Critica Sociale - Anno XVI - n. 21 - 1 novembre 1906
328 CRITICA SOCIALE Allora clouà. fare In guerra filln Germania? Certa– mente, se dalla parte nostra non avessimo: 1° l'Un– gheria, che non ha da\'vero interesse a lasciarsi schiacciare fra la Russia e la Germania j 2° gli slavi con le loro aspirazioni su Trieste; 3° Pinghilterra e la Fmncia, che non bramano lo zampino tedesco nel Mediterraneo. Di fronte a questa coalizione d'interessi, alla Ger– mnnin non resterà che capitolare, e noi otterremo ciò che ci spetta per virtù non nostra. Si dirà, allora, che hanno rngione gli antimilita– risti n voler distruggere l'esercito, se questo serve solo a perpetuare il dominio della borghesia, ma non snrchhe capace di riscattare 'l'rento e 'l'rieste. Sappiamo però benissimo, che nessuno è mai ve– nuto n p:tLti coi deboli, o che, so vo~linmo JJOter dire e sostenere Ja nostri\ pnrolA, dohbiamo essere tanto forti, da incutere, se non paurn, almeno ri– spetto. ]1; ciò non si raggiungo nò con la propaganda nutimilitnristo, nè sperperando il puhhlico denal'O dcstilrnto ai forti, allo armi, a.i viveri. Noi dobbiamo essero in grado di mimu;cim·e una guerra piuttosto che di farla. E dobbiamo essere forti anche per sc– condaro il còmpito della nostra diplomazia nell'a– ziono attuale, che deve prepnrare la sua azione di domani. Dobbiamo, cioè, essere forti, per poter ri– cercare l1alleanza dell'Inghilterra e della. Francia, ed nasicurnre all'Ungheria il nostro ap1>0ggio in caso cli separazione e di un intervento tedesco contro di essa. . .. Concludendo, dunque, ripetiamo: Il sentimento pa– triottico e la ragione cli Stato impongono all'Italia una politica irredentista; ma il riscatto non può essere opera d'altri che di un'abile diplonrnzia 1 che sappia di poter al caso contare SOJ>raun forte eser– cito. Jja nostra politica estera dern insomma ritor· nare a Cavour, ed il paese deve ancora sacrificarsi - speriamo sia per poco tempo - ma questa volta non per altri, sibbene per la sua stessa salute. Il, ì\fACCIHA.VEJ~LO. NUOVI ORIZZONTI DEL MOVIMENTO OPERAIO Il Congresso della Resistenza, tenutosi a l\filano nei giorni ~9-30 settembre o ID ottobre, passò quasi inos– servato, perchè svoltosi a pochi giorni di distanza dal Congres5o Socialista. Nazionale, 1>el quale erano mag• giori le aspettative. Eppuro molto o altrettanto. savie o rcconcle di bene furono lo discussioni e i deliberati di quel c'ongresso. Il quale registrò un nuovo e deciso orientamellto dell'organizzaziono operaia verso la coo- . pornzione. La cosa non merita forse per chi legge tanto lusso di apologia. D.l che mondo è mondo, si è sempre variato di un movimento cooperath•o che de\'O integrare l'orga– nizzezione di mestiere. È vero. Ma, appunto, se ne è sempre parlato. lo realtà, Leghe di resisteuza, Coopera• tivo di consumo e di la\'Oro, seguirono sempre la loro strada o rimasero all'istesiO punto, !lenza <lare impor– tanza soverchia ai cieliboratl e allo rnccomandaziooi dei Congressi. Nel Congresso della Resistenza invece udimmo affer– mazioni risolute - del Quaglino, del Vergnanini, del Hicclardi o di altri - tendentl ad aprire uu nuovo oriz– zonte al movimento opernio di resistenza. Una r.,ega o una Federazione di mestiere non possono considerarsi organismi stabili, o germi rlella futura or- ganizzazione del lavoro. Corrispondono alle esigenze della lotta contro il capitalismo; sono arnesi di guerra, o fanno sentire la loro utilità. solo in periodi di guerra guerreggiata, quando siano bene usate; ma poi? .... Ra– dunare gli operai di uno ste9sO mestiere, abituarli a. contrattare collettivamente - e quindi ad abolire la concorrenza - ottenere cosl un aumento dei salari, qualche generica. miglioria nel contratti di lavoro, è opcrn di poco tempo. B una tappa che, con un poco di buona volontà, è presto raggiunta. ::Ma niente è più pericoloso e demoralizzante degli ozii delle caserme, llel bivacchi prolungati delle mi– lizie. E le Leghe di mestiere, che non scioperano, nè in qualche altra guisa si trovano In urto con le classi ca– pitaliste, sono eserciti accasermati, o milizie costrette al bivacco. Alloro, tutti i clo,,eri delle organizza:donl, proscritti dalle norme statutario cli ciascuna Assooia– :t.lone o che il sermone di J)ropaganda sa. enumerare, sono praticamente e regolarmente inosservati. Non solo. Ma la lotta per l'aumento dei salari (quando si dice aumeoto dei salari, si intende migliorie di tutto il contratto di lavoro) dovo necessarìamente subire la legge - o le leggi - che regolano la produzione ca– pitalistica. Deve seguire l'alto e basso dei costi, le esi– genze della concorrenza, l'incremento o il deperimento dei prod!>tti 1 l'inf\u~so ,telle correnti emigratorie della mano d'opera, la ripercus,11ione delle crisi, e tanti altri fattori che vengono ad influire sugli atteggiamenti e sul J)ropositi dell'organizzazione dl mestiere; che la co– stringono in sostanza a muoversi nelle orme e secondo I criteri della produzione capitalistica. ~"'uorirti questa concezione, non vi è cho l'altra - la catastrofica. - che sogoa la simultanea ed improvvisa presa di pos– sesso, por parte del 11roletariato, degli istrumeuti di pro• duziono della ricchezza socia.le . Ora è evidente che, flntantochè i criteri della J>rodu– ziono sono stahiliti dai capitalisti, i lavoratori potranno essere forti, organizzati, solida.li , fin che vogliono, ma non riusciranno mai a. sostitulrsl,per via della resistenza, nl onpitau~ta privato, mentre ò pur questa, e de"o es– sere questa, la mètn. suprema del movimento operaio odierno. Da. tutto ciò riirnlta che, mentre dai più si è sempre considerata l'organizzazione di resistenza (a base di sciopero) come l'armo specifloa della quale il proleta– riato deve servirsi per conquistare miglioramenti dalla classe dei padroni, e per <'Onseguiru Pemancipazione del lavoro, in realtà. essa. si rivela. insufflcie11te agli scopi che presume di raggiungere. Vi ò un momento della lotta di classe, cosl semplicemente intesa, in oui ai lavoratori non è possibile di nndaro più innanzi senza passare sul corpo dei padroni. "E meno male, se non fosso che questo. Ma, dato anche che riuscisse la famosa presa di possesso, restano an– cora e sempre delle terribili incognite relative alla ca– pacità tecnica, amministrativa e commerciale dei nuovi gestori della produzione. Ed ecco sorgere ed imporsi la necessità della Coope– razione, tanto di produzione che di consumo. Bisogna che nel seno dì ogni Lega di mestiere sorga una Cooperati\•a di lu.voro; ohe tutte le Coopera.tive dello stesso mestiere siano unito in una cerchia sempre più vnsta; che fra le Cooperative di produzione e di con– sumo si sh.hiliscauo rapportl sempre più stretti 1 ad evi– tare la resurrezione di qualunque forma di corpora– tivismo. Cosl la classe sfruttata entra nel campo della eluse
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