Critica Sociale - Anno XVI - n. 15 - 1 agosto 1906

234 CRITICA SOCIALE cipi a governare la società. umana e dirigerne i mo– ,•imenti, il Jfanifesto, come scrive Antonio Labriola, " non traducc,·n in arzigogoli mctnfi~ici, o in riflessi di " morhoso sentimento o di religiosa contemplnzione, " i contrasti reali dei nrnteriali interessi della vita " di tutti i giorni; non levava parole di lode o di " esaltazione, o di evocazione e di rimpianto, alle " due dee della mitologia filosofica, la Giustizia e " ht Eguaglianza .... La ::itoria non poggia su la dif, 11 fcrenza 1..li vpro e di falso, o di giusto e d'ingiu– " sto; poggia tutta sul processo cli formazione e di trasformazione della società ,, ( 1 ). Chi pertanto non creda a un antagonismo fra quei due documenti .storico-filosofici, si trova quindi 11C'llanecC>ssitfl. di dimostrare due cose: t) che il concetto di proprietà affermato nrlla Dichiarazione <(Pi diritti non è contrario ai concetti che il .\fani– fe.,;to accoglie; 2) che il illcmifesto, pur nella conce– r.ione positiva e nella interpretazione economica dcll'cvolnzionc sociale, suppone o contiene in sè una filosofia del diritto, in cui le idee di giustizi& e di egunglianza sono implicite. 11concetto di proprietà, intanto, non poteva, nella IJ1rhiarazìone df'i diJ"itti, essere in coutraddizione con gli altri concetti fondamentali ivi affermati e con lo spirito che tutta la informa. " L'idea della u personalità. umanA come soggetto di libertà ossia " di diritto 11 ( 2 ), che è, per così dire, l'anima filo– sofica della Oichicirazione 1 ha come sua conseguenza lo~ica la uguaglianza ideale fra gli uomini: libertà e uguaglianza. giuridica sono concetti così intima– mente colleµ-nti, che il primo articolo della Dichia· razione li afferma insieme quasi un concetto unico: " Le.'i hommes 11aisse11t et aemeunnt libres et égaux " en droits ,,. Ora, l'uguaglianza giuridica, contenendo, come nota il Del Vecchio (3) 1 " in germe l'idea della " i:riustizia sociale sino alle sue ultime possibili ap– " plicazioni ,,, non avrebbe potuto accordarsi con una affermnzione che 1n·oclamasse legittime distin– zioni sociali, il cui titolo fosse l'occupazione, o la nascita, o l'eredità, piuttosto che, secondo l'espres– sione del 1 ° articolo già ricordato, " l'utilitf' com– " nume ,,. In altre parole, il concetto di proprietà, affermato come diritto naturale, doveva non esser contrario all'uguaglianza, e trovarsi in piena armo– nia con la libertà. Il concetto di propricth 1 infatt.i 1 può essere inter– pretato in due guise differenti: come estri11seco e come inirinseco alla personalità umana. È concetto estrinseco quello che fonda il possesso sopra il di– ritto ciel primo occupante, la trasmissione ereditaria, la consuetudine tradizionale d'uso o simili: qui la proprietà poggia su fondamenti nffatto estranei al– l'attività produttrice cli chi possiede; l'oggetto, che egli detiene, non è neppure in parte creazione sua personale. 1-: concetto intrinseco, invece, quello che legittima In proprietà esclusivamente col lavoro: l'oggetto posseduto è quindi creazione ed emana– zione della. personalità; è quasi un prolungamento cli essa nel mondo esterno; nè altri potrebbe con– tenderne o violarne il possesso senza ledere con ciò stesso la personalità come soggetto di libertà e cli diritto. Come diceva il Kant, che pure ciel suo prin– cipio non diede una giustificazione dimostrativa sod– disfacente, meum. jtu-is è ciò che si trova in tal rap– porto con la mia personalità, che io mi troverei leso, se altri ne facesse uso senzrt mio consenso ('). l'n questa seconda interpretazione, insomma, il concetto cli proprietò, che comprende l'esplicazione (') /11 memo,·la del .\f(lnlfe1to dd comw11,u 1 Roma, LoosclHlr, 1902, r,p. 5-6. t') DEL \'ECCIIIO, La V.c/lj(l1'(1ZI011eàO di.l'ltu, p. &S, (11 Op. clt., p. 7/J. (') Jfetap11r1klle A.r1fa11q1q1·11M• tler Ret:lltstelln, li97, dell'attività individuale, i suoi prodotti e i suoi mezzi indispensabili, è intimamente collegato con quello di libertà, e con esso si identifica, in modo che non risultli affatto contrario al concetto di ugua– glirrnza, ma si fonde armonicamente con esso, come una conseguenza logica con le sue premesse. Oro, quale cli questi due concetti è accolto dalla Dichia,– rn;:ione dei diritti, là dove, all'art. 17, ella afferma: " f,a vroprieté étant mi rtroit inviolable et sa<Té, nul " ne peut en t}tre privé, si ce n'est lorsque la 11fces- 11 silé pubfique, ligalement co11slatée, l'exige évidem– " nient, et sous la co11ditiond'une juste et p,·falable " indemni té ,, ? '!'aie domanda trova la sua risposta nell'esame di quella filosofia. giuridico-politica, in cui la Dichial'a– zioue ebbe la sua preparazione teorica, dal Locke, col quale 8i inizia il nuovo concetto della proprietà, al Rousseau, inspiratore diretto e immediato dei di– ritfi dell'uomo; e i risultati di questa indagine rice– vono la loro conferma, sia nella considerazione delle dottrine affermate dagli scrittori politici, che più llan contribuito alla rivoluzione come precursori e Come attori, sia nei documenti, che molti fatti sto– rici durante la rivoluzione ci offrono, dello inter– pretazioni che nelle coscienze dei contemporanei e nel diritto positivo ebbero gli immortali principi. Sull'opern. della rh•oluzione ris1>etto al diritto di proprietà. molto si è discusso: le u.ffennazioni, che. noi dibattiti appassionati del tempo si sono contrap– poste, da parte di chi vedeva quel diritto minato nelle sue stesse fondamenta, e di chi sostene"a al contrario che le innovazioni l'avrebbero rafforzato e stabilito su più salde basi, sono risorte negli storici e nei filosofi del diritto posteriori; ma la mancanza stessa di un accordo nelle conclusioni sta a provare come la. questione non sia ancora stata sviscerata a fondo. Non v'ha dubbio, intanto, che il concetto di pro– prietà vigente nel diritto feudale avanti la rivolu– zione è quello che ho chiamato estrinseco. n diritto feudale, così bene paragonato dallo Jaurès a una piovra, che allunga i suoi tonta.coli su ogni forza nflturale, su tutto ciò che vegeta, si muovo, respira, consideraYa i nobili come conquistatori e signori perpetui, per i quali ogni vita ed attività altrui non è che uno smembramento della loro conquista: sulle terre, inalienabili, conferiva loro una sovranità. per– petua, anche quando eran cedute a qualche plebeo percbè ne curasse la coltivazione; da esse il signore ritrae\"a un canone, " che era. un reddito J)ermanente 1 " eterno, e nello stesso temJ>Oun segno continua– " mente rinnovato della sua inalienabile 1>roprietà, " rendita imprescrittibile, di cui il signore aveva " diritto anche di reclamar gli arretrati ,, ('), quando pme per anni o secoli non li avesse riscossi. 'l'asse, diritti di giustizia, monopoli, privilegi di caccia, censi e tributi, corV<:es, ecc., si riguar davano come derivanti dall'antica sovranità fenda.le e dal primi– tivo diritto di possesso, della. cui origi ne s'era per– duta sin la memoria, ma che Luigi X[V aveva di– chiarato hnprescriffibifi (:); al parassitismo feudale s'aggiungeva lo sfruttamento delle entrate pubbliche, con gli impieghi di parata e le pensioni, o il paras– sitismo del clero col diritto delle decime e delle prebende che, nelle )Jiù ricche abazie, spesso l'abate riscoteva senza nemmeno risiedere sul luogo ( 3 ). Proprietà e lavoro sono dunque, in questo diritto, due concetti completamente distinti e separati; nè miglior nccordo può riscontrarsi fra i concetti di proprietà da una parte e di libertà e uguaglianza dall'altra. Dalla proprietà feudale discendono, infatti (I) cosW11mtee LtgislaUl)JJ., trad. !tal., llJl. t-t•JS. (') SAL\'tlllSl: La 1·lcol11:, f1·a11c., pp. 12-18. (2) JAtrnt:S: op. cll. 1 113-21.

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