Critica Sociale - Anno VI - n. 21 - 1 novembre 1896

B CRITICA SOCIALE proverbio; e so abbiamo errato, correggeranno; e meglio uu innocente in galem che un lH'iganto pel mondo. E non pensano cho così un uomo onesto potranno rip1•enderlo brigante; che qualcheduno, trovandosi ad aye1·e nel suo conto co1Tente con la società un credilo di galera, potrebbe, ~r errore, credersi in di1·itto di pareggiare un po le partito. E non pensano che cosa r:.ll'à quost'uomo una volta 1·itornato nel mondo 1 rovinato negli a\•eri e nella salute; come vivrà; come mangor:\: poichè, so l'ergastolo ha fatto cadc1·e i denti a Canzoneri, forse non ò gran male, pe1·chò difncilmente avr~\ molto pane da masticare. Infatti chi provvGde1·à a costui, o ad altri in simile caso, nell'assenza o nella insufficien1.a, dei responsabili secondo la legge cirile! Non la com– passione privata: essa dura iu favore dell'innocente quanto il furo1•0 contro il reo: forse meno, perchò più scomoda a manifestarsi. Non l'assistenza pub– blica: tutti i trattatisti di diritto amministrativo affermano concordi che lo Stato non incorre in responsabilità indiretta per J"opera dei magistrati. llppure lo lato li sceglie, ed anche io questo caso dovrebbe valere il principio di dil'itto che la cattiva scelta costituisce una colpa. Eppure lo Stato, in li'rancia, ha risarcito vari milioni di danni per la rottura di una diga costruita da iniegneri gover– nativi; ed in Italia sono stati pagati milioni ai, pili o meno, danneggiali politici. Eppm·e l'amministra– zione delle carceri avrebbe tl'ovato i denari per mantenel'e tutta la vita all'ergastolo il Cauzonel'i; eppure lo Slato, già che danneggia il lavoro degli onesti con la concorrenza di quello dei rei, anziché erogare in malo modo i frutti di questo, poti·ebbe destinarli a risa1·cire i danni cho i nocivi l'ecnno alla società, e sopra tutti quelli che la società reca agli innocenti. . . . Con tutto ciò il Canzoneri,sin adesso,non si lagna ~ella « Signora Oiustl:ia •· La Signora Oi«sU:.ia! Io non credo che sia ~tata mai fatta personificazione della giustitia pili alta di questa che può semb1·a1-o ridicola. Del resto quella frase contiene ben pili che una bella figura 1·etorica: essa racchiude una grande verità, che è un 8'rnve ammaestramento: il p1'0fondo rispetto che 11popolo ha per la legge. Sarebbe ora ll'Oppo lungo dirne le ragioni: se cioè questo fatto derivi dall'antica abitudine al servarrgio; o dalla no,•a CO· scienza che la le!ìge, quale alì·e,·mazione del diritto, ò norma di utilità, anzi di necessit;\, sociale; o datruna ragione e dall'altra insieme, concorrendo la prima a dete,·minare il rispetto per quelle leggi che di leggi non hanno se non la ro1·ma esteriore. Ma certo è che tale rispetto, più che il genda1•mc, modera e contiene le folle. E ciò anche in periodo di rivoluzione: anzi allora rorso pili che mai. Nota il 'J'hiers che bastò annunciare ai ca1rnonieri di Henriot che Robespierre era stato messo ruo1·idella legge, perchè volgessero i pezzi già puntati cout,·o la Convenzione impotente. Quella osservazione dovrebbe persuadere alcuni quanto sia assurdo e inemcace tentare di commuo– vere il popolo a migliorare le proprie sorti, incul– candogli il disprezzo della legge. Ciò potrà pol'lare ad una rivoluzione anche vittoriosa: ma sarà affret– tata ed eccessi \'a; o però. darà Iuogo necessal'ia– mente ad una reazione. E al contrario necessal'io operare nell'àmbito della legge, questo allar~aodo sin dove è possibile: certo non potrà mai disten– dersi ad alcune ultime conseguenze, per quanto logiche e necessarie: e dare la spinta a quest'ultimo salto dev'essere appunto l'opera della ri\'oluzioue. Cosi il dente, destinato per legge di natura a cadere o 1·innova1'Si,si disal\rea spontaneo dall'osso; ml. per sfrapparlo dJllla gengirn. occor1·e la leggera violenza della mano; nè ,•i ò bisogno del fe1·ro. Cosi operando, so non altro si avrà nel frattempo il ,•antaggio immediato di migliorare la legge. Poichè, se ò vero che fatta la legge, anche buona, ò tr-ov :i.to l'inganno, deve essere anche vero che con un pro cesso analogo, ma pii', largo, possa YOl- gersi al bene una legge cattiva. Ed a quesL'opera tutti de\'ono concol'rere; e diviene malvagio chi pe1· egoistico scrupolo dottrinario si mantier.e sde– gnoso in disparte. Disse molto prorondamento il Ouicciardini 1n uno do' suoi IHcordi politici:« Credo sia ufficio di buoni cittadini, quando la patria ,•icno in mano di tiranni, cercare d'a,·er luogo con lol'o per poter po1'Suadoro il bene e detestare il malo; e certo ò intel'esse della città che in qualunque tempo gli uomini dabbene abbiano autorità.» Ma se gli uo_mini sanno anche tollerare una leggo catth 1 a, diOlcilmente sopportano ch'essa ,•enga peggio apJl)icata. Intendo parlare - di fronte alla giustizia che può chiamarsi attributi,•a e distribu• tiva, la quale è opera delle leggi metlere in allo - di quella che chiamerò dichiarativa, 1a quale con– siste nel mettere in alto lo leggi esistenti; cioò, come improp1·iamenle suol dirsi, dell'amminisfra– :dono della giustizia. E di questa, se non il Canzo– neri, noi corto abbiamo a lagnarci. Nè noi soli o primi; ma quelli che a capo di essa rurono o sono. Disse un passato guardasigilli - frase ormai ce– lebre - cito la giustizia in Italia ò un punto into1·- 1·ogativo; cd il presente ebbe a dire ben graxi pa1-olo contro di essa nella relazione di una illogica 111chiestasulla mn$istratura: illogica, dico, di fronto ai prìncipì relativi od a base di nnzioni giuriclicho che regolano la divisione e la coesistenza dei po· teri negli assm·di regimi parlamentari presenti. NO si dica che quelle parole furono pronunziate o scritte contro gli uomini e non contro l'istituzione: poichè la transustanziazione della coscienza degli uomini in quella delle cose non ò almeno quanta si arrerma; ed un istituto non ò in effetto di"erso da quello che si manifesta nella sua applicazione pratica da parte degli uomini nel maggior nume,·o dei casi. E di questi non cito i ,·emoti, che pur dorrcb· bero sempre esser tenuti presenti, macho la nesti-a vergognosa dimenticanza allontana ancora di pii,; il processo della Banca romana, quelli conh·o Cri~pi cd altri. Ricorderò solo un caso recentissimo: il processo s,roltosi il moso scorso davanti il tribunale di H.om1 por il ful'to di una collana di po1·le ad una corta contessa del luogo. Questo processo, con facile asso– ciazione d'idee, mi ricorda un altro famoso, dello della Collana della Regina, svoltosi in Francia poco prima della rivoluzione, la quale, dicosi, abbia quel processo in qualche modo affrettato, s,•clando di cito fango grondasse la regalità o il suo regimo. Nt\ il presente p1·ocesso - con quel rimpicciolimento proprio di tutto le nostre manirostazioni, che mcnlro toglie prestigio al bene non alleo ua gli effetti ciel male - appare in sostanza meno grave delrantico. Una contessa di antica data ò amica di un giovi– nastro. figlio di 011 certo presidente del Consiglio; il quale figlio o la quale amica - socio l'uno di semplice industria, l'altra di poco capitalo - gio• cano insieme alla Borsa; alla quale contessa \'iouo rubata quella tale collana di perle, del cui fu,·to ella, sospettata di simulazione, nccusa a propria discolpa il suddotlo gio,•inastro, ed a proprio 1·isa1·ci– mento cerca, con la minaccia di uno scandalo, di approfittare del timore di quel padre onoipo,seuto per esser nominata dama di Corto o per fare acqui– stare allo Stato certi antichi sarcofagi etruschi, ai

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