Critica Sociale - Anno XVI - n. 13 - 1 luglio 1906

206 CRITICA SOCIALE pratutto intorno ai principi ai quali doveva inspirarsi la leggo: liberismo o intervento di Stato; libertà od oh• bligazione? Pe1· gli i11dividualisti 1 essendo lo Stato l'organo non di una classe, m,L di tutte e non dovendo perciò interve– uire che in nome degli interessi generali, spetta all'in– dividuo riparare colla sua azione all'incapacità al lavoro risultante dalla vecchiaia o da invalidità, aiutandosi magari colla mutualità, le istituzioni padronali, l'assi– curazìouo libera, l'organizzazione professionale, ecc. E:iSi non ammettono l'obbligatorietà dell'assicurazione, che è inconciliabile coi diritti della libertà umana 1 de– moralizzatrice, tirannica, perchè, mentre vieta all'ope– raio di consumare la totalità del salario, fissa la parte che esso deve destinare forzatamente al risparmio e nello forme volute dalla leggo, e in tal modo IlOrta alla soppressione della élite dei salaria.ti che si forma attra– verso la libertà di previdenza o di risparmio. Essa inoltre ò dannosa all'economia nazionale perchè, obbli– gando i padroni a contribuire, accresce i costi, o uccide le industrie più deboli; pericolosa, percbè il principio ha forza irresistibile di espansione, ed è quindi un primo passo verso il socialismo e la " schiavit1\ futura 11• La libertà è il miglior mezzo per risolYere il problema: la mutualità e il paternalismo 'dei padroni sono più che sufficienti (1). Una teoria intermedia fra il liberismo e l'i:1tervento di Stato, propugnata specialmente dai clericali, vuole in vece una riso!uzione organica o J)rofessionale del pro– blema. Se la famiglia non può, deve provvedere la pro- ::0s1~i~n0e~e~~1~a~~z;;~t:a 0;~~~~:sti~l~:~:::ra:i ~O~:;Ì~~z:l~~i°~ società le scorie del suo personale, poichè l'operaio, dal punto di vista del lavoro, non è che una macchina il cui deperimento deve essere calcolato e il prezzo am– mortizzato e). Contro i teorici della libertà, i fautori dell'intervento fanoo rile,•are la insufficienza della libertà. per produrre risultati soddisfacenti e i danni gravi che può portare la perdita di economie mal amministrate. La società non vuol attendere che il self-help abbia fatto scompa– rire le miserie sociali e la legge è, per questi teorici, !a coscienza di coloro che non ne hanno. L'ìnten•ento però è più o meno esteso, secondo i vari criteri: gli uni vorrebbero che lo Stato assumesse tutta la spesa me– diante l'imposta; altri che concedesse solo un contri– buto, lnsciando agli operai e ai padroni di costituire il capitale necessario; altri ancora che lo Stato si limi– tasse ad aiutare la mutualità sussidiandola. Per ciò che riguarda l'obbligatorietà, i fautori di essa ne trovano la giustificazione nel fatto della impossibi– lità di arrivare alla generalizzazione del\lassicurazione sotto il regime della libertà, per l'instabilità rlei salari, le tentazioni di ogni sorta, le difficoltà che incontra l'operaio delle categorie inferiori a comprendere la pre· videnza a lunga scadenza. "L'obbli!]atoriet.\ - diceva lllillerand, ministro, nel magistrale discor.:Jo tenuto alla Camera francese il 10 di• cembre 1899,discutendosi il progetto di legge su-Ile pen– sioni operaie - l'obbligatoriefa è lecito, giusta e ne– cessaria. ~, lecita allo stesso titolo e per le stesse n1gioni della obbligatorietà dell'istruzione, della imposta e del servizio militare, imposti tutti ad uu tempo nell'inte– resse della Società e in quello rli ognuno dei suoi membri. " L'obbligazione non è solo lecita, ma giusta. Per ciò che riguat'da il padrone, nulla sembra essere più equo che domandargli di iscrivere fra le sue spese generali l'assicurazione e l'ammortamento del suo persouale ~'::~~~o'de~o:u~ ~iat~srci~l~el't!~l:u;:;i~n:cc~il~:~~morta- Nè si può, egli aggiunge, lasciare al padrone facoltà di concedere, o no 1 il suo contributo, perchò i fatti di– mostrano che, nel 1896·97 1 su 2.656.000 operal, solo il 3 71 °lo, cioè 98.656 1 avernno diritto a peusioni isti · tuit~ dai padi-oni, e perehè in ogni modo anche i pa– droni migliori sarebbero costretti rlalla concorrenza a attendere che gli altri padroni facessero lo stesso. t•) E. ed M. LACO~mi::: Les ,·e/1'(/ttes 01w1·tèrts. Parls, Jtousscau, 100~ (2) umsSMI.D: I,e p1·ob1è111e de l'/.11rn1t•lité et de ta vteilltsse. Pa– r1s, 1901. ~ A:O:TQl?i'ls: l'ou,·;, (l'éromm1ie Jlr1/U!t111e, JOO~ - LEFOltT: l.ts caMses dt retncites 011vrl~1·es. J'nrls, l'JOG, 2 voi. Per i padroni è quindi necessario, oltrechè giusto, che la legge imponga 11assicurazione obbligatoria. Lo steiSO vale per l'operaio e l'impiegato. L'obbliisa– torietù. non è, come alcuni sostengono, strumento di clemorali..1zazione. 11 Sicuro; è preservare l'uomo, è sal– vare !a sua dignitii, il suo diritto stesso al titolo di uomo, il risparmiargli la caduta nei bassifon~li. della mi;ieria. Se volete tenct,~re la molla della sua. att1v1tà, se voli;te che resti capace di prendere delle iniziative e di asmmere delle responsabilità, bisogna anzitutto che gli a9sicuriate un minimo di garanzie materiali e di sicu– rezza morale.,,('). . . . Cosl discutevano i teorici. I vari paesi avevano, dal canto loro 1 risolta in vario modo la questione. Jughilterra, AmeriCll, ecc., avevano- tenuto fede al principio dell'assoluta libertà; Belgio e Italia avevano seguìto il principio della libertà SOV\'enzionata; la Ger– mania, quello dell'ilssicurazione obbligatoria; l'Australia o la Danimarca avevano istituito pensioni di Stato. Quali i risultati ottenuti? Negli Slliti Uuiti la quest:ono dello pensioni per in– validità e vecchiaia non è in alcun modo risolta. I.e Compagnie private non si curano dei loro operai, lo Mutue sono deboli; delle As30ciazioni professionali, solo poche danno sussidi in caso di invalidità (2). Io qt1e3ti ultimi anni però la questione viene agitata con in.ii • stenza in alcuni Stati e ha dato luogo a studi e pro– poste in merito (3). In Inghilterra la questio~e delle pensioni è ri.:.olta in una certa misura dalle Fnendly Societies e dalle 1'ra(le– Unio11s, cioè dalla mutualità libera che può richiedere il controllo governativo compiuto a mezzo del registrar e in tal modo assicurarsi alcuni vantaggi di natura finanziaria e fiscale. Fra le F,·ie11dly Societies, però, che erano, nel 1900, 28.346 e avevano 5.217.250 soci e un capitale di 820 milioni di fr., poche sono quelle che danno pensioni. Le organizzazioni invece spendono somme notevoli; su 100 fra le Unioni principali, 38, che avevano quasi metà del totale dei soci delle 100 Unioni, e cioè 566.765 soci 1 spendevano nel ~900 L. 202.952 in pensioni('). La spesa per questo scopo però non assorbì, nel periodo 1892-1901, che il 9>9 % della spesa totale, e le pensioni varia.vano fra le 260 e le 390 lire, con uu massimo di 7 a 10 sh. per settimana e un minimo cli 5 sh. e anche 2 sh. alla settimana. Comunque, la questiono delle pensioni resta insoluta. Solo pochi operai, e anche questi appartenenti ai me– sti~ri più skilled, possono provvedere alla loro vecchiaia. Così cresce la spesa per la beneficenza. L'opinione pub· blica comincia ora a commuoversi, e dal 1889 si sono successe inchieste e proposte di legge basate sul criterio dell'olibligatorietà e tenrlenti a risolvere il problema che la libertà. non sa risolvere (5). li'ra i paesi che seguirono il concetto della libertù sus– sicliata, il Belgio ha ottenuto i risulto.ti migliori. Il si– stema belga si inspiro. al principio della mutualità sus– sidiata, secondo il quale l'assicurazione delle pensioni è lnsciata alla mutu1:1.lilà; lo Stato concede un premio per ogni franco versato a mezzo delle Mutue alla Cassa pensioni. La legge del 10 maggio 1900 creò un fondo speciale di dotazione da parte dello Stato, per la costi• tuziqne delle J>ensioni, di 12 milioni, elevati poi colla legge 18 febbraio 1903 a 15 milioni. La libertà è a base di questa legge; lo Stato interviene solo con premi di incoraggiamento che vanno, a seconda dell'età. dell'asso– ciato, da fr. 11 a fr. 24 1 80 all'anno per ogni socio. Dopo l'applicazione della legge del 1900 si ebbe un notevole progresso, tanto che nel i 904.vi erano 5053 So– cietà affiliate alla Cassa pensioni> con 585.656 libretti 1 (I) LAV\": IJo>uvre de ,m11era1Ht; PA.rls, 100'2. (?) ltlCllMOS"l) IIF.1,0F.ltSON: Wvrkiuu me11's blSlll"(IHCe LII tlle UnHed– SMltS of Amtrlca; H!\pporto al Congresso dl Vlnnna 190&. I') P11>m:-: 01a-aoe pe11sio11s (Massachusetts Bureau ot statlstlns ot L~bor; Boston, 190~). - Labo10· l,,11UeU11 of tllt Commo111vec1ttll o( Jlas– sac!wsetts, N a1; Sept. 1905. ('I) Rtport by the Chtf( I,aborff co,-re$poudent of tllt JJoard o( 'l'racte 0,1 Tra«e U11io11sh1 J90J. ("l SCHLOSS: 0/d-aue pemlon scllemes t11 /Ile Uni/ed K/.11udom (Uap– J)orto al Congresso di Vienna, 1905).

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