Critica Sociale - Anno VII - n. 9 -1 maggio 1897
CRITICA SOCIALE 137 un interesse indiretto a lasciar cadere, secondo gli interessi di questa, l'antico patriottismo: e per tale ri~uardo, insieme con questa, sentirà indirettamente gli effetti di tate caduta Ma la monarchia, in quanto poi. non essendo in sà stessa borghese, non aveva un'esigenza sua propria che la co~tringesse ad ab– bandonare l'antico patriottismo, dovrà, e non per vendetta di storia ma per conseguenza di cose, sen– tire maggiormente i danni di quell'abbandono. E ciò per opera della borghesia stessa: la quale, come per le sue esigenze ha abbandonato l'antico scrupolo patriottico, così abbandonerà anche quello monar– chico ed unitario, dal primo dipendente; e sentirà o seconder;\ il bisogno di costituir5i in una forma politica, quale la repubblicano-federale, in cui possa me$'\io attuare, conforme al nuovo patriottismo. i suoi interessi economici, diversi secondo le diverse regioni in cui storicamente ed etnograflcamente si divide l'Italia. Ma d'altronde la monarchia, sempre in quanto non è borghese, congiu1•erà.anch'essa ai danni che alla borghesia dovran,uo derivare in conseguenza di di quanto ho detto. Il facile infatti comprendere l'atroce dolore del re nel firmare la pace col Negus, e la reazione di odio sdegnoso contro chi l'ha co– stretto a firmarla, e l'accresciuto desiderio di af– francarsi dal giogo che la borghesia aggrava ognor più sulla sua corona. Un re mite ha potuto pensar di abdicare; un re più risoluto potrà meditare un colpo di Stato. . . . Dove sa1•anno sentiti i primi effetti della nuova condotta patriottica è nell"esercito. La funzione naturale dell'esercito è la guerra; e specialmente, per la ragione d'utilità sociale di questa, la guerra di conquista, e, per la ragione di utilità particolare di quello, la guerra d"av\•entura. L"esercito nostro, il quale in realtà nulla avea con– quistato in quell'avventura rivoluzionaria e diplo– matica che fu il nostro risorgimento, quando si per• suase che nulla avea pur di poi a conquistare. cominciò a perder vigore ed a volge1·eal basso. Così la milizia divenne mestiere dell'armi; i nostri sot• tufTlciali furon giO\'ani discoli, riottosi ad ogni la– voro, mandati per disperazione dalle famiglie al reggimento; i nostri unlciali, ragazzi svogliati o tardi negli studì, messi dai pad1·i nei collegi mili– tari per godere del posto gratuito o semigratuito. Costoro, non potendo altrimenti, ese1·citarouo il loro spirito di conquista nelle avventure galanti. Ma le donne d'Italia, che per reazione erano dapprima passate con trasporto dagli amori dei preti a quelli dei militari, già cominciavano a stuccarsi di questi: le cui avventure si ridussero allora alla conquista delle donne turpi che non si sposano; o delle in– genue che si sposano solo in chiesa, per abbando– narle al prossimo cambio di guarnigione; o delle provinciali, che una volta sposate per la dote mi– litare, si lasciano a casa per timor del ridicolo. I migliori, consci di tale abbassamento dell'eser– cito, accusavano il re di non saperne mantenere abbastaoza alto lo spirito, per timore di suscitare le diffidenze della borghesia, e questa di rendere impopolare l'esercito, segnalandolo come causa prima del disagio economico della nazione. Nè essi, da parte loro, avevano torto, specialmente nella prima accusa: chè un re capo delle milizie, ma tutto de· dito ad opere di pace e vestito sempre in soprabito e tuba, non deve sembrare all'esercito spettacolo meno curioso di uno scrivano armato da ufficiale contabile o di un bandista di pae!:ie camuffato da generale. Infatti la monarchia, per la sua origine e ragione storica, deve avere carattere essenzialmente militare; e tale carattere appunto conserva negli teca Gino B1arco altri Stati monarchici d'Europa: ché, dove pili non possa conservarlo, segno è che là pili non deve sus– siste1•e. A solleva1·e un poco lo spirito militare in Italia giunse in buon punto e forse ad arte la spedizione africana, la quale pal've far riacquistare all'esercito la fiducia di sè e la simpatia della popolazione. Questa simpatia per altro e questa fiducia, contri• buendo a dare indirizzo essenzialmente guerresco a quell'impresa, ne aggrava1•ono il danno. Ma l'eser* cito in Africa non fece buona prova. Non parlo del coraggio dei singoli : si sa che il popolo italiano. come tutti i popoli meridionali, é impetuosamente coraggioso; e si sa anche che è il pii, sanguinario. Ma, come il perfezionarsi delle macchine ha reso quasi superflua l'abilità nel lavoro industriale, così il perfezionarsi delle armi ha reso quasi inutile il coraggio nella guerra. Sicchè un generale non deve mai contal'e sul coraggio dei propri soldati o cimentarlo, nè scusarsi con la loro viltà. Del resto, o alla vilta dei soldati come accusò dapprima il generale, o all'inettitudine di questo come quelli accusarono, o alla cattiva preparazione dell'impresa sia im_putabile la sconfitta di A.dua, certo è che l'istituzione militare si mostrò impari al c6mpito suo, che è di disporre ed ottener la vittoria. Quella sconfitta, subita nel primo vero cimento, non potè che riabbattere la fiducia dell'esercito. E più an– cora l'abbatté la conclusione della pace obliosa; e più l'abbatterà l'affermarsi della nuova idea pa– triottica . Ma, oltre che sfiducia di sè stesso, e anzi come reazione a tale sfiducia, sentirà l'esercito quella della monarchia e delle istituzioni presenti. Penseranno infatti le milizie: « che cosa rappresentiamo noi nella società moderoa di fronte al 1·eed alla bor– ghesia? Non dobbiamo dunque servire pili ad altro che a po1·gere occasione al re d'indossare di tanto in tanto la divisa di generale per passarci in ras• segna nei pubblici festeggiamenti; o a strombettar per le piazze tra il gridio dei fanciulli e l'amoreggiar delle serve i o a fucilar gli affamati in Sicilia; od a fal'ci stranamente applaudire dalle folle in tumulto, quando, sotto la sapiente strategia poliziesca, an– diamo per sbandarle e ne siamo accerchiate? )lo Così,mentre la borghesia rinfaccerà all'esercito la sconfitta e gl'inutili dispendì, l'animo di questo di– serterà sempre pili la causa borghese. . .. Ma peggior danno sol'tirà. la borghesia dal suo stesso seno. Sotto il termine generico di borghesia viene comunemente compresa una classe di povera gente, che in realtà è vero proletariato: piccoli pro– prietari di camp,gna, che dovrebbero piuttosto chia– mar.si contadini; piccoli bottegai, professionisti, im– piegati ed artisti di città, che meglio si dovrebbero dire artigiani ed operai. 'l'utti costoro ihfatti, che ven~ono dalla vera borghesia compassionati, e spre– giati dalla plebe col nomignolo di piccoli borghesi, non hanno alcuno dei requisiti per potersi chiamare, in nessun modo, tali. Ma l'improprietà del linguaggio è giustificata dall'improprietà delle cose. Poiché tutti questi pic– coli borghesi, i quali non hanno nessun interesse comune con la borghesia e ne sono anzi le vittime prime e più dolorose, le hanno invece prestato il più valido concorso, lasciandosi pili docilmente sfrut– tare, difendendola con le parole e coi voti. Ora la sola ragione che li accomunasse alla borghesia e li tenesse lontani dal loro vero partito, quello dei miseri, era il patriottismo: perché essi vedevano nel regime borghese la garanzia della patria, nel movimento sociale la minaccia. Appartenevan costoro a quella generazione di nati nel periodo del nostro risorgi-
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