatore dell'Ufficio del Lavoro di H.oma, in gran parte l'insalubrità dell'ambiente; perchè la scelta dei locali oscuri e sotterranei e quindi umidi, mal ventilati e sucidi 1 ad uso di forno, è favorita 1:1pessodal dover lavorare a luce artiflciale. Il lavoro notturno ha inoltre funeste conseguenze sociali, in quanto l1operaio, cronicamente stanco, si in– debolisce fisicamentt1, si deteriora moralmente, si inebe• tisce; di pili, il genere di lavoro rende difficile all'operaio di formarsi una famiglia. Il 69 Ofo dei panettieri mila– nesi ha meno di 30 anni e il 72 % è celibe. Così i fornai costituiscono una classe di individui antisociali. Nell'interesse degli operai, che sono circa 80.000 io Italia, dello sviluppo dell'industria, dell'igiene del pub– blico, si impone quindi l'abolizione del lavoro notturno. Mo è essa possibile? L'organizzazione dei fornai, mediante concordati coi padroni, l'ha. tentata da tempo. Spesso i tentativi 1 dopo aver durato pochi giorni, sono abortiti i CO$Ì in 22 città; invece in 9 città il lavoro diurno continua ancora. All'abolizione mediante concordati si oppongono la debolezza della organizzazione operaia, la concorrenza dei padroni, le abitudini inveterate della cittadinanza. Il lavoro diurno fu imposto invece da un Regola– mento municipale in tredici località. Ma anche questo mezzo riesce difficilmente, o per lungo tempo, solo par• zialmente.
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