Critica Sociale - Anno XVI - n. 21 - 1 novembre 1906

332 CRITICASOùIALE per fissare dei limiti, quel diritto personale sul pro– prio lavoro, che s'era detto " the great (01mdation " of property ,,. Negli oggetti, cui si applica l'opera dell'uomo 1 eOn\'iCn distinguere, secondo le espressioni aristo– teliche usate già da Hugo Grotius (1) e divenute poi di comune dominio nella economia, una materia usatn. e una forma novellamente creatn. La forma è il valore creato dal lavoro, che, quindi, appartiene naturalmente a chi l'ha prodotto; ma la materia è forse un assoluto non-valore, sì che l'oggetto possa considerarsi senz'altro di spettanza esclusiva di chi lo abbia lavorato? Di materie prime e di mezzi cli produzione il Locke considera solo quella che è la sol'gente di tutto il resto, la terra; e l'appropriazione di essa col lavoro giustifica per mezzo del confronto tra due campi ugualmente estesi e fertili, ma incolto .Puno e coltivato l'altro. Dei prodotti di quest'ultimo 99/100 son frutto del lavoro umano nelle più sva– riate forme cd applicazioni: la superiorità del va– lore è dunque completamente dovuta al lavoro e all'industria j il valore ordinario è poco più che niente o al più solo piccolissima parte del valore totale ('). Così che un valore, sia pur minimo, non si nega alla tel'l'a, anche prima che subisca il lavorn umano; valore d'uso, non di scambio, potenziale più che at– tuale, ma che, in virtì1 del principio per il quale ogni individuo è proprietario legittimo unicamente del lavoro suo, non può dirsi giustamente occupato in permanenza da alcuno, quando con tale atto viene di più a pr.ecludersi ad altri la possibllità di usare di quei mezzi per trarne nuovi prodotti. Così il Locke deve pure ammettere che l'aumento della popolazione, e l1accentramento dei possessi in poche mani, resero la terra scarsa e così di qualche valore ( 3 ), resero cioè valore di scambio ciò che altra volta era solo valore d'uso. Ora, dalla privazione, alla quale tanti sono in tal modo condannati, risulta il difetto della sua teoria. ])ove basti lavorare per appropriarsi, e ognuno ab– bia diritto naturale alla proprietà quale mezzo d'esi– stenza) converrebbe che i mezzi di produzione fos– sero inesauribili: e il Locke, il quale non guarda che alla terra, tanto più urta contro l'esauribilità della sua estensione. La terra può esser da lui pa– ragonata a una fiumana, che a tutti offre di che dissetarsi ('), nelle immensità di paesi semideserti; ma nei paesi densi di popolazione può ancora mantenersi, come egli crede, il principio che sia le– gittima d..i parte d'og11u110 l'occupazione di quanta terra egli può coltivare? (') Così vien fuori l'altro limite al diritto di proprietà. · Se questo è diritto naturale, è uni versa.le ; nessuno deve esserne privato. Quindi l'appropriazione, per quanto fondata sul lavoro, deve fermarsi al punto di Jasciare in ugual misura a ciascun altro: " at Li least where there is euough, ancl as good left in " common for others ,, ( 6 ). Ma allora sorgono difficoltà ·pratiche e difficoltà logiche. Difficoltà pratiche, per– chè, se osservare quel limite è agevole dove sia po– polazione scarsi\ e vaste terre, come in America ai tempi del Locke, ben diversa è la condizione quando la popolazione sia densa e il territorio limitato, e, sopra tutto, quando la popolazione sia in aumento, sì che ogni nuova nascita, dove la terra fosse tutta occupata, recherebbe la necessità logica e giuridica di ripartizioni continuamente rinnovantisi. Difficoltà logiche, perchè, se taluno abbia la capacità di esten- ( 1) De j111'e ùelti et 1/CICiS, L. 11, c. Il!·VII!. (') Il. 11, c. V, 40•48. (S) lbld., 4t:>. (') lbld., 83 (~) lblcl., se. (G) lbld., 28. dere piì1 che altri il proprio lavoro, si troverebbe così condannato al limite minimo di esercizio delle energie umane, e quindi uon più padrnne della sua attività, della sua persona. Non basta ad eliminare tale difficoltà la conside– razione dell'altro limite che il Locke affaccia: la capacità personale di consumare i prodotti senza che si guastino. Chi recinge un campo troppo vasto e lasci marcil'ne le erhe e i frutti, viola il diritto al– trui e perde il pl'Oprio (1). Ma ciò equivale a dire che l'appropriazione è illegittima quando è pura e semplice occupazione. La materia, anche prima di esser trasformata, è un valore potenziale; chi lascia il valore allo stato potenziale o, peggio, lascia de– perire e perdersi anche questo, manifesta la ingiu– stizia della sua occupazione. Ma chi al contrario sa convertire la potenza in atto può perdere il diritto a.lln creazione propria solo perchè non la.consuma tutta? Per non aver distinto fra mezzi di produzione e prodotti, si arriva alla incongruenza di considern.r legittima l'occupazione dei primi finchè non risulli superiore alla capacità di consumo dell'occupante, illegittimo il possesso dei secondi quando chi li ha tratti dal nulla non sappia usarne. E, viceversa, allorchè si trova, nella moneta, un mezzo di rappre– sentare il valore degli oggetti, che non deperisce e non si corrompe col tempo, si viene ad ammettere che " l'uomo possa, con diritto e senza ingiuria, possedere più che egli non sappia usare 11 (2'), e quindi estendere i suoi dominii anche sino a pri– varne gli altri. Così la semplice invenzione della moneta darebbe ragione sufficiente per negare la universalità del diritto, cioè il suo carattere di cli– ritto naturale. Tutto ciò in conseguenza della mancata distinzione fra prodotti e mezzi di produzione. Eliminati gli elementi contraddittorii e ridotta ai suoi ,punti fon– damentali e piì1 vitali, la teoria del Locke ci risulta però innovatrice e .valida in quanto fissa che il la– voro, creatore del valore, conferisce il diritto sul valore creato: la proprietà è, in questo senso, un attributo della personalità, un diritto naturale ed uni versale. Ma, se la proprietà del prodotto è perso– eoua1e, non v'è logicamente contenuta quella dei mezzi di prnduzione. La necessità della sussistenza crea il diritto al lavoro; e questo è pure uni versale ed uguale in tutti. Il Locke vuole che nessuno usurpi tanto da pri– var gli altri di una uguale possibilità di procacciarsi le sussistenze; e, poichè l'iniziativa incoordinata e l'arbitrio individuale non saprebbero attuare regola– tamente queste norme limitatrici, egli viene a porre in luce la necessità di uu esercizio collettivo della distribuzione dei mezzi produttori. Per altro, e dalle premesse teoriche e dall'esempio pratico che egli adduce, risulta che questa distl'ibuzione è per l'uso non per il possesso; quindi la conseguenza logica dei principi che il Locke stabilisce è la proprietà comune dei mezzi di produzione (3), il doverC socia.le di assicurare ad ognuno il diritto al lavoro, la di– stribuzione dei prodotti a ciascuno secondo il suo lavoro. Il prodotto del lavoro deve appartenere inte– gralmente al lavoratore, secondo il Locke, il quale combatte " chi desiderasse il beneficio delle fatiche altrui, cui egli non ha diritto 11 • E in ciò consiste il concetto fondamentale della sua teoria della pro– prietà, la cui arditezza. innovatrice esercitò larga efficacia nel campo della filosofia, dell'economia e del diritto. ( Cont-i11ua). R. MONDOT,l<'O. (I) lbld., SS. (Z) Ibld., 60. (1) Anche 10 Jnnet (mst. de fa se. po!it., 111 édlt., II, 201) ritiene che la teoria lookla1u\ de! 111lltt1della prop1•1otà conduca ~ tout droit çiu co11111111114me ~·

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