Critica Sociale - Anno VII - n. 18 - 16 settembre 1897
CRITICA SOCIALE 285 ? i.fa.rx ,dunque, l'equivalenza dei duo profitti, invece di scaturire dal semplice fatto aritmetico che la quantità. dei prodotti di cui si compongono è rimasta inalterata, deriva artificialmente da un'elevazione indiretta del valore. Le conseguenze di questo diverso processo sono addi– rittura enormi. Supponiamo, ad esempio, che il nostro A potesse pro– durre in IO ore quello che prima in 12, senza dover aumentare per questo l'intensità del suo lavoro. In tal caso le 5 ore di sopralavoro non potrebbero più equiva– lere alle 6 di prima. Hprofitto del capitalista resterebbe quindi diminuito, per la teoria che combattiamo, di un'ora di lavoro. Secondo i nostri criteri invece, siccome le 5 ore di sopralavoro darebbero, comunque, lo stesso prodotto che prima le 6, il profitto, il quale consiste appunto non in una. quantità. di lavoro, ma di prodotti, resterebbe inalterato. Il caso da.noi contemplato è, certo, nelle sue premesse, assurdo. I nostri avversari potreb– bero per ciò pararne i colpi, ricorrendo alla difesa ne– gativa di non discuterlo Ma c'è un'altra ipotesi che presenta la stessa efficacia probatoria, pur corrispondendo alla più rigida realtà economica. Supponiamo che l'aumento della produttività del lavoro derivi, anzichè da una maggiore abilità per– sonale dell'operaio, da agenti esterni, quali l'applicar.ione di macchine, o l'elevamento della fertilità della terra. In questo caso, evidentemente, le 5 ore del nuovo so– pralavoro non vedono crescere di nulla la loro inten– sità. Perciò, mentre, secondo i nostri criteri, il profitto, restando formato delle solite 6 misure di grano, si mantiene eguale; secondo i criteri del Marx il profitto, venendo a consistere in un sopra.lavoro di 5 ore, il cui valore non ha subito alcun aumento, diminuisce, .da quando era di 6 ore, di un'ora di lavoro. La con– ferma più evidente di questo colossale errore del Marx è data dal fa.tto che il grande economista, trascinato dalla logica inesorabile delle sue premesse, considera lutti i mezzi esterni di aumento della produttività (cooperazione, macchine, ecc.), come altrettanti mezzi di accrescere il profitto mediante l'unica arma della riduzione del lavoro necessario e del conseguente au– mento del sopra.lavoro. Evidentemente, se le alterazioni .dirette del sovraprodotto non gli fossero state nascoste dalla impassibilità. del sopralavoro, il Marx avrebbe riconosciuto che quei mezzi aumentano il profitto anche per un'altra causa: perchè permettono allo stesso sopra.– lavoro di prima di creare una quantità maggiore di prodotti. Abbiamo cercato di dimostrare finora che la teoria marxista del profitto resterebbe erronea anche se va– lesse a conciliare, con sè medesima, la. possibilità. d'una riduzione della giornata. Ma è facile provare come, malgrado l'acuta difesa del nostro Turati, essa non raggiunga neppure questo scopo. La misura di qualsiasi tempo di lavoro è la risultante di due fattori: l'intensità. e la durata. Esistendo tuttavia, per ogni stadio dell'evoluiione economica, un'intensità (o produttività) media del lavoro, il vero criterio at– tivo resta quello della durata. (I) Ciò posto, se le 5 ore del nuovo sopralavoro di A fossero dotate cli un'inten– sità speciale, allora certo esse potrebbero subire un elevamento SJJecia!edel loro valore; potrebbero equi- ( 1 ) Vedi su ciò, plù estesamente, il Marx stesso a pag. 337-338 dell'edizione italiana (Biblioteca Economista, serie 3.•, voi. IX). b owca u u 01;::ircu valere a 6 ore di un sopra.lavoro pitì poroso. Questo appunto è il caso contemplato dal nostro Turati. Lo prova., in particolar modo, quel suo confronto tra l'ope– raio « lentissimo » e l'operaio « solerte », che stona così maledettamente col lavoro socialmente utile del Mar:x. Ma, nel fatto, la riduzione della giornata. di lavoro è stata sempre applicata, contemporaneamente, alla mag. gior parte degli operai della grande industria; cioò a dire a centinaia di migliaia di operai. Essa, inoltre, una volta introdotta., tende a stabilire una maggiore pro– duttività permanente del lavoro complessivo, e, perciò, anche una maggior produttività del sopra.lavoro medio. Sotto l'azione combinata di questi due fattori, l'intensità del nuovo sopra.lavoro tende a divenire il patrimonio acquisito delle nuove generazioni. Il giorno in cui ciò sia avvenuto completamente, la nuova intensitù. mag– giore, essendosi già trasrormata nella nuova produtti– vità media, viene a costituire, alla sua volta., la pre– messa implicita di quella misurazione del lavoro, di cui, come vedemmo, l'unico metro effettivo re.sta la durata. Accadrà. allora che, variando i nuovi sopra.lavori nel– l'unica ragione della loro lunghezzll., le 5 ore dei nuovi sopra.lavori non varranno più che per 5 ore. I capita– listi perciò, i cui operai non compiano se non un sopra.– lavoro di 5 ore, non disporranno più che di un profitto di 5 ore. Scomparirà. in tal modo quella eguaglianza artificiale fra sopralavori di diversa lunghezza, che sarebbe stata mantenuta da intensità speciali. Se così non fosse, siccome l'intensità media del lavoro tende, col progresso della civiltà, ad aumentare, i pro– dotti d'oggi, essendo il risultato d'un lavoro più denso, dovrebbero costare di più. Nel nostro articolo del 15 agosto avemmo appunto l'ingenuità. di credere che si fosse potuto comprendere senz'altro come uno studioso di economia politica, un individuo, cioè, abituato da lunga mano a considerare i fenomeni sociali nella loro media., dovesse riferirsi non ad una diminuzione della giornata, sporadica e spe– ciale, ma ad una diminuzione della giornata, divenuta lavoro sociale medio; ad una lunghezza di lavoro, in– somma, che fosse l'unica misura di un'intensità media sottintesa . Un'altra dimostrazione noi potremmo anche esperire se lo spazio e la natura della Rivista ce lo consentis– sero. È evidente che una diminuzione della giornata a salario invariato equivale ad un aumento del salario a giornata costante. Tant'è lavorare di meno collo stesso salario, che lavorare lo stesso tempo con un salario proporzionalmente maggiore. Come va ora che un au– mento del salario non si trova mai considerato in tutto il primo YO!umedel Capitale, e che da tutte lo premesse marxiste semb1'a anzi sca.tm •ire la necessità. d'una con– tinua discesa dei salarì i La verità ò che, malgrado tutti gli abili giuochetti della « maggiore intensità», una riduzione della giornata ripugna profondamente alla rappresentazione del profitto nel sopra.lavoro. Con queste sommarie osservazioni non ci illudiamo certo di aver definito un ~roblema così grave. Se.bbene errata, la rappresentazione del profitto nel sopra.lavoro soddisfa a troppe esigenze intellettuali, percbè la si possa scalzare con un articolo da Rivista. Ci terremmo assai paghi, per ora, se queste fugaci note valessero a suscitare qualche llubbio fecondo presso i marxisti ... meno marxisti. ANTONIO GH,AZIADEI,
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