Critica Sociale - Anno VII - n. 23 - 1 dicembre 1897

CRITICA SOCIALE 361 generalmente negletto dagli studiosi, ci dà la chiave del nostro problema. Il clima meridionale impone le culture asciutte: la vite, il sommacco, l'ulivo, il mandorlo, il car– rubbo, il fico d'India, la fava, i grani. La feracità del suolo dà con queste piante un alto reddito netto. L'espressivo proverbio siciliano: l'asino pota e dio fa l'uva, significa eh~ basta un asino che mangi i sarmenti perché l'uva venga da sè. Questo però prima che la vite soffrisse malattie parassitarie, e si estendesse in terreni meno adatti. L'interesse agricolo vuole specializzate le culture asciutte in campi e zone separate, secondo la na– tura del suolo e le maggiori o min01·i cure cultu– rali. Associando invece coteste culture, avviene che quella richiedente maggiori cure si trovi distesa in una maggiore superficie con molto sciupìo di lavoro e poco sfruttamento delle varie attitudini del ter– reno. Le culture arboree asciutte, per la grande durata della pianta e il poco esaurimento del suolo, presentano una grande stabilità sulla stessa super– ficie di terra; la vite inoltre ferma presso di sè l'abitazione del colopo. Invece la cultura dei grani e i prati naturali richiedono una vicenda frequente, e quindi mutano di posto da un anno all'altro. In queste condizioni dell'agricoltura meridionale, la mezzadria sul tipo toscano è impossibile. Che farebbe tutto l'anno il cotono sul fondo a grani, o a pascoli, o a sommacco, ecc., se basta un centinaio di giorni di cultura all'anno? Di qui campagna dis– abitata, insalubre e malsicura. La mezzadria in uso per la semina dei grani costituisce uno dei più inumani patti agrari, con il quale al colono, nella divisione fatta sull'aia, spesso non resta che la fatica perduta. Nè la terra per semina e per pascolo può essere proprietà frazionata dei coloni, perché la vicenda tra grani e pascoli col sistema del maggese fa mu– tare di posto le culture ogni anno. Che farà il colono dello spezzoncino di terra sfruttato dalla semina? Non gli giova lasciarlo a pascolo asciutto, perché questo richiede grandi estensioni continue. L'enfiteusi, che perpetua il possesso net colono, non s'è mai per queste ragioni applicata alla granicol· tura e ai pascoli. La terra, adunque, per semina e per pascoli si accentra a latifondo in pochi possidenti, e viene distribuita sotto forma di affitto in denaro (gabella) o di affitto in natura (ter..aggio). Or che è il prezzo d'affitto della terra nuda, se non la rendita che dà la terra per le stesse forze native, gratuite? Esso non è nemmeno l'interesse del prezzo di compra, perché la terra non rende perché si compra, ma si compra pe1.·chè rende; e poi l'aumento naturale della rendita, e quindi dell'afHtto, non è che un guadagno gratuito del proprietario. La terra rende da sè al proprietario senza t'ichiedere cure. impieghi di capitali e risch'ì; c'è quindi un alto tornaconto personale a tener nuda la terra; e la società resta defraudata della ricchezza e della conseguente ci– viltà che dovrebbero sgorgare dal suolo. Sui nostri campi meridionali incombe per nove mesi la sic– cità e per dodici la barbarie semi-feudale; dalle loro zolle esalano la malaria e il malandriuaggio; la loro grande feracità produce la fame dei lavo– ratori e la ignoranza delle classi dirigenti. Che l'affitto esprima il predominio della rendita fondiaria sul prodotto agricolo é dimostrato da un fatto recente. La terra per vigneti, un tempo, si otteneva per enfiteusi, che ha il vantaggio di as– sicm·are al colono la terra ed ogni aumento suc– cessivo della rendita. Oggi per la vigna si è diffuso il contratto di affitto ventennale a prezzi enormi. Scaduto il contratto, la terra, con tutta la vigua piantata dal cotono, torna al proprietario che la u, ':J U Dld liv passa ad altri crescendone il prezzo. Si è quindi, rispetto all'enfiteusi, camminato a ritroso: e ciò pel rincarire della terra nuda sotto la pressione del– l'accresciuta popolazione e dello sviluppo sociale. La rendita della terra trae adunque rigoglio dal poco sviluppo dell'agricoltura, e propriamente dal difetto di capitali impiegati nella terra. li nostro organismo agricolo é caratterizzato da questa man• canza, che impedisce all'agricoltura di industrializ– zarsi. Quella dipendenza reciproca tra piccola pro– prietà e latifondo, la specializzazione delle culture in campi separati, la granicoltura col maggese avvi– cendata coi pascoli, son tutti effetti di un'unica causa, cioè la mancanza di capitali e di mezzi meccanici, necessari alla continua ed intensa produzione su ogni particella di suolo. Or, se la rendita fondiaria si avvantaggia delle condizioni agricole arretrate, è evidente che il progresso agricolo deve tendere ad eliminarla dalla ripartizione del prodotto. Difatti, come dimostra Kropotkiue netta sua Con– quista àel pane. negli orti circostanti a Pal'igi il terreno si fa artificialmente dagli ortolani, e pagasi l'affitto ai padroni, non più per usufruire delle ri– sorse naturali del suolo, ma solo per la camorra del diritto di proprietà privata. La rendita ricavata coll'affitto non trova più la sua giustificazione nella teoria ricardiana del necessario pareggiamento delle varie fertilità del suolo. Allo stesso modo il terreno edilizio dà una rendita, perché l'utilità che da esso deriva è valutata maggiore dell'interesse del capi– tale impiegato nelle fabbriche che cuoprono il ter– reno stesso; invece nei palazzi principeschi e negli edifici monumentali l'interesse della spesa costrut– tiva è minore dell'utilità economica dell'affitto, p. e., se affittar si potesse; e la terra coperta da quegli edifici non dà quindi rendita alcuna nel senso ri– cardiano. La confisca della rendita gratuita secondo il pro• getto dell'americano Henry George ('), allo scopo di sostituire tutte le imposte, è inattuabile, perché suppone che la rendita fondiaria sia un fenomeno immutabile; se sparisse, come potrebbe soddisfare te pubblid1e spese! Invece il mio disegno di con– fisca detta rendita si propone di far servire il pro– dotto della confisca stessa, assieme ad altri prodotti, come mezzo temporaneo e rivoluzionario, alla tras– formazione agraria e alla socializzazione del suolo. Oggi la rendita é divorata da una classe di paras– siti; e perch'essa sia maggiore, si ha da tener basso il prodotto detta terra. Io propongo ch'essa invece serva alla terra stessa per il fine umano, e che quindi scompaia. Così noi, sopprimendo le male erbe, convergiamo le forze vegetative del suolo alle piante coltivate, alle .quali altl'imenti mancherebbe l'alimento. Fatte grandi e messe buone radici, queste non daranno piU possibilità di vita alle erbe cattive. Nell'al'ticolo citato più sopra, prevenni la possi– bile confusione del mio progetto con quello di George, scrivendo: « L'idea di rimuovere l'ingiu– stizia sociale, che deriva dalla rendita della terra, col togliere la rendita al proprietario per darla atta collettività, non è nuova, ed è stata propugnata da economisti di valore; però si è voluta destinare la rendita naturale per il fabbisogno pubblico in so– stituzione di tutte le odiose tasse esistenti. Io vado oltre: voglio col prodotto della rendita territori•le si fondi una cassa agricola destinata a nazionaliz– zare la terra, con tutti i capitali impiegati in essa, e a toglie1·e ogni impedimento al progresso ~gri– coloeat benessere sociale.La confisca detta rendita di– ventacosi un mezzo temporaneo rivoluzionario, e non, come altri ha proposto (il George p. es.), una per- (1) Mort'> l<-stè improvvisame11te alla l'igìlia della ele1-ione del mayor di Nuova York, dove era candidato.

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