Critica Sociale - Anno XVI - n. 13 - 1 luglio 1906
204 CRITICA SOCIALE zione: se la loro specifica vocazione è vera, essa li aiu– terà a rimettersi presto al passo cogli altri nuovi con– discepoli. Per mio conto, io credo poco a questi equivoci di porte scol11,9tiche i quella, che si vuol far passare per mancanza di vocazione per un genere di studi, è bene spesso mancanza di vocazione per lo studio in genere: non bisogna poi dar troppo rilievo alle scuse pietose delle mamme. Come più spesso ancora, oggi, sotto l'etichetta di evoluzionismo e cli mOdernismo, si fauno passare pro– J)OSteclaudicanti e baggianate parecchie che non stanno uò in cielo nè in terra. Così, allo sviluppo dello sp!rito d'osservazione sin da la pili tenera età. si JJUÒ beni:.simo provvedel'o, senza bandire il latino, insegnanndo botanica e zoologia con metodo esclusivamente sperimentale e con rigoroso di• vieto dell'uso di libri, e collocando quest'insegnamento nl posto cH quell'inutile corso accelerato di storia che ora ingombra il ginnasio inferiore e che invece starebbe C'gregiamente in una scuola di primo grado professio– nnlc, per alunni destinati a non riveder più, nel se– guito del loro corso, libri di storia. Ed ecco qui spuntar fuorì una ragione di pili in favore della differenziazione degli studi subito dopo le scuole elementari. Quanto poi al sentimento della modernità, a mio giu– dizio, ce ne sarebbero due specie. L'una, la vera mo– dernità., è quella che entrando nella scuola mira ad elevare e affinare sempre più lo spirito, a dargli mag– gioro plasticità, agilità, apertur< :1.ed ampiezza di vedute, o questo appunto si ottiene col ricongiungere il pensiero o il sentimento moderno a quello antico nelle sue ma– nifestazioni più geniali. Questa. specie cH allenamento alla prospettiva storica, alla comparazione degli atteg– giamenti mentali di popoli e tempi diversi, sprigiona nell'intelletto una virtù che è vano sperare col solo o quasi solo studio scientifico: Io stesso studio delle lette– rature morlerne, che ora s'invoca come ottimo succe– daneo a quello delle antiche, riesce monco o superficiale senza un preliminare tirocinio nelle letterature clas– siche. Chiunque per poco abbia pratica di queste materie, può presto imaginare quale bel tipo Christo"{le di col– tura potrà ricavarsi, senza sussidio di lettere classiche, dallo studio di Dante, di Foscolo, di Leopardi, di Goethe, di Shelley, di Carducci, di D'Annunzio, di Pa– scoli e di Anatole France. Cito di proposito quest'ultimo che nessuno, sia pure nel sacro nome del metodo indut– liro, anà. il coraggio d~ gabellar per codino. Ara vi è anche un'altra modernità. di scarto, che è una concezione della sapienza dall'angolo visuale di camerieri da Modem llotel, i quali coi loro criteri emi– nentemente pratici non vedono altre luci apprezzabili per l'altezza dei loro tempi che quelle elettriche: lam– pade greche e romane per loro non sono che moccoli fuligginosi, anticaglie da preti. Con questo secondo tipo di modernità si può discendere comodamente alla con– clusione che la coltura ideale de' tempi nostri si possa alla fin fine ridurre ai resoconti delle Camere dì lavoro con qualche complemento d'elettrotecnica. E qui faccio punto, non senza però reprimere un sor– riso interno che mi spunta pensando alle ruote volanti del diretto Ancona-Bologna-Milano che si precipitava di grande urgenza alla capitale morale per annunciarvi i trionfi del metodo induttivo celebrato entro le mure della città. dorica. Pl'Of. ARMANDO 'l'ARTARINI. L'ALTRA ROMA u Il tre agosto traversammo quello campagne deserte e quella solitudine immensa che si estende intorno a Roma per una sup~rficie di parecchie miglia. L'aspetto del paese è m3gniftco, non è certo una pianura arida, la vegetazione anzi vi è molto rigogliosa. La maggior parte dei punti di vista sono dominati da qualche avanzo di acquedotto o da qualche tomba in rovina, che dànno a questa campagna romana un carattere di grandezza senza paragone. Le bellezze dell'arte raddoppiano l'ef– fetto delle bellezze della natura, e ne impediscono la sazietà, che è il grande difetto del piacere nei paesaggi. Spesso in Svizzera accado che, un momento dopo la più viva ammirazione, sorge la noia. Qui lo spirito è preoc– cupato dall'idea di un gran popolo che non è più; al– cune vot!e si è come spaventati dalla sua potenza, e sembra qua.si vederlo imperar sulla terra; alcune altre volte sorgo quasi un senso di pietà. per le sue miserie, per la sua lunga decadenza. Durante queste meditazioni i nostri cavalli hanno fatto un quarto di miglio; si è girato dietro una piega del terreno e l'aspetto ò total– mente cambiato. Lo spirito torna ad ammirare i sublimi paesaggi che presenta l'Italia. Salve, magna pa,-ens re- 1·wn !.... ,, Queste parole ho rilette nella prima edizione italiana della Roma di Stendhal. Siamo, dunque, nella JlatriR. ideale dell'umanità, nella Roma di Michelangelo, di Bramante e di Raffaello, là dove trassero con devoto amore, dalle patrie nebbiose e fumide,operose e selvagge, dalle lontane gelide patrie, a sognare, ad amare, a pen– sare, a soffrire, a vivere, Byron e Goethe, Shelley e Keats, Stendhal e Ibseu; là dove ciascuno ebbe sete di solo e di gloria, o gridi dell'anima da lanciare entro la cerchia delle mura aureliane, fra i cipressi e lo rovine, nella solitudine, nel silenzio, al conspetto della bellezza e della storia, nella purità della luce diffus; sul sonno della dea flava e candida, delFadorata da tutte le genti, della chiamata con un nome eterno: Roma. Siamo nel– l'altra Roma, lungi al romoro della moderna. Bisanzio, dove germina ogni mal seme di delinquenza artistica e politica, dove i Bonturi ingrassano e gli architetti aprono rettifili e gli aéultori consacrano alle vendette dei posteri le marmoree sembianze poco oneste dei numi della patria contemporanea. Ed ò bella quest'altra Roma de– scritta da Stendhal che, straniero, ne ha compresa l'a– nima meglio di un italiano, e ne ha esaltate lfl bellezze con il suo ardore di poeta compreso di un grande amore di ttlrra lontana. Stendhal profetizzò che i suoi libri sarebbero stati letti fra il 1880 e il 1890, cioè circa un mezzo secolo dopo la sua morte. Egli visse straniero al suo secolo, senza amori e senza gloria. I suoi contemporanei, usciti nervosi e crucciati dalla ltivoluzione, sfiniti dallo bat– taglie dell'Impero, traviati dalle lusinghe della Restau– razione, non potevano accorgersi di uno scrittore, il quale ironicamente asseriya de n'avoir pas de tatent litté,-ai1·e. Onde egli passò in mezzo a loro soffrendo di non essere compreso. Que je souffre de u'étre pas devi11él Ora la gloria di Stendhal è nel suo massimo fulgore. Tant'è vero che anche iu Italia si cominciano a tradurre e a leggere i suoi libri, quasi por smentire il sospetto che gli italiani del secolo ventesimo cono.icano Stendhal quanto i loro antenati del principio del secolo decimo– nono. E in Halia 1 in una elegante edizione corredata. di documenti fotografici o di antiche stampe, è pubblicato
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