Critica Sociale - Anno XVI - n. 21 - 1 novembre 1906

CRITICASOCIALE 331 zione per sè stessa non crea titolo di sorta. I pro– dotti, che possono deperire e perdersi, quando sian lasciati nello stato di natura, trovano ucll'a1>propria– zionc per l'uso immediato la loro fine naturale; ma il serbatoio e la sorgente comune, onde provengono, resta sempre a disposizione di tutti; i mezzi di pro– duzione, invece, non possono esser occupati senza che la fonte stessa degli oggetti utili venga pre- clusa ad altri. . Di queste differenze il Locke non seppe rendersi chiara coscienza. Quindi la duplice giustificazione, dell'uso e del lavoro, che egli aveva applicato alla. appropriazione individuale dei mezzi di consumo in regime comunista e in istato di po1>olazione rada e dispersa, credette di poter tal quale adoperare per 1'1tppropriazioue privata dei mezzi di produzione e presso popolazioni numerose e dense. li difetto di questa seconda npplicazione ci risultcrl~ sopratutto nella teoria dei limiti della proprietà.. " La materia principale della proprietà, egli dice, " non sono i frutti della terra o gli animali che vi " esistono, ma la terra stessa, come quella che con " tiene in sè e porta seco tutto il resto n ('). Quando e 1>crchè il fallo dell'occupazione cli essa diventa <lo-ilio ? Per mezzo del lavoro, dice il Locke, onde sorge un titolo al pO!H:1esso e quindi una facoltà di recingere e chiudere n.l resto dell'umanità un campo, senza bisogno del consenso altrui. Ma il lavoro è poi da lui subordinato, in certo modo, all'uso, come il mezzo al fine, che può soltanto nei limiti di que– sto restar giustificato: quanta terra un uomo ara, 1>ianta, utilizza, coltiva è sua proprietà se egli può averne il prodotto (" as much lana as a man tills, " JJlants, improves, cultivatP.s, ami cmi use tlte pro• " duct of, so much is kis properly n)· Ora, qui va notato: il lavoro è proprietà della persona, e tutto ciò che è sua creazione presenta lo stesso carattere. È giustificata per tanto la limita– zione fatta a queste creazioni nei confini del con– &umo individuale? Ed è giustificata, d'altra parte, l'ostensione data alla proprietà non soltanto su ciò che il lavoro ha creato, ma anche su ciò che vi fu semplicemente congiunto, come i mezzi di pro– duzione? Per i mezzi di consumo il caso era dh•erso. Free· sisteva un diritto generico derivante dalle nccessitfl dt:,lla sussistenza, dal diritto alla vita; non occor– reva giustificare che la precedenza di un individuo su\11altro, e a ciò era sufficiente il fatto della fatica spesa nell'occupazione; ma sufficiente nei soli limiti della. giustificazione nddotta, cioò dell'uso. Così i limiti alla appropriazione erano stabiliti in modo perentorio, e veniva impedita l'accumula.zione 1 a d1.1nnodegli altri : lavoro d'occupazione e capacità presentavano a un dipresso l'estensione medesima; l'uomo poteva fissare la sua proprietà. in confini coincidenti con la possibilità di utilizzare ì prodotti senza che andassero sciupati. " As muclt as any one " can mahe use o{ lo any advcmtage of life before it " spoils, so much he may by his labour (lx a pro– " vel'ty in ,, (?). Ma per i mezzi di 1>roduzione non ò più così. Le necessità immediate della esistenza non bastano più a legittimare l'atto del recingere o chiudere agli altri un campo; l'estensione del lavoro e la capacità del consumo non sono quì piil coincidenti. Se nes• suno può lamentarsi, secondo l'osservazione del Lo– ckc, cli offesa ad un suo diritto naturale perchè un nitro uomo beva, sia pure ad ampie sorsate, quando Pintiero fiume resti a chi voglia estinguere la sua sete ( 9 ), il paragone condurrebbe n diverso conse• (I) ll,ltl. 92. (') ll!\(t., 61. \ 1 , ll!1d., S9. guonze quando il bevitore non volesse soltanto soci· disfare il suo bisogno attuale 1 m::i.accaparrarsi in modo esclusivo il mezzo di soddisfarlo anche nel– l'avvenire, recingendo e vietando agli altri l'accesso Jtl!a sorgente o ad una delle sorgenti del fiume. Nel primo caso s'avrebbe l'uso di un diritto naturale, nel secondo la violazione di un diritto altrui. I~, d'altra parte, la capacità di lavoro e cli con• sumo non coincidono quando si tratti di mezzi di produzione, nò è logico limitar la prima in suborcli· nazione alla seconda. Nei popoli che vivono cli caccia e di pesca o di prodotti spontanei della natura, RJ>· propriarsi più del bisogno, per lnsciar marcire inu– tilmente frutti e selvaggina, sarebhe cosa sciocca, oltre che violazione del naturalP. diritto altrui: " it was a foolish thing 1 as well as disonest ,, (1); quindi l'eccesso dei confini della giusta proprietà non è nella larghezza del poijsesso, ma nel deperimento r!i ogni cosa inutilizzata: "the exceeding of the bou11ds " of is just J)rO]}erty not lying in the lcirgeness of his " possession, but lhe perishing of anything use u le,r;sly in it ,,; nessuno ha diritto, oltre il suo uso, ad ognun a di quelle cose, che possau servire a pro– caccia.re ad altri lo sussistenze necessarie r). Ma, allorchè si parli di veri mezzi cli produzione, se si voglia stabilire come titolo al possesso il fatto dell'avervi congiunto il proprio lavoro, tuie congiun• zione può assai facilmente superare i limiti del con~ sumo individuale. }J il Lor-ke non s'nvvede che, per tal modo, egli viene a negare a chi lavora il pos– sesso di quella parte dei prodotti che, pur eccedendo il suo bisogno personale, è però sempre crea– zione sua. La necessità di distinguere il prodotto dal mezzo di produzione doveva dunque risultare evidente nella questione della proprietà. L'appropriazione dei mezzi è un puro atto di occupazione, antecedente al lavoro produttivo; l'appropriazione dei prodotti è invece conseguente all'opera creatrice; ma questa, che riel primo caso manca, rende nel secondo meum iuris ciò che io ahbia creato, in modo che negarmene il possesso sarebbe lesione della mia persona. [nvece nè il lavoro nè le necessità dell'esistenza sono sufficienti a giustificare l'appropriazione esclu– siva dei mezzi di produzione. li bisogno (è il co– mando di Dio, dice il Locke) costrinse l'uomo a soggiogar la terra, cioè utilizzarla a beneficio di vita e quindi spendervi su qualcosa che era suo proprio, il suo la,•oro ( 3 ); ma questo, che era un dovere, dh•entava al tempo stesso un clit·Uto al lavoro e, quindi, a.i mezzi di compierlo. :E 1 secondo il J.ocke, il diritto al lavoro contiene non il diritto d 1 uso sol– tanto, ma anche il diritto di appropriazione indivi– dunle dei mezzi : u hL condizione delllL vita umana, " che richiede lavoro e materia cli lavoro, necessa.– " riamente introduce il possesso privato ,,. Se non che, una delle prove, che egli reca, è con– tro alla sua teol'ia. Egli ha sentito dire che in Spn• gna ò lecito a chiunque coltiv a.re lo terre comuni, e che gli abitanti, invece di disturbare chi le lavora, si credono obbligati a. lui, che colla sua fatica no ha tratto prodotti utili. Ora qui non del diritto di 1>ossessosi tratta, ma dell'uso ; e la proprietà dei mezzi non diventa individuale, ma resta comune. Qui le conclusioni restano logicamente nei confini delle premesse; là dove, quando il Locke voglia dal– l'uso trarre l'ttppropriazione dei mozzi, va ad urtare conLro molteplici cliflicolti\ e contro.dizioni: la ne• cessità di considerare i mezzi come assoluto non• valore, di supporli inesauribili per la loro estensione o di negare l'universalità del diritto o cli violare, (') ll!ld., ~6. l'I lb1d., 97. (•) 11.!ld., 92,

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