Critica Sociale - Anno VII - n. 23 - 1 dicembre 1897

B1 364 CRITICA SOCIALE NEO-IDEALISMO E QUESTIONE SOCIALE Una novella prova della attrazione che esercita su tutte le menti colte lo studio della questione sociale ce ]a offrono i moderni idealisti, i quali dal riconoscimento universale dei loro concetti affermano do-rersi aspettare la risoluzione del gra– vissimo problema, il più grave che abbia mai affaticato l'umanità. Ma fra di essi varie correnti si manifestano, su due delle quali intendiamo richiamare qui l'atten– zione; su quella cioè che fa capo al neo-cristia– nesimo, e sull'altra che ha per base le teoriche dell'occultismo. I. Parmi che si possa affermare in primo luogo che i mistici moderni non comprendono la genesi e lo sviluppo dei fenomeni umani e sociali, pe1·chè per essi, più che lo svolgimento continuo, logico ed inesorabile dei fatti, esiste l'azione indipendente e capricciosa della volontà umana. - Lusingandosi perciò. che questa volontà sia suscettibile di essere diretta secondo il beneplacito dell'uomo stesso, dettano norme e stabiliscono regole di condotta, nell'intima convinzione che, se la maggioranza degli uomini darà ascolto ai loro consigli, la società sarà senz'altro riformata e migliorata. Essi però non si avvedono che di auree massime, di stupende sentenze, di esempi di virtù, di sublimi trattati etici, sono piene le biblioteche, cui tutte le epoche storiche hanno contribuito a formare, e che, mal– grado ciò, la favola di Sisifo è anche oggi appli– cabile a tanti nobili sforzi. Come è che, invece di ~orgere benevolo l'orecchio, la gran maggioranza segue imperterrita la propria via1 Come è che il problema del lavoro e dei suoi rapporti col capitale si fa ogni giorno pili grave e minaccioso, e si af– faccia con torvo sogghigno alle soglie del vente– simo secolo, mentre le moltitudini cupe passano oltre, volgendo uno sguardo vitreo e indifferente ai gruppi degli entusiasti e degli ispirati, i quali mostrano loro il sacro labaro sul quale sta scritto: « Scendi nel tuo proprio lo, ed emendati :»1 Il motivo si trova nella sproporzione dei mezzi col fine. Il riassunto di tutte le dottrine idealistiche e neo-cristiane, per quel che riguarda la questione vitale della nostra epoca, è contenuto interamente nella formula evangelica che, rivestita di frasi model'ne, è stata proclamata al mondo dal vecchio pon tefìce romano nelle sue encicliche e nelle sue orazioni:« Quod superest date pau.peribus ». Non è qui la soluzione teorica di ogni vertenza? e non è colpa dell'individuo, se non la si mette in pratica? Ebbene: l'una e l'altra proposizione sono pro– fondamente errate. Se, col dare ai poveri quello che avanza ai ricchi, può sparire la miseria, è evidente che la miseria esiste in quanto che avanza troppo ai ricchi. Ora, i poveri si domandé&o: « se il necessario per vivere, preso nella sua totalità, e in rapporto alla intera popolazione, non manca, perché alcuni prelevano e :si appropriano il so– prappiù dei loro bisogui 1 se ciò è per lo scopo di procurarsi la soddisfazione di provvedere a noi, li dispensiamo volentieri da questa pena e preferiamo di attingere direttamente al ~ran magazzino della natura, senza contrarre l'obbligo di una gratitudine che ci pesa; se non è per questo - e ce lo prova il fatto che i pl'oprietari e i capitalisti montano in bestia quando si parla di assicurarci giuri– dicamente il, pane e il lavoro - allora non vi può essere in loro che lo scopo di usufruire per pl'oprio conto delle nostre fatiche vivendo como– damente, e distribuendoci briciola a briciola l'in- o 9 u no 1i1arco dispensabile per la vita, o come pagamento dell'opera nostra, se possiamo prestarla, o come elemosina insufficiente, se ne siamo impediti. Queste condi– zioni non vogliamo più accettarle. » Poco si può rispondere a queste parole. Diranno alcuni che il quadro fatto è per lo meno incom– pleto, poiché non comprende gli individui cui si offre il lavoro e che per infingardia non lo accet– tano o lo abbandonano ben presto; ma a questa obiezione, che potrebbe piuttosto chiamarsi un tentativo di ostruzionismo, si replica che quella è una questione secondaria da trattarsi a parte e che concerne gli individui anomali e non i la– voratori normali; ed oltre a ciò, simile accusa è un'arma a due tagli che si potrebbe ritorcere contro i gaudenti frequentatori dei Circoli eleganti, pei quali la lettura del· romanzo alla moda, il giuoco, il teatl'O e lo sport costituiscono il còmpito quo– tidiano. Ma la impotenza delle teorie dei nuovi idealisti cli fronte alla risoluzione del problema sociale si rivela manifesta quando si ponga mente al formi– dabile errore che domina l'intera dottrina. Si trat• terebbe infatti, col predicare la introspezione e l'auto-educazione morale, di convincere gli abbienti a rinunziare a tanta parte della loro rendita quanta basti a distruggere la miseria. Ma le somme ingenti che si vanno erogando tuttodi in beneficenze nel mondo civile raggiungono ormai cifre favolose, oltrepassando le quali si andrebbe a recidere di troppo la porzione disponibile del profitto, ciò che intralcerebbe le speculazioni dei ricchi, e, ad ogni modo, obbligherebbe questi a discendere dalla loro condizione privilegiata. Ora ci domandiamo come si possa pretendere che gli uomini, per regola gene– rale, agiscano contro il loro interesse immediato e si pongano volontariamente in una situazione svan– taggiosa, fiachè l'attuale situazione apparisca ad essi tuttora sostenibile. D'altronde a nessuno può sfuggire che la carità pubblica e privata. mentre da un lato non è sufficiente per estirpare la mi– seria, dall'altro è troppo spesso demoralizzatrice e favorisce l'ozio e l'infingardaggine. In uno studio sulla menclicita di Londra, pubblicato nella North Anierican Review del gennaio 1896, Lord Norton, dopo avei• descl"itta nei suoi particolari tutta quel– l'immensa rete di istituzioni fìlantropiche che si stende sulla metropoli inglese per il sollievo dei po, 1 eri, dichiara altamente che, ad onta di tutti questi sforzi, non si può pretendere di estirpare la miseria e si può solo sperare che dessa non si propaghi maggiormente. Inoltre ci risulta dalle statistiche che, nella stessa Parigi, dove la carità privata distribuisce annualmente in beneficenze 15 milioni di lire, senza contare altri 50 milioni dei quali dispone l'assistenza pubblica, l'accatto– naggio va sempre crescendo, poichè apparisce a moltissimi una professione lucrosa. Ecco dunque che il sistema preferito dagli idea• listi non solo non raggiunge lo scopo, ma .termina coll'essere una vera scuola d'immoralità. E chiaro che, quanto· più si cerchi di estendere questo me– desimo sistema, tanto più funesti se ne vedrebbero derivare gli effetti a lungo andare, anche se da principio si potesse registrare un qualche apparente vantaggio. Del resto, già in tempi non molto lon– tani, la borghesia trionfante, che faceva professione cli positivismo illuminato e combatteva i pregiudizi dell'al'istocrazia e del clero, proclamava che l'ele– mosina avvilisce e co1·rompe, ed inneggiava alla nobiltà del lavoro; ma Lggi i tempi sono mutati. Nella rapida evoluzione economica che ha trasfor– mato i metodi di produzione, i detentori del capi– tale, fra le inevitabili crisi che si succedono, non sono più in grado di dominare il mercato del lavol'o

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