Critica Sociale - Anno VII - n. 18 - 16 settembre 1897
CRITICA SOCIALE 281 SUPERSTIZIONISOCIALISTE La concentraziono dei partiti. Non vi ha forse partito senza qualche stigma d'ori; gioe. Un partito, all'atto di nascere, disviluppand~s1 da11'indistinto dei partiti esistenti, in diretto della fiS10· nomia piena e vibrante che viene dalla vita vissuta, è costretto, per contrapporsi a quelli, ad assumern~ una artificiosamente schematica, a esagerare gh spi((Oli,a fal'Si insomma da sè la caricatura. _Ciò è insieme una necessità della propaganda m1z1ale: questa non può farsi cho per aforismi secchi e dogmatici, come Je risposte che si danno ai bam– bini, incapaci a comprenderne di pili complesse e più vere. Questi errori necessarii, perdurando oltre ìl tempo della loro necessità, diventano le « super– stizioni dei partiti ». Quando ripetiamo l'imparati ccio, imprestato di Germania, che «. la religione ò a03.re privato::., noi, elevando ad aportegma un con cetto d ettato eia op– portunità transitorie di propaganda, cadiamo in pec– cato di superstizione. Una « frase » congenere è quella che troviamo ogni altro giorno nei nostri giornali di propaganda: la fatale « concentrazione dei partiti borghesi », anzi di tutti i partiti non socialisti: riscontro politico al luogo comune econo• mico della fatale« concentrazione delle proprietà•· Entrambe queste frasi designano una tendenza in– contestabile, che qua e là anche trapela in elfetti, ma traversata ancora da troppe e troppo tenaci correnti avverse, perché possa rispondere all'odierno reale. Ora, un partito, che si agita e vive nell'oggi, non dovrebbe pascersi di anacronismi. Certo é utile antivedere, fin dove si possa, ciò che i partiti ten– dono ad essere in un rimoto avvenire; ma, nonché utile, e necessario ben apprezzare quel che intanto essi sono, e quel che potranno diventare domani, per giovarsi di essi, e per combatterli in concreto e non nel loro fantasma. Ogni altra politica è la politica dello struzzo leggendario (lo struzzo natu– rale è assai più accorto) che nasconde il capo ne11'ala. Noi nascemmo, in Italia - partito ed uomini - dalle viscere del partito democratico e dalla insur– ficienza sua di fronte ai nuovi problemi. Quindi le fiere ed acri lotte dei primi tempi con la demo– crazia paesana, alla quale chiedevamo ciò che dar non poteva, cioè il socialismo, e della quale disco– noscevamo ciò che era nella sua natura di dare. Cosìsi riesci va a negarne anche l'esistenza.a negare, cioè, l'esistenza - noi, i teorizzatori delle lotte di classi! - di quella classe media e piccolo-borghese, ond'essa è il l'iflesso politico, e che è tuttora, in Italia, la maggioranza. numerica di quanti hanno una qualsiasi coscienza politica; e, accomunandola cogli altri partiti, la si ricacciava, in effetto, verso di essi. In un paese, ove impera la Vandea e ove il so– cialismo è, nel più dei luoghi, frutto prematuro e d'importazione, l'interesse nostro (se il materialismo economico non è una fola) era di seguire la via che ci è additata dal Manifesto dei Comunisti: raffor– zare e stimolare quegli elementi politici che, mentre hanno base reale negli interessi del momento,~pos– sono aprirci e spianarci il cammino, pur non dimen– ticando mai di farne la critica. Ma questa via, per essere battuta, supponeva nel partito una compren– sione esatta dell'ambiente politico, che gli mancava ancora, e negli uomini che lo guidano un'abnega– zione fuori del reale. Infatti è assai più facile ca– peggiare e conquistare dei seggi con degli aforismi recisi, che non preparare al socialismo l'ambiente con un assiduo lavoro di educazione delle masse, che è lavoro, sovente, di retroscena. Ne venne quell'intransigenza alfatlo formale, e più specialmente elettorale, le dispute intorno alla quale non valevano rorse (cosi pensa il nostro Travet) il fiato che vi si è speso: e alla quale si alleava meravigliosamente la più incon~cia e su– pina transigenza nella sostanza. Qua e là si otten– nero vere valanghe di voti, che ci sbalordirono: poi, stropicciandoci gli occhi, si scoverse che si erano ottenute sventolando il programma minimo (pro– gramma, in sostanza, democratico) e custodendo gelosamente nel sacrario l'altro programma, che è il nostro ed il vero; allora si mise magari sotto inchiesta il troppo relice candidato. In qualche luogo il trionro dei socialisti, altrimenti inesplicabile, si è dovuto al fatto che, mancando ivi qualsiasi traccia di proletariato, il sociali.smosi riduceva a una scuola filosofica, che non poteva intimorire nessuno: il socialismo vinceva in ragione della propria im– potenza. \ ratti, più forti delle formule, si vendicavano così, con aspra ironia, di un partito nel quale co– loro, che si rifiutavano a seguire cotesta sorta di < marxismo a rovescio», finivano per trovarsi nella condizione di tollerati. La stessa ironia permetteva che taluni di questi tollerati venissero mandati e sostenuti alla direzione intellettuale del partito. Da questo viluppo di errori e di contraddizioni noi pensiamo che il partito uscirà soltanto me• diante un rinvigorimento, che tutto ormai con– siglia, della sua azione economica, che lo renda carne della carne del proletariato. li « decentra– -mento » stesso, che for3e non si riescil'à. ad appli– care per decreto, ne sarà a sua volta la resultante inevitabile. . . . Intanto la giustificazione teorica della tattica che, con meravigliosa transigenza col senso reale delle parole, si è convenuti di chiamare intransigente, si trovava essenzialmente in cotesta ipotesi della concentrazione o della equivalenza dei partiti bor– ghesi. Or, cotesta illusione bambinesca (notiamolo per consolarci) non fu propria soltanto di noi italiani. Anche nella dotta Germania, la patria del socia– lismo scientifico, se n'è disputato a lungo e se ne disputa ancora. La definizione di « unica massa reazionaria », appioppata a tutti gli altri partiti, ebbe persino l'onore di entrare nel programma di Gotha (187~)- È noto quanto Marx ne rosse irritato e come accusasse il Lassalle (cui quella frase si attribuiva) di avere intenzionalmente t~•avisato un periodo del Manifesto Comunista per giustificare la propria alleanza cogli avversarii assolutisti e feu - dali contro la borghesia ('). (1) li periodo del Manifesto è il seguente: • Di tutte le cl:usi « che ouot slam10 di fronte alla borohe111a, il proletariato sol· « tanto è una claue tieramente t·h,olu:to11ar1a. Le altre classi si « esauriscono e soccombono coll:'l.grande Industria: Il proleta• « riato è il loro l)rodotto più gMulno. ,. « La borghesia - commenta li Marx- è qui intesa come rap– presentante della grande industria, in contrapposto agli stati feudali e medt, che vogliono difendere tulle le posizioni sociali rlspecchi&nti forme di Jlroduzione antiquate. Eilile a.dunque non formano una sola massa reazionaria tn..rteme alla trorolluta. « D'altro cnnto Il proletariato è rirnlut.lonario di fronte alla borghesia, perchè, sorto esso sluso dal terreno della grande in• dustrla, tende :'I. cancellare nella prllduzione !I caratlere capita· lisllco, che la borghesia vorrebbe 1"endern perpetuo. Ma Il Ata– nlfe,ro soggiunge che« i ceti medt.. .. divengono rivolut.ionar! in p1"e\·isionedel pauagglo nel proletariato, che loro incombe. ,. Anche da questo punto di vista è dunque un non 15ensoch'essi 1"appresentino « una sola massa reazionaria• colla borghesia e col feudali, di fronte alla classe operala. Nelle ultime elezioni non si fece forse ::q)pello ad artigiani, contadini possidenti e pie· coli lndustri.\li ... 1 ,. (Zur Kt·Wll d~r .10:laldemohratUcllen Par– telprcoramm,: ln Nl!.UJ!; ZB1T, 1891, n. t8, pag. 568-69).
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