Critica Sociale - Anno XV - n. 21 - 1 novembre 1905
824 CRITICA SOCIALE più nel Meziogiorno essi sono inermi, indifesi e in completa balìa dei cappeddi, che spadroneggiano nei Municipi. La nostra riforma tributaria \·uol essere dunque - più che un semplice sgravio delle classi inferiori - un atto di giustizia, una perequa,-,ione doverosa fra le classi e le regioni d'Italia. Per questo le ob– biezioni dell'on. Maggiorino lt'erraris perdono molto del loro valore, perchè non impugnano Pimportanza politica e sociale cho noi attribuiamo alle nostre prnposte. Importanza di cui ci pare - se l'amore che abbiamo portato a cotesto argomento non ci fa ,•elo allo sguardo - di vedere una testimonianza e un riconoscimento nello sforzo concorde di quasi tutti gli studiosi od i legislatori per risolvere l'in• tricato problema delle finanze locali. Infatti, dai progetti Carcano-Vacchelli a quelli Carmine-Bosclli, dalla legge Sonnino per la riduzione del dazio sui farinacei a quella Carcano per la sua totale aboli– zione, dalle proposte del Sonnino per l'imposta sul reddito a quelle del La.cava e dell'Alessio, dagli ar– diti disegni del \Vollemborg a quelli ancora ignoti del I\Iajorana, sempre la questione del dazio interno e dei tributi locali tiene il primo posto e si affaccia con i caratteri dell'urgenza. Ed oggi, all'autorità. del },crraris, che vuol pospoL-re questa riforma alla ri– duzione dei dazi doganali sul petrolio, sullo zucchero e sul caffè, µossiamo opporre quella non meno com– petente del De Johannis che, nell'ultimo numero dell'Ecouomista (I), sostiene con noi la priorità della riforma del dazio consumo. . . . Se non che, questo consenso intorno alla priorità da darsi ad una riforma non ci impedisce di dissen– tire dal De Johannis sul modo con cui esso vuole attuarla. 'l'ro sono lo obbiezioni che erodiamo di dover muovere alle proposte del chiaro direttore oel l'Economista. La prima riguarda la praticità del suo disegno per ciò che rigua1·da i Comuni di prima classe e parte di quelli di seconda, ch'egli vorrebbe passas– sero da chiusi ad aperti nello stesso modo con cui Bergamo ha potuto compiere siffatta mutazione. È certo che alcuni dei Comuni di prima classe potreb– bero - senza eccezionali provvedimenti dd. parte dello Stato - compiere l'ardua riforma. Milano, ad esempio, che nel 1899 traeva soltanto 8 milioni, sui 20 delle sue entrate ordinarie di quegli anni, dal dazio, non incontrerebbe difficoltà insuperabili; ma questo difficoltà comincierebbero a manifestarsi a Genova che, nella stessa epoca, traeva 8 milioni su 12 dal dazio, e la. difficoltà si aggrnVerebbe. per Palermo, che traeva allora dal dazio 6 milioni e mezzo su quasi 9 d'entrate ordinarie, e diventerebbe insuperabile a Messina, dove - sempre nel 1899, cioè prima J.ell'abolizione del dazio sui farinacei - su 2.880.000 lire ù'entrate, ben 2.326.000 provenivano dal dazio. J(a - e questa è più grave obbiezione - Paprire un Comune, cioè l'equiparare i cittadini entro cinta a quelli fuori cinta, è riforma veramente democra– tica? La questione è antica e la risposta ci pare ormai concorde. _1,: la risposta è questa: che abolire la riscossione del dazio alle cinte, lasciando che esso venga riscosso all'atto della rivendita, a cui ricorre forzatamente il piccolo consumatore, è un abolire il dazio per i ricchi, lasciandolo per i poveri. La ri– forma del dazio è quindi per noi qualche cosa di ben diverso; è la. sua abolizione parziale per tutti o non por una classe soltanto. Perchèi secondo l'opinione nostra - e questa è la terza obbiezione - la riforma) più che allo sgravio (I) 20 ottoùl'e 100::,, di alcuni consumi, deve tendere a ristabilire quella giustizia tributaria che non c'è affatto in Italia, dove un presidente del Consigliò - il Giolitti - potè dire che le imposto sono progressive a rovescio. Perciò ci duole che il De Johannis si preoccupi soltanto del dazio consumo e dell'abbattimento delle barriere interne e non aggiunga a queste sue pro– posto anche l'abolizione di quelle tasse locali - le quali, come abbiamo visto, possono trasformarsi in istrumcnti di oppressione di classe - e la loro so– stituzione con quella imposta personale e progres– siva sul reddito a cui noi assegniamo anche uno scopo politico. " Finché le classi economicamente più fnrti - scriveva quell'acuto maestro di politica finanziaria che fu il Coni g-lia.ni C) - vedranno coperte le spese pubbliche con tributi assegnati e distribuiti senza alcun riguardo alle utilità arrecate a questo o quel cittadino, esse saranno spinte a sfruttare l'azione degli enti collettivi ai loro fini egoistici e ad allon- - tanare quelli da una giusta considerazione della uti– lità nazionale; finchè la maggior parte del costo delle pubbliche aziende sarà sopportato da classi che non hanno nessuna o almeno hanno la minore influenza politica 1 le classi dirigenti non si faranno riguardo alcuno di spingere all'eccesso le spese pub– bliche e di portare nella vita politica il malefico influsso delle ambizioni individuali e delle lotte eco– nomiche. ,, B sono appunto questi principi che noi vogliamo introdurre nella nostra riforma, perchè essa non solo giovi alle classi povere, non solo attui una maggiore giustizia tributaria, ma serva a ral– lentare la corsa folle alle Spese, corsa nella quale gli interessi legittimi e le attività produttrici sono spesso soverchiate da parassitismi lllconfossabili. Che se qualcuno dovrebbe unirsi a noi nel volere trasferito parte del carico dalle classi povere alle ricche, mercè il rammodernamento dei più antiquati, malsicuri ed odiosi congegni tributarI, questi do– vrebbero essere appunto i De Johannis e i Maggio– rino Ferraris. I nostri due dotti contraddittori insistono sopra una politica di sgravi doganali - il primo dopo lo sgravio del dazio consumo) il secondo prima del dazio interno - da compiersi gradualmente con gli ayanzi di bilancio. Ora, noi non siamo nè così ostinati pessimisti, nè così sospettosi avversarì dell'aritmetica, da negare l'importanza e il valore delle previsioni dell'onore– vole Maggiorino Ferraris sugli avanzi di bilancio. 11 gettito progressivamente crescente delle entrate è un fatto innegabile, e tutto Jascia supporre che, al– meno per un certo numero di anni -- salvo avveni– menti impre"edibili - esso continuerà la sua felice ascensione. !fa è anche vero che 1 accanto a questo aumento progressivo di entrate, c'è un aumento progressivo cli spese. Si veda qui sotto - con le stesse cifre del Ferraris lo svolgersi parallelo dello due progressioni: :Entrate Spese A,·a1\Z0 Alllll !llll!Olll Jll!l\0111 annuale 1898-99 1658)8 1626 1 1 + 32,6 1899-900 1671,5 1633,1 + 38,4 1900-901 1720,7 1652,3 + 68,3 1001-902 1743,4 1670,8 + 63,6 l 902-t103 1794,7 1695,0 + 98,7 1903-904. 1786,3 1727,6 + 58,7 1904- 005 1832,0 1768,0 + 61,0 Dii questo cifro appare dunque evidente che, se le entrate aum.entano di circa 29 milioni annui, anche le spese progrediscono in ragione di quasi 24 milioni all'anno, cosicchò l'avanzo, che) se la spesa si fosse mantenuta qual'era nel 1898-99> sa-
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