Critica Sociale - Anno XI - n. 17-18 - settembre 1901
CRITICA SOCIALE 269 questi ultimi secoli, le basi della produzione, noi siomo una nazione naturalmente povera.. :Ma il Nitti non arriva a questa. conclusione dolo– rosa por il gusto di predicare il quietismo. Bgli non vuole che l'Italia si abbandoni, rassegnata, al suo destino i ma vuole, al contrario, che essa, conscia delle reali difficoltà che la sovrastano, moltiplichi le sue energie por emanci1>arscne realmente. Egli ha com– battuto il pregiudizio della ricchezza naturale solo in c1uantoJ'inganno, che vi ò insito, poteva condurci a nuovi errol'i, poteva paralizzare ancora i nostri sforzi. :Ma quali i rimedii ad una simile situar.ione? li prof. Nitti non crede a nessuno cli quegli specifici che, secondo Ja mocln,occupnno tratto tratto il mondo politico o In stampa. ]~sclude, anzitutto - indipendentemente clR.ogni discussione sulla loro eventuale efficacia. - 1a pos– sibilifa cli grandi e durevoli economie. Sopra un bi– lancio cli 1600 milioni in cifra tonda, le spese tangi– gibiJi arrivano appena a 700 milioni: poichò la metà di <1ucsti serve per la guerra e per la marina., è appena l'altra metà che deve bastare a tutto. Se dunque sarà possibile economizzare con grandi stenti qualche diecina cli milioni, Jc esigenze crescenti dei servizi più trascurati finiranno por riassorbirli cli nuovo. Nò mono scettico è il Nitti per lo riforme tributario. Sebbene il problema delle riforme sia andato occu- 1>ancloin questi ttltimi mesi tutta l'opinione pubblica italiana, egli non temo di affermare che non crede alla loro possibilit:\.. Un paese come l'Italia, nel quale, malgrado le attuali strettezze della produzione, Go– verno od enti locali assorbono un 2300 milioni e la pili gran parte di questi serve oranrni a pagar debiti, mal si presta - a suo credere - alle grandi riforme. Chccchò si elica, le famose riforme finanziarie cli Peci non avvennero già. nel momento in cui l'Jnghiltcrra comincia.va, come noi) la sua trasformazione indu– striale, ma quando l'ave,·a belJa o compiuta.. fn [talia la miglioro riforma tributaria consisterebbe nel non mettere nuove imposte, nò dirette, nè indirette, nè sui ricchi, nè sui poveri, perchò tutti pagano troppo. Poichè siamo poveri, J 1 u11.ico,il vero rimedio è cli aumentare la produzione. In che senso e come? Data l'intcnsiHL della sua popolazione, l'Jtalia. non può vh•cro di sola agricoltura. J!~ssade,·c anche di– ventare - seguendo l'esempio delle nazioni oggi pili ricche - un grande paese industriale. Abbiamo visto che uno dei maggiori ostacoli a questa trasformazione era ed è il fatto che non 1>os– secliamo carbone, e che dobbiamo quindi importarlo ad un prezzo IJen pili elevato cli quello a cui lo paghino i paesi già pili ricchi. Orbene: colle nuove scoperte della scienza, il dominio esclusiYO elci car– bone è cessato. Un'altra forza assai più potente, l'elet– tricità, tende og"lli giorno a sostituirlo. B la natura che ci aveva fatti così poveri del primo, ci ha elar– gito, nelle nostre grandi e numerosissime cascate d'acqua, quantità immensa della seconda. L'onorevole Colombo calcola a circa tre mi.lioni di cavalli-vapore l'energia che i nostri fiumi travolgono. La Relazione all'Ufficio centrale del Senato, per modificazioni e ag– giunte alla legge sulle acque pubbliche del .t8\l4, porta la valutazione a 5 milioni. Ora, quando si pensi che solo i più grandi paesi industriali impiegano effettivamente 3 o 4 milioni di cavalli-vapore in tutte le loro industrie '(compresi i trasporti), nppare evidente come un nuovo avvenire economico si dischiuda al nostro paese. L'introdu– zione del vapore fu per l'Italia causa d'inferiorità .. La nuova. trasformazione, che si delinea suJl'ori~r zonte, può e deve tracciarle Ja via della risurrezione. :Ma uno dei massimi ostacoli a questa grande 01>era è la falsa educazione che , 0 ie11 data alla gio- ventò delle nostre classi medie. La suprema necessità dell'Italia è di trasformare i rapJ)1·escntnnti di queste clilssi in agenti produttori. 1•oichè il nostro 1>aesc è povero, noi dobbiamo insinuare neUe menti dei gio– vani che il miglior modo cl.i servire la patria è di aumentarne la riccheiza. Gli uomini di cui ha più bisogno J'rtalia sono gli studiosi che lavorino allo sviluppo delJa conoscenza, gli agricoltori, gli indu– striali, i commercianti, che accrescano le sue ric– chezze materiali. Le nostre scuole, invece, sono oggi una fucina di spostati, 0 1 tutt'al pili) di impiegati. Dobbiamo tras– formarle in modo che diano ai giovani una educa– zione tecnica o pratica; che li preparino veramente alle grandi lotte moderne dell1industl'ia e del com– mercio. Da questo punto di vista, il problema della nuova Jtalia è specialmente un problema di eclu– ca~ioue. Queste in rapido riassunto lo 1>rincipali idee elci nuovo JilJro del Nitti. Al quale se dovessi muovere un appunto, obbietterei che il giudizio che vi si con– tiene sulla possibilità e sulJa efficacia dello economie e delle riformo tributarie ò un po' troppo somma.rio ed incompleto. Per quanto si debba ammettere che anche le più audaci mjsurc in pro1>ositonon sapreb– bero da sole dare la ricchezza ad un paese .povero, ci sembra tuttavia che non sia bene - proprio in questo momento - esagerame la relativa insuffi– cienza. Anche coloro, i quali, ad esempio) non cre– dano alla possibilità di ridurre attualmente l'organico elci.l'esercito, ma che tuttavia riconoscano l'enorme danno che verrebbe alla nazione da un ulteriore aumento delle spese militari, dovrebbero insistere sUlla questione con una energia ben maggiore di <1uella adoperata dal Nitti, se vogliono veramente scongiurare il pericolo di una nuova ripresa del mi– litarismo. Afa questa stess,i incompletezza dell'analisi del Nitti serve a, dare maggior risaJto a, quella, che ne è la parte profondamente vera e certo principale: l'affermazione continua e violenta che il massimo problema per l'Italia è quello cli aumentare la sua produzione, e che questo fatto non le sarà. possibile se non modificando in modo radicale l'educazione della sua gioventì1. l~ questa una idea così vera., così corrispondente al piì1 immecliato bisogno della nostra società., che io vorrei entrasse, con maggiore coscienza e con pili iot,imo sentimento, anche nella visione elci partiti popolari, e del socialista in ispecie. Io non credo, come taluni, cha la questione sociale sia soltanto un problema cti produzione. Essa è, ad un tempo, un problema cli proclnzlone o di distribuzione. Ma, appunto perchè è anche un problema di produzione - e l'aumento della produzione può oggi essere rapido e grande - diventa un grandissimo errore non vedere o non curare che uno solo - e materiai• mente il meno fecondo - dei due termini del bi– nomio. In un paese ricco, ma con una distribuzione relativamente molto disuguale, la classe operaia può stare assai meglio che in un paese in cui Ja poca ricchezza sia divisa, colla 1>iÙgrande eguaglianza.~ quello che avviene, per esempio, in Inghilterra e negli Stati Uniti: dove i ricchi sono enormemente pii, ricchi che da noi, e dove tuttavja l'operaio gode di un benessere incommensurabilmente superiore. Oserei quasi dire che tutto lo sforzo, con cui Je nostre classi lavoratrici sono riuscite in questi ultimi mesi ad elevare i I proprio salario, non deve tanto mismarsi 1 ne 1 suoi effetti utili, dall'immediato van– taggio materialo che ha loro 1>roclottoper rapporto alla distribuzione, quanto dalle sue possibili conse– guenze sull'aumento della produzione. Se l'innalza– mento dei sa.Jari obbligherà. i nostri proprietari agri#
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