Critica Sociale - Anno VII - n. 19 - 1 ottobre 1897

CRITICA SOCIALE 301 basta il solo nome per procurare loro ingiustizie e persecuziooi, condanne e deportazione, come una volta, senza che esistesse un editto particolare contro i cristiani, costoro erano nel fatto fuori della legge, e il solo nome era delitto punito sin colla morte; i socialisti, insomma, come altra volta i pl'imi cristiani, sono tenuti responsabili di tutte le pubbliche calamità e sanno di essere il capro espia– torio della malvagità sociale. ~fa è poi vero quel che si dice dei primi cri– stiani da questi taudatores temporis acti? Coloro che ci scaraventano fra le gambe l'esempio dei primi cristiani, e ne fanno qualchecosa di sopraumano, mostrano di ignorare i risultati più sodi della cri• tìca storica; mostrano di non saper nulla della manipolazione dei libri del Nuovo Testamento e di abboccare ciecomente ad alcuni versetti dei Fatti degli Apostoli ('), un libro semistorico, anzi semileggendario, scritto circa un secolo dopo gli avvenimenti cui si riferisce, da qualche settario che non aveva compreso Gesù o, meglio, che la dottrina di Gesù torceva alle proprie teorie. « L'au tore dei Patti - dice Erne3to Renan, cui dobbiamo l'esposizione più geniale della cristianità primitiva - ha forzato un po' i colori e specialmente ha esagerato la comunità dei beni... quantunque il racconto non sia privo di qualche fondamento.» (2) . . . E veramente, nei primi due o quattro anni del cristianesimo - e non più oltre - fra gli apo– stoli ed i neofiti di Gerusalemme non esisteva un comunismo vero e proprio, come generalmente si crede, ma esisteva semplicemente una specie di cenobitismo. Può darsi che alcuni vendessero quel poco o molto che possedevano per portarlo agli Apostoli ; ma ricordiamo che il cristianesimo fu sopratutto un moto di proletari, che poco o nulla avevano da vendere e da mettere in comune, se ne togli la loro miseria. o forse che tutte le reli– gioni, tutti i partiti, tutte le sette, senza eccezione, non hanno avuto i loro generosi oblatori? Quanti patrioti, e repubblicani, e socialisti non hanno sa– grificato ingenti fortune! Quanti filosofi, scierndati, artisti non hanno profuso il loro patrimonio per un ideale! La primiti.va Chiesa di Gerusalemme - cui esclu sivamente si riferisce l'anonimo autore dei Fattt - usava convocarsi tutti i giorni e compire la ce– rimonia di rompere il pane e distribuirlo ai pre– senti assieme ad altre olferte e cloni. Questa ceri– monia però, dopo alcuni anni, non veniva celebrata pili. che una volta la settimana. Di più, a poco a poco, i pasti divenne1·0 simbolici; ogni convenuto mangiava qualche boccone e beveva qualche sorso pro forma; infine anche questo fn soppresso e sostituito dall'eucarestia ( 3 ). Il cenobitismo d'altronde è comune alle origini di tutte lo ,·eligioni e potremmo dire di tutte le scuole filosofiche ed i partiti politici. Una specie di cenobitismo trovate fra i profughi, fra i cospi– ratori, fl'a i gruppi socialisti ed anarchici, perfino fra gruppi di studenti, nei quali spesso qualche ricco fa le spese ai compagni pili. bisognosi. La vita cenobitica sbuccia spontanea colle origini delle umane istituzioni. Da principio son pochi che si compenetrano fortemente di una idea nuova e vi si consacrano; più pochi sono, e più riesce loro naturale l'affiatamento, la vita in comune, lo scambio dei pensieri, delle speranze, e dei conforti di fronte (1) Il, 4!-47; TV, 32-37. (') mstot,·e à!s orJvlnes àu chr/.fttan.tsme, voi. tr, introduzione, pag X-XL; Ctl.J).V, pag i7. . ( 3 ) Hf,NAN, op. cu., ,·ol. Il, cap. V j ml. lii, C;lp. IX, alle delusioni immancabili. La tradizione dei pasti in comune risale alla vita iu comune dei primi gruppi umani, « La religione - dice P. Lafargue - ch'è il reliquario delle antiche usanze, li aveva Cl)nservati come rito C); l'eucarestia, traverso alle cene evangeliche, ci risospinge alla preistoria. Ma l'ingrossarsi dei primi nuclei religiosi, filo– sofici o politici, rende presto impossibile il cenobi– tismo primitivo, basato sulla inerzia generale, sull{t miseria, sullla mendicità. Scrive il Renan: « E chiaro che tali condizioni non potevano applicarsi ad una grande società. Quando paesi interi diven– nero cristiani, la regola delle prime chiese divenne un'utopia e si rifugiò nei monasteri (') .... I tenta– tivi di questo genere danno luogo ad abusi così molesti, che le istituzioni comuniste sono destinate a dissolversi in breve o a disconoscere presto il principio che le ha ispirate » (3). E soggiunge: « Quando l'individualismo moderno avrà portato i suoi ultimi frutti; quando l'umanità rimpicciolita sarà diventata triste ed impotente, ritornerà alle g1·andi istituzioni ed alle forti discipline; quando la nostra meschina società borghe.,e, dico male, il nostro mondo di pigmei sarà stato cacciato a frustate dai partiti eroici e idealisti dell'umanità, allora la vita in comune ripiglierà tutto il suo valore ed una folla di grandi cose, come la scienza, si orga11izze. ranno comunisticamente » (~) . . .. Eppure a quei tempi il comunismo aveva ben minori difricoltà da superare. Noi abbiamo dimen– ticata la tradizione collettivista, ond'é che oggi le masse incoscienti non si levano oltre il concetto della divisione dei beni. Presso gli Ebrei dell'epoca di cui discorriamo, la proprietà semicomunista aveva subìto una evoluzione rapida, che all'antica paternità patriarcale del Codice mosaico aveva so– stituito bruscamente le grandi disuguaglianze so– ciali. La tradizione perciò dell'antico sistema quasi collettivo sopravviveva nella memoria del popolo, onde la vivacità delle lotte sociali fra poveri e ricchi, tanto più essendo questi ultimi quasi tutti pagani e forestieri ('). Il cristianesimo fu il prodotto e l'interprete cli questi sentimenti, reazione contro l'accentramento della ricchezza in poche famiglie, che, cagionando la miseria popolare, questa nell'opinione pubblica faceva una garanzia di onestà, come la ricchezza all'opposto diventava presunzione d'iniquità. Infatti, presso gli ebrei, ricco è sinonimo di empio, vio. lento, ladro, mentre povero è sinonimo di buono, santo, amico di Dio ('). C;sì Gesù prediligeva i po– veri ed inveiva contro i ricchi. Sgomentato proba– bilmente dalla difficoltà di togliere a questi i beni della terra, preferì consigliare la rinuncia e la penitenza, tanto più che la fine del mondo era vi– cina; la ricchezza, non potendo distribuirla a tutti gli uomini, considerò sorgente d'ogni male, tras– portandò di terra in cielo la soluzione del pro– blema, cioè rinunziando a risolverlo. I seguaci di lui, gloriandosi di stare in povertà e vivere di ele– mosine, rinunziavano in fondo a ciò che non pos– sedevano o che, anche possedendo, era nel loro concetto cosa cattiva, che del resto di lì a poco dovevano lasciare. ( 1 ) Ot·i901e ea et:olt,.;lone della p,·oprletd; Palermo t89U, p. tOO. (tJ Op. ctt., voi. 11, cap. Yll, pag. f:!8. (I) Ibià., cap. VIII, png. 147. (4) IlJirJ., cap. YII, 1mg. t3't. {6) Cfr. E. lb:NAl'I, lftstotre du peuplc a'Is,·aifl; c. i.RTO\Jltl'>'.HAU, fevolutton de la pi-oprl<itc; citali da 1<. S. N1TT1 nel Soctaltsmo cattolico, cap. lii. {s) lt R1$NA1", op, cu., voi. 1, cnp. x1, pag. 488-89.

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