Critica Sociale - Anno XII - n.5-6 - 1 e 16 marzo 1902
76 CRITICA SOCIALE la conseguenza che la miseria morale più che la ma• terlale può costituire davvero il lato catth·o e ratale di qualsia.si societh. ... E la miseria morale esiste oggi nel regime capitali– stico ed ò la vera miseria che arttigge il proletariato. In es110 lo squilibrio tra clolo,•i e mezzi ò costante, nè può esser rimosso 11enon dopo raggiunta una piena egua– glianza economica. Che I salari aumentino è innegabile; ma è anche innegabile che, mentre essi aumentano in ragione aritmetica e sono, nella maggior parte dei paesi, molto ma molto lontaui dal livello a cui arrivano gli stipendi e lo rendite della media e della. grassa borghesia; i dolori invece della classe operaia, le sue esigenze, le sue aspirazioni, I suol desideri, progrediscono in ragion geometrica, avvich11\ndoslsempre piì1 alle aspirazioni, allo esigenze dolio classi più fortunate. :g questo continuo o progressivo imborghesimento non ò certo imputabile - come strillano i filosofi del capi– talisino - all'amt,izione, all'avidità, all'invidia o alla. scioperatnggino della classe operaia; ma tutta la colpa o tutto il merito risale al regime capitalistico, il quale va affinando fisiologicamente o psicologicamente l'orga– nismo dell'operaio o lo spinge, volente o nolente, nella flumauadella ch'iltà. l;o•stessoaumento dei salari, lestesse comodità, le stesse agevolazioni che i capitalisti di tanto in tanto concedono elargiscono, più o meno spontaneamente, ai loro operai coli/\ sporanza di irretirli e di addormen• tarli, sono invece la prima. e principale spinta verso la vita, sono la prima scossa che, destando il lavora– tore dall'apatia secolare e facendogli comprendere che anche per lui ò possibile c1unminare 1 Io invogliano n. poco a 1>oco alla corsa. L'nppetito vien mangiando, si sa; con questo di pii1 grave nel nostro caso: che, in materia di J>rogresso e di comodì 1 non è possibile sazietà; e meglio ò non mettere davanti all'uomo nemmeno il primo piatto, cbe troncargli poi il pasto a metà, quando lo stomnco, non ì>iì1m1tenuato o allenito ma nemmeno sntollo, ra maggiormente sentire gli stimoli della fame ed ha a suo servizio un organismo più saldo e una vo– lontà piì1 energici\ per contentnrlo. JI progresso flslologico della classe 01>eraia 1 che è un frutto anch'esso, diretto o indiretto, volontario o no, d'ogni regime ca1>italistico un po' sviluJ)J)ato, è la prima causa che, ridestando nlla vita l'organismo del lavora.– toro, già abbrutito e imbestialito dalla. rame e dalla miseria flslcn, lo ronde pi~ delicato, pii) ,•ibrante e J>iù sensibile. 11 prof. Ottolcnghi, che à ratto uno studio sulhl sensibilità delle varie classi sociali ( 1 ), scrive che l'esagerata eccitabilità, caratteristica della donna, ru da lui trovata nel SS °lo delle o~raie e nel o °lo invece delle contacli11t:, 1 nelle quali - dice testualmente l'Ottolenghi - pret:<tltl'ottusità <tlclolo,·e. 11 Il J>rimoeffetto dunque della civiltà. caJ)italistica ò quello di rendere i lavoratori meno ottusi al dolore, avvicinando la loro sensibilità. a quella delle classi borghesi, senza però contemJ)oraneamente aV\'iCinare, nella stessa mlsurn, i mezzi di sussistenza. Altro cOmt>ito,che la società capitalistica si assume verso la classe opcrahl, ò <1uellodi aumentarne la col• tul'll e di svegliarne l'intelligenztt. L'istruzione ol>bliga– tol'ia, le scuoio serali e domcnicnli, perfino le Univc1·sità llOpolnri i buo11lllorghesi fondano e JJatrocinano :l fa– \'Ol'C della classe tavomtrice, e si studiano poi coi gior• nali e colla stam1>ndi affinare sem1>repili la coscienza e la mente dell'operaio, dò.ndogli un'istruzione e un'cdu• ( 1) Hlrlata If«lluHa d' S<>ck>foOkr, ,cttcmllre 1s:i;, B b ot G cazione che su1>eras1>essol'educazione e l'istruzione di molti bravi borghesi, crassi d'ignornnza e di rendite. E come se tutto cib non bastasse, come se non rosse già. troppo l'aver ratto dell'operaio un uomo che tende sem1>repiù ad aver l'organismo e la mentalità d'un bor• ghese senza averno la borsa, ecco che vengono la grande industria e Il grande commercio a sfolgorare innanzi agli occhi della classe la\·oratrice tutte le loro ricchezze e i loro J)rodotti, adescandola in mille modi e stimolan– done continuamente i bisogni. Il commerciante,che, dietro il banco, spia con occhio avido l1im1Jressioneche il luc– cichio dello sue ,·etrine e i cartellini di richiamo ranno sul merlotto J)iovuto dalla cnmpagna. e sul lavoratore che torna dall'oftlcina, sarà poi il primo a lamentarsi ,lolla crescente aviciitl, o delle crescenti esigenze del suoi commessi o del suoi OJJerai, 11011 accorgendosi che anch'egli à contribuito, verso I commessi o gli opcrni degli nitri, a questo crescendo. Come pure egli o t11tti i suoi pari, nella loro miopia conservatrice, non s'accorgeranno mai che, se le classi lavoratrici nutrono oggi dei sentimenti d'invidia verso le classi superiori e aspirano n un'eguaglianza che essi credono is1>iratadal diavolo, ò perchò del concetto del• l'uguaglianza ò tutta impregnata. la societ:'1.borghese, sorta in nome di essa, basata sull 1 eguaglianzn del diritto e della morale, e sulla distruzione d'ogni formale bar– riera che di\•ida tra loro in modo assoluto - come nel• l'antichità. e nel medioevo - classe da classe. Ed () questo ravvicinamento morale e giuridico, è appunto questa diminuzione di disuguaglianze sociali, o illustre Pareto, che rcndon più grave, più sentita, più dolorosa la disugunglinnza cconomicn. f;o schiavo dell'antichità, il servo delra gleba medioevale si credevano esseri info• riori ai loro padroni o signori, dinanzi ai quali s'ingi. noechinvano o si 1>rostravano con quella soggezione e divoziono con cui il contadino russo s'inchina e si prostra. davanti allo Cza.r. L'oJ)eraio moderno si sente invece uguale al suo princi11alc. ~:gli sa - 1>erchò i codici stessi dei signori borghesi glielo insegnano - che non ò un vincolo di di1>endenza.,ma un vincolo contrattuale che al 1>adronol'unisce; e questo llasta per fargli sentire il valore della sua persona. e del suo lavoro, e il peso d'uno stnto di cose che lo rende, a parità di merito, un cadetto. Si aggiunga a tutto questo, come ultimo ma non pie• colo male, la precarietà, l'incertezza della vita operaia, J)reearietà. o incertezza che rendono il lavoro del sala• riato piì1doloroso di qualunque altro lavoro, anche meno retribuito. Al male, se non ò acuto, si fa l'abitudine; e chi tutti i giorni sia avvezzo a mangiar JlOlenda. e niente altro, alla fine comincia a credere che non ci sia al mondo - almeno J)er lui - altro cibo possibile. Ma quello, a cui non si fa e non si J)ub rar l'abitudine, è la continua altalena tra il bene ed il male, tra il mangiare e il non mangiare, tra la giornata di salario alto e la giornata di nessun salario. Ù questn la condizione dei veri OJ>eraimanifatturieri o dei braccianti. L'incertezza dalla loro vita ò la loro miseria e la loro infelicità; e, mentre soJ)porterellUoro in paco anche la fame, quando fosso divenuta cronien o avesse estinta in loro ogni po– teuzialitiì. di maggiori bisogni, ossi invece non possono adattarsi ai passaggi bruschi, immediati da uno stato discreto, a uno, sh\ J)nr non cnttivo, ma sempre più l>n.iso.T,'operaio, che, 1>er varie settimo.ne o per vari mesi, ricevo il suo bravo salario e su quello regola la. sua vita o la vita llella sua famiglia; l'operaio, che s'ò ilbituato 1>erun certo periodo n mangiare quotidiana·
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