Critica Sociale - Anno XVI - n. 22 - 16 novembre 1906
CRITICASOCIALE 341 Nella creazione dell'esercito italiano s'incorse nel gravissimo erroro di considerare, appena appena, come conseguenza ciò che doveva essere base della premessa, cioè a dire la parte finanziaria. Si pensò: " Date la situazione generale dell'rtalia, le sue aspirazioni, la sua convenienza e la linea di condotta che si propone, le occorre un esercito di tanti corpi d'armata e di tante divisioni, coi loro senizi accessori secondo le buone regole e i buoni modelli. Per tale ordinamento occorrono tanti milioni all'anno. n E, senza pensare se il bilancio poteva per– muttcre, aJla lunga, tanta larghezza, gli organizzatori di quul tempo si misero all'opera. Jl loro ra~iooamento era giusto soltanto in appa– renza. Sarebbe lo stesso che se un pOV<'ro diavolo padre di famiglia 1 facesse un conto cli questo genere~ " Alla mia f,,miglia occorrono tante lire per il vitto tantr per l'alloggio e tante por le altre spese. Totale; il mio stipendio dev'essere tanto. ,, Non pnrrebbe più giusto e pratico cho, partendo dal suo stipendio, \'O· desso quanto, al massimo, possa permettersi di spen– dere p~r il vitto, quanto per l'allog,;'io e quanto per tut~o 11 re~to? Un povero padre di famiglia, che ragionasse 11~ quel. mollo, dovrebbe ben presto, per non andare rn rovina, far dei buoni fogli ai capitoli del suo fabbisogno - mngnri a quello del vitto - e rassegnarsi a vivere pili d'apparenza che di so– stanza e, quel che ò peggio, a vivere di st<'nti. Tale e quale corno ha do\·uto fare l'rtalia JJer la sutt. difesa: ha _mantenuto le ap1>arenzc originarie, ma non ha mai snputo trovare mezzi adeguati ai bisogni che si è creati.. .. e vive di stenti, falcidiando il necessario alle 1>iùurgenti e dirette necessità, per aver modo di tener malamente in piedi una quanticà di. servizi accessori, in 1>nrtcesuberanti al bisogno e III parte totalmentu inutili. Questo errore i11izialc fu poi completato collo spin• gero alle ultime conseguenze il nostro spirito di imitazione. Noi italiani, come tutte le genti deboli o inesperte abbiamo, militarmente, sempre copiato il più fortu! nato o il più forte. Nulla di originalo in noi. Perciò l'csoroito piemontese, che era già foggiato, alPiugrosso sul tipo francese, si trnsformò in italiano ingranden~ dosi e completandosi secondo lo buono regolo del momento, che erano poi sempre le regole francesi. Dopo il '66 1 sorgendo la fortuna germanica, la Francia non ebbe più grandi attrattive per noi, che poi dopo il '70, sempre in omaggio (tlla fortuna del vin~itore ci demmo a copiare totalmente la Germania. ' L'influenza che il pensiero e l'opera del più forte esercitano sul più debole è così naturale, spontanea e potente, che non sarebbe proprio il cnso di st,u– diare il modo di accrescerla con ragionamenti e con teorie. Invece, fra i dogmi della nostra Scuola Su– P?riore cl! Guerra e del nostro Stato :\Jaggiore, ce n è uno 11 quale ammette che nell'organizzazione militare debbano 1. esercitare molta influenza quello spirito di imitazione o la necessità stessa imposta da una savia previdenza, che portano ragionatamente a conformare i propri istituti a quelli del probabile avversario per non essergli al disotto io alcun modo,,. Fa parte di una dottrina la quale insegna pure che, mentre una nazione può scegliersi il Governo che vuole, non può avere l'esercito come lo vuole ma devo !'-verto al modo degli altri; o non solo esige che 01 si conformi nlForganizznziono del probabile nemico, ma a tal punto eh, nmmettel'0 porflno " la necessità di adottare t!Livolta misuro cho possono sembrare dannose sotto il punto di vista. o sociale o politico o economico o finanziario, ma che nou di meno s'impongono perchè lo ha adottato un altro paese , (') .. (') COllTIOtl,LI e 0An10NI: o,.,,1111cn PHUHn,·e. Torino! llkU. Questa dottrina, di origine tedesca, dai tedeschi è stata applicata il meno possibile e da noi alJa let– tera. Con tutto il rispetto dovuto ai nostri egregi alleati, ci sembra che questa idea di adottare misuro d'aApeLto così dubbio (se non talvolta in parte dan• nose addirittura) sia molto disforme dal moderno concetto delle rela1.ioni tra lo tato e le istituzioni: e siamo del pari convinti che la presente nostra dl'holezza militare sia in tutto e per tutto don1ta all'aver voluto far lç coso ulla tedesca quando do– ve,·amo farle, da italiani, all'italiana. . .. D1L molto tempo competenti scrittori cli cose mili• tari hanno dimostrato che la nostra. organizz11zione mililore non è consontan'ea alla nostra. potenza finan– ziaria, nò rispondo bene alle condizioni di guerra. nell~ quali, con maggior probabilità, verremo a tro– varci. Il primo clifolto, cho ò il più grosso, ò provato dal fatto che, dopo tanti anni, non solo non siamo riu– sciti a raggiungere la. fo,za. e la preparazione ne– cessarie, ma sjemo in,•ece costretti nel solitQ sistema dei ripieghi, lesinando sul necessario e sull'indispen• sabile, senrn fondato speranze d'un avvenire migliore. E tutto questo per tenere in piedi un esercito che non risponde alle nostro contingenze di guerra. Il popolo italiRno non è dnv\·ero di tale indole da trascinare il Uoverno in avventure di conquista, e perciò f>Ossiamosapere fin d'ora che, se saremo soli sarà certo per guerra difcnsh•a e, se eombatterem~ con allrati, il grosso del nostro esercito donà sempre restare in patria per difesa e per facilitare il còm– pito deA"li allenti col distrarre dal loro fronte una parte delle truppe nemiche. Ad ogni modfl, il terreno sul quale potrrmmo combattere sarà o sulle nostre montagne o sullo nostro frastagliate pianure. Per tali ragioni ci sembra che siano nel giusto coloro, i quali sostengono che la nostra formazione di guerra clonebhe essere n colonne leggiore, anzichè a _divisioni pl·santi come le nostre e appesantite ancor p1l1 da da pesantissimi Mrrioggi. . .. Ahbiamo voluto doliheratfunento indugiarci su que– sto punto per poter riaffermare nettamente la nostra convinzione, che è puro la convinzione di molti altri studiosi di coso militnri. I~ l'opinione è questa: che la n~stra organizzuzione militare, rondttta su hase shaghRta, non sia suscettibile di migliori1mcnto me– diante parziali ritocchi, ma debba invece essere ri· studiata da capo e quasi inLierumeute rifatta se non vogliamo continuare, come abbiam fatto finora, a buttar \'ia milioni in maniera deplorevole. E, poichè i ministri che si succedono nel palazzo di ,·ia Ycnti Settembre non hanno mai saputo tro– vare l'energia di pron•edcre e minacciano di perse– verare nel comodo sistema di vh·acchiarc alla gior– nata, peggiorando le cose, tocca al Paese affermare la sua recisa volontà o imporre loro di mettersi sulla via che l'interesso nazionale e mezzo secolo di infe• lice esperienza additano. Per orn, intanto, non c'è da farsi troppe illusioni; non sarà certo il generale Viganò che cambierà la f~ccia delle coso: prima di tutto perchò non è tempra <11 audace riformatore, e poi perchò adesso ba da pensare a non aver fosticli e a non guastarsi la sua fama di uomo fortunato cli fronte ai memoriali e agli opuscoli che i suoi subordinati seminano per l'Jtolia. In quanto a riformo, bussa n denari.. .. e lascia tutto come prima. . .. Confortiamoci: lo ideo si fanno strada. 11 Giornale d'llalia, che non è sovrersh·o, in un
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy