Critica Sociale - Anno XIII - n. 6 - 16 marzo 1903

CRI'f!CA SOCIALE stente. La società dell 1 oggi 1 fondnta sulla separazione delle classi, sullo sfruttamento del laYoro salariato rla parte del capitale, è agli occhi nostri la negazione del diritto. 11 diritto fon(lamontale degli uomini - il diritto alla vita, il diritto al lavoro e t\i prodotti del lavoro - è violato da essa. Ce1·to, è possiiJi!e che noi stimiamo J)il1 umano e pii'1 savio di venire a qualche intesa colla societìl cn1>itnlista. La Jffuclenza politica e la umana ge– nerosità ci consigliano di addolcire al possibile le tran– sizioni e cli tener qualche conto degli interessi e delle abitudini. Ì•: per questo che Kaustskr, dopo .Marx ed Eogets, am– mette, come princiJ)io, la convenienza di una indennità, per lo meno temporanea, nella ~rande opera di socia• lizzazione e di espropria1.ione che tra.smetterà la pro- 1>rietàdegli strumenti di lavoro nelle mani dei lavora– tori organizzati. Ma se questo è l'avviso della politica e della saviezza, non è 1>erò la formula imperiosa del diritto. Lo sforzo individuale dei caJ)italisti ha potuto mescolare <lellc particelle di diritto allt~ fortuna che essi posseggono. i\la il capitale, nel suo insieme, ha perduto il suo diritto storico da quel giorno in cui ha cessato di esser necessario alla direzione del lavoro ed all'or– ganiz1.n.zìone della produzione. Quando la nazione è sufficientemente unificata per potere attirare a sè tutta la propriet~ capitalista, quando il proletariato è surtt– cientomente organizzato ed illuminato da sapere ammi– nistrare da sè la proprietà. socializ1.ata, il diritto del capitalismo finisce, e il diritto del lavoro - diritto so– nano cd esclusivo - incomiucia. Precisamente, in questa lotta del diritto nuovo contro la falsa sopravvivenza del diritto antico, sta il fondamento ri\•oluzionario del so- cialismo. · Quando noi ragioniamo così, noi non pretendiamo con– globare arbitrariamente la forza mornle dell'antico me• todo ri\·oluzionario con la forza. positi\'i~ dei nuovi metodi di e\'Oluzione e di penetrazione. Non vi è nel nostro pensiero nè ipocrisia, nò calcolo, nè equi\'OCO. Alla. paro!n. " rivoluzione ,, noi non diamo un senso fazioso e violento, anzi mettiamo continuamente il pro– letariato in guardia contro In. retorica rivoluzionaria, che tende a toglier valore ni mezzi legali dei quali esso può servirsi. Noi gli ripetiamo che la trasformazione della società non potrà venire che mercò un'opera pa• ziente dì organizzazione e di educazione, mercè la con– quista graduale del potere. Mn è anche nostro dovere proclamare che l'ordine socialista non è una estensione e un prolungn.mento dell'ordine capitalista i che il di– ritto socialista non è un ampliamento cd una applica– zione pili estesa del diritto rapita.lista, ma. che è im 1 ece un diritto nuovo, davanti al quale l'antico diritto della J}ropriut.ì. non vale piì1 nulla. )lillerand non dica che ò questa un'astrazione filoso– fica. Noi non siamo (ed egli lo sa al pnri di me) un partito empirico. Xoi abbiamo un ideale 1 e questo ideale, che mette la persona umana al diSOJ>rn di tutto, che la emancipa. da ogni tutela, sta in opposizione all'idenle della borghesia ca1>italista, che mette la proprietà al disopra della per– sona. Come potremmo comprendere tutta la grnndezza del nostro ideale, come potremmo trovare in esso tutta la forza viva della quale abbiamo bisogno per lottare o per vincere, se non ftssiamo nettamente in qual modo questo ideale si opJlone a tutta la realtà. odierna? Questo vigore della affermazione ideale non contrl\Sta punto al modo di azione continua ed evolutiva 1 anzi gli ,,iene in aiuto. Concludendo, io credo che non bisogna 1were nè la G B paura nè la. superstizione delle parole. Il proletariato mostrerebbe molta fatuità se si ubbriacasse della pa– rola II rivoluzione ,,; ma perderebbe una parte della 11uarorza se non penetrasse nello spirito dei principii socialisti fino a scoprirne il senso rivoluzionario. Non è questa una fnntasia di dialettie!\ hegeliana, o un co– modo artificio di conciliazione che permetta di conci– liare le varie ed opposte tendenze; ma è, io credo, Il vero e pieno senso della vita socialista. Io vorrei mo– strare a Millerand, con alcuni esempi, che lo stesso me– todo ch'egli consiglia e che ha ragione di consigliare - il metodo di azione continua, legale, J>rogressiva - ri· schierebbe di esser falsato od attenuato, se la virti1 ri\'oluzionaria, che ò nell'essenza del pensiero socialista, non fosse più presente in noi, e da noi esplicitamente riconosciuta. Per ora mi limito a dire che, se Millerand rimprovera la parola II rivoluzionario ,, di essere equivoca, anche la parola " riformista ,, lo è altrettanto. La riforma può essere conservatrice o ri\'Oluzionaria, e può proporsi il consolidamento dell'ordine presente migliorato, o la 11re- 1>arnzioue di un ordine nuo,·o. I " riformisti :11 sono dun• que in obbligo di spiegare in qual senso sono riformisti, come i a rivoluzionari ,, sono in obbligo di spiegare in quale senso sono rivoluzionari. Jo: non è punto con• veniente ripudiare una J>arola esatta e necessaria, solo per prevenire un'ambiguità, che non va disgiunta neppure dalla ))arola che si vuole n, quelln. sostituire. ÙIOYANNI JAUftf:~. La disputa fra i due eminenti pensatori socialisti non ù, a questo punto, finita. li d.irettore della. Petile R/publique, Gérault-Richard, ha invitato llillerancl a replicare, e questi accettava l'invito. Da queste nobili polemiche - alte, serene, senza fiele - come di persone che uno stesso ideale, vera• mente sentito, affratella anche nei dissensi, il socia· lismo e sopratutto i sociftlisti italiani hanno forse {1unlcosa da impa.rare. Noi. Gli Orrti delle Esperridi (Criticho allo studio su f.,' lllllia t i tn1ttati di commercio di A. CARIATI O L. };ISAU01). II. - J'Jl\ questione meridionale. \~eni~mo alla seconda. affermazione dei due egregi scnttor1, per la quale fil trasformazione delle col– tu,·e cerea.licole in colÌuro arboree ed ortensi J.'isol– verobbo, sicuramente e radicalmente, la questiono economica del :Mezzogiorno e della. Sicilia. 'l'utti sanno che la pii't grave causa. della crisi agraria del Mezzogiorno d'Italia e della Sicilia è, pii1 che la insufficienza, la mancanza del capitale. }Jsso manca abitualmente; quel poco che si può a.vere ò assolutamente inadeguato ai grnndi bisogni cl.iquelle regioni infelici; ed è troppo caro anche per quei co– raggiosi che non si arrestano dinanzi alle prime dif– fìcoltà. Tutti i suggerimenti, tutti i provvedimenti, tutti i conati <lei Governo, delle amministrazioni pubbliche subcentriche, dei privati, sono stati sem– pre - e lo sono anche quelli reçentissimi - rivolti a fornire in un modo o nell'altro, sotto forme tec– niche o sotto forme pecuniarie, il capitale che, del resto, tutta l'agricoltura italiana attende indarno ria mezzo secolo. Ora, l'affermazione di cui si tratta, garantisce la radicalo risoluzione della questione economica meri-

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