Critica Sociale - Anno XVI - n. 15 - 1 agosto 1906
236 CRITICASOCIALE sere che non assurge mai alla rorza psicologica del bi– sogno, anche porchò dinanzi alle misere popolazioni uon s'npro mai una ,•in di salute, o, quella che la ci\•iltà offre loro è. per la loro inerzin, In loro debolezza e la loro Ignoranza, troppo difficile o faticosa. Anche qui 1 dunque, slamo nel caso cli una scelta che non esiste o non ò po,sibile. Trn. i dolori presenti, dati dallo più gra,•i condizioni oconomichf:' 1 e quelli a cui tali popola– zioni cloncbbero sottoitaro per impegnare, 11d esempio, unà. lotta lunga o sistematica contro le classi che le srruttano, o salir co~l d'un gradino la scala sociale 1 esse prereriscono forzn.tnmonto lo stalu quo. Ecco perchè si verifica in es'ie, come scrive il Caletti, un an·esto 11ella pr·ogressivitù dei bi~ogni, e rimangono nel cerchio d'una pura vita animale. li bisogno, quel sentimento forte o risoluto cho spinge l'uomo alla fnticn. e al 1a,,oro 1 non sorge se non qunndo noi vediamo In possibilità 1 sia pure gravosa, di sfuggire n, un dolore: affrontandone un altro minore. Prima o dopo; primn che la possibilità nasca, e dopo che il passaggio ò avvenuto e lo scopo ò raggiunto) il bisogno non esisto o cessn d'eslster6 per lasciare in vita il primo dolore o cedere il posto a un secondo. 12. - Dolore: ecco la vera parola a cui noi possiamo, f-lenza tema. ricondurre tutta ratlh·ità umana. Ben lo comprendeva il Ycrri, defluendo il bisogno: u li bisogno, cioè la sensazione del dolore - scri\'e egli - ò il pungolo col quale la natura scuote l'uomo e lo desta da quell'indolente stato di vegetazione in cui seuza questo giacerebbe. ,, (i) li dolore ò la vera molla della cl\•iltà. Esso non può rimnnore n. lungo, non può soprnvyivere senza trovare il mezzo della sun estinzione, senza, cioè, dar luogo al biioguo; Puomo che non uccide il dolore è ucciso da e-~o. Ma esso 1 como il mostro della favola, rinasce sempre, e di qui l'eterno progresso che, nella sua. essenza, non è che la. continua lotta e la continua vittoria. dell'uomo contro i suoi mali. Solo gli uomini insensibili non pro– grediscono, cioè soltanto quegli uomini che contro il dolore à.nno saputo oppor~o la corazia adamantina del• l'inclifferenza. Scri\·e ancora Il Verri nel luogo citato: 11 L'eccesso dei bisogni sopra il potere (cioè, diremmo noi, l'aumento dei bisogni senza il corrispetth·o aumento elci mezzi per socldii;ra.rli) ò la. misura dell'infelicità del– l'uomo, e lo ò non meno dell'infelicità. d'uno Stato. I seh•aggi sono poco Infelici perchò hanno pochissimi bi• sogni; ma le unzioni, che ne hanno acquistati in gran numero coll'incivilirsi, debbono di necessità cercare l'ac– crescimento della potenza per accostarsi alla felicità. ,, La ci\·iltà dunque aumenta i dolori dell'uomo; ma aumenta in pari tempo i mezzi della loro estin.done. Ecco perchè la relicit:\, <lata da. un equilibrio costante tra dolo1·i e me.zi , cioè dall1assoluta mancanza di bi– sogni di impossibile soddisrazione 1 rimane sempre la stessa, qualunque Elia il progresso clell'umana natura. Questo concetto fondnmontale di relntività, che por uoi ò inconfutabile, è, per esempio 1 sfuggito a Paola Lom• broso che, sul problema. della felicità, à pur scritto un Intero libro. ( 11) La. Lombroso sostiene che la felicità umana à toccato li suo ò.pice nella civiltà moderna.; mentre noi riteniamo che il selvaggio non è più Infelice o felice dell'uomo 111 in Bl.bllottca dtll'Eco11omista, eerle I 1 vol. !II, pag. :;u. {') l'. l,O)IIlR080: Il p,·obltma dtlla ftllcHò, lll Pl.ccoln BibUoftca di ,c1e11.i1 "'"0<1tr11t. Torino, Bocca, 1900, eivilc, che, ni grandi godimenti, allo forti, profondo seu– sa:doni di pinc~ro dovute alla raffinatezza della. nostra \'ita, può contrnpporro tutta una somma di angosce e sensazioni SJ)iacevoli che Il selvaggio non sente. (') li rapporto, cambiando in ugual misura amho i termini, non cambia col mutare dei secoli o col \'ariare di ch·iltà; lo due schiere dei dolori e dei piaceri, che eternamente si fronteggiano, sono sempre pari di forze. Solo in un punto, lra11sitoriame,H", lo squilibrio si afferma, ed a.u• menta allora l'iurclicità; se e quando, col crescere de:!o sleiso progresso, aumentino i nostri dolori, i nostri Ui~ i-o,tni 1 lo nostro esigenze, senza che noi possiamo ancora trovare i mezzi per soddisfarli. Se fossimo convinti che quc~ti mozzi non esi,tono o sono per noi inacces<iibili 1 allora, non soltanto, come abbiamo detto più yoJte, non sorgerebbo il bisogno; mn, uella vitn normale degli uomini, scomparirebbe gradatamente il dolore. Che, se questo, per la. sua natura speciale (efl. (am,P, sete, ecc.) o per la nostra. fibra indebolita o non ancora. temprata alle lotte, fosse tate da persistere in tutta la sua forza distruttrice, noi nvremmo allora la degenerazione e a IJOco a poco In. morte. Nella ,,ita normate degli uomini, invece, il dolore, o almeno una gran qunntifa di dolori, di desiderii, di aspi– razioni sussistono, persistono e divengono acuti solo in quanto noi vediamo la pOlHibilità, presto o tardi, di uc• ciderll, di appagarli, di raggiungerli; e, se toccata la mèta, troveremo la gioia, e si ristabilirà l'equilibrio <li cui parla anche il Verri, non vuol dire che prima 1 nel momento della salita o deil'aspettativa angosciosa, l!I. 110-,tra infelicità non avesse subìto un crescendo vertigi• noso. L'arduo problema della felicità si risohe dunque solamente in due morii: o riducendo al minimo i nostri desideri, i nostri bisogni, i nostri dolori, come fauno i Musulmani e come faceva l'anlico filosofo cinico; o pro• grellendo continuamente, cercando continuamente nuori mezzi e nuo,•i beni 1 come fa l'uomo ci\'il<'. Questi sale sem1lre per rimanere sempre, noi campo della felicità, nl livello medesimo; egli ò l'eterna. ruota di cui parla Francesco li'orrara: " Ecco là, una ruota - egli dice - che muove un molino, e che ò mossa da un'acqua cascante sulle sue palette. Ecco là. un'altra ruota uguale, che si muove da 1111 uomo, il quale monta di paletta. in paletta senza mai riui;ciro ad elevarsi· più in alto dal puuto in cui rominciò la sua azione. Quest 1 uomo è lì, e continuerebbe in eterno il suo mo,•imento, se durasse in eterno l'im– pulso che per ora lo forza. Egli monta, pe1·chè un mo– ti,;o lo spinge, perchè sta sotto i suoi piedi un abisso, pc1·chè non pvò volere piombarvi, p!!rchè la sua salveua dipende dal montai·e, e montare senza mai montm·e. > l') ... 13. - Abbiamo visto che l'attività umana à per unico immediato movente un sentimento interno: il bisogno, (I) • La <1ou1eur u•cst pns l'nJ)rrnago dc l'homme. Tout ce qui ,·lt et seni, soulfre; mnls CIHlZ Ics anlmnux h1férleurs, In douleur parott J)lus ol)tusc et mo111s ,·!ve; on 1('8 volt supporter, sans stgncs évl• donts dc souff'rnncc, des l.llessurcs ot dC8 mul1lntlons qui, chèz Jes ilnlmnull'. supér!ours d6tormlnorfllent Ics mnnirostntlons Ics ph,s \n. tense~ ot le1 ph18 ,•Jolcntos. Puls, ìt mosurc qu'on désoond da11s la eCrlo, l'nptltlHIO à la doulour lllmlnue j11s<1u'Ìloc qu•on nrrlve à ocs orgnn!smes dépourvus do 1ystòmo norvoux, chèz losquels la douleur se ,·cdult 11rol.Htlllcmo11t Ìl un sontlmont plus ou molns vagne do ma• lalse (JU1mér1tor1\lt t, pe\11OIOnom do soull'rance. ~ L'homme, lt f)rtmle,· <les ~Irta par i'i11tt/Ugt11ct, tn tst aussi l't p,·tmle,· par sa aensl/JIWé <Ì la do11lt1w, d ctttt snuibUUi nt f(llt qut s'txagl/-,i· et (lllt s'11ccrofh·e nvtc lt:~ di1Jtloppt111t11ls de so,i hiitlU• gtllct tt ltS p,-ogris dt la clvlUsa0011. 11 H. BEAUNIS, Lt!J St11saUons h1ftr11u. l'nrlgl, 1s,o, Cllp. XVII (•) In DlbUottca dtll'l.'conomlsta, &erte I, VOI,XH1 pag. LXXXV,
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