Critica Sociale - Anno VI - n. 21 - 1 novembre 1896

326 CRITICA SOCIALE prolungare il più possibile il presente, niente altro che questo presente cosl pingue di prede: man mano che la nave fa acqua, essa tappa i buchi che scorge, senza preoccuparsi di altro. Hanno un bel litigare i giornali socialisti e repubblicani: questa botta è mia, questa è tua, era. intesa a me piuttosto che a te. In verità le botte scendon giù fitte come la gragnuola contro tutto quello che aspiri a disperdere questa. gazzarra di ra– pine. La persecuzione governativa, massime nelle piccolo città dove ò più idiota e più maneggiala dalle consor– terie, a misura. che dilaga, svela sè stessa; si sente ormai che noi siamo perseguitati non tanto perchè so• eia.listi, quanto perchè necessariamente affrettiamo il dissolversi di questa speciale fase storica italiana, e che tutti quelli i quali, pur con diverse idealità dalle nostre, compiono il medesimo ufficio, sono dall'onda reazionaria travolti e confusi con noi. 1'~ la. reazione di questa immonda. Italia. di oggi contro quella di do– mani. Credere che essa rappresenti in maggior part-e la difesa della. classe borghese dagli a.ssa.lli nostri - difesa. disperata che sarà la doglia del parto dell'età nuova - è credere che la storia della nuova Italia abbia già oltrepassato il suo meriggio. Purtroppo sono le speranze della nostra impazi~nza. IVANOE 8ONOllt. LA "SIGNORA GIUSTIZIA,, Un importante processo si è svolto in questi giorni davanti la Corte d'assise di Palermo. Tredici anni or sono un contadino di Prizzi, Giorgio Can– zoneri, venne condannato all'ergastolo per omicidio in persona di una donna del paese, moglie ad un tal Giuseppe Collura. Nell'attuale processo il Col!ura è imputato e convinto di uxoricidio, nonchè di ca– lunnia per avere allora indicato alla giustizia il Canzoneri quale autore di quel reato, e di falsa testimonianza coloro che contro il Canzoneri depo– sero. Questi ora, a sua volta, è comparso testimone nel nuovo processo. Al suo apparire nell'aula, an– nunciato nel tragico silenzio dell'attesa dal rumore grave dei ferri, plaudiron le mani della folla, altra volta minacciose contro di lui; nè il presidente, levatosi in piedi in segno di reverenza, contenne il clamore trionrale. L'innocente sorrideva, in gil'o. Poi sedette, all'invito; ed a voce bassa (aveva per– duta nel carcere quasi tutta la dentatura) cominciò serenamente a narrare. Nè imprecò all'errore fatale di chi l'avea condannato; ma concluse: « del resto io non mi lagno della Signo,·a Giustizia •· Prase più nobile e bella non pronunziò mai sa– piente condotto a un supplizio di gloria. Capile: non si lagna de11agiustizia egli, dalla cieca giu– stizia rapito giovine e forte alla sua famiglia, ai suoi campi, al suo sole; ai quali la giustizia ripa– mti·ice non saprà fare altro che restituirlo ora vecchio, esausto, come il frantoio rende l'arida sansa dell'uliva spremuta. Ed ora riflettiamo: è umana cosa l'errare, e quindi scusabile; ma tanto meno quanto più gravi possono essere le conseguenze dell'errore. Ora, quando si tratta di decidere della vila di un uomo, gli altri uomini chiamati a giudicarne devono essere ben altrimenti guardinghi che non quando si abbia a ri ,·edere una bozza di stampa. Al contrario non son pochi i giudici i quali mettan più cura in far questo che quello; specialmente se, vizio comune e tradizionale negli uomini di to~a, si dilettino qual– che poco di prose o di versi. E sarà forse per B1b1oteca Gino B1arco questa naturale inclinazione di casta all'arte dello scrivere - ma più ancora perchè d'ordinario corti d"intuizione e tardi di percezione - che la maggior parte dei magistrati giudicanti attendon pili a me– ditare, chiusi nei loro uOlci, sugli sgorbi degli scartafacci istruttori (compilati in momenti diversi da persone premute da diverso cure, e spesso da persone altre e con altri indirizzi), che a seguire con occhi ed orecchi ed animo intenti lo svolgersi del dibattito nell'aula, dove, quasi nella catastrofe d'un dramma, vengono in contrasto e, per così dire, in compendio uomini•vivi, i quali parlano come sentono o come pensano, con remcacia dei loro gesti, dei loro spropositi, delle loro bestemmie, e non come vuole nei suoi scrupoli s-rammaticali o morali un povero diavolo di cancelliere o di scri– vano. E così avviene che i giudici, una volta im– bottila ben bene la testa con gli atti del processo scritto, se ne vanno al dibattimento in pace con la loro coscienza, convinti di essersi formati della causa un giusto concetto, mentre molte volte non han fatto altro che serrare il cervello in un peri– coloso preconcetto. Anzi il più delle volte essi vanno al giudizio con la sentenza già preparata, e talora ancbe scritta; e forse la pigrizia a doverla stendei· di nuovo agisce inconsciamente su di essi come motivo determinante a non mutare com,incimento. in tale fatto, contrario allo spirilo della nosll·a legislazione penale e, ciò che è più grave, al buon senso, bisogna riconoscere la ca~ione prima del maggior numero degli errori gtudiziari. Poiché com'è possibile, per esempio, che nel petto di un giudice catafratto d'incartamenti processuali possa scendere la protesta disperata di un innocente, sopra il quale malvagità di uomini o di casi ab– biano addensate le prove più gravi, o riesca a de– star,•i un senso di dubbio salutare t Il presidente sorride ironico al pubblico ministero, che sogghigna e rivolge una barzelletta ai giurati - se ve ne sono - i quali comunicano l'ilarità loro alla folla, accorsa come a spettacolo che vuol esser variato: e cosi fra il tripudio universale si manda qualche volta un innocente all'ergastolo. Poiché non è detto che la presenza de' magistrali popolari - i quali pure vengono al dibattimento senza tanti 1n·eparativi a base di carta, penna e calamaio e dovrebbero pol'larvi dalle IOl'Ocase o dalle loro botteghe un po' di quell'acco,·gimento pratico che mettono nei propri affari (ciò che co– stituisce la ragion d'essere della giuria nei giudizi per reati comuni) - basti ad e, 1 itare il danno dei convincimenti grafici della magistratura togata. I giurati infatti, chi più chi meno. soggiaccion tutti in,•olontariamente alle pressioni dei giudici; i quali, nei limiti del Codice di procedura, non trascurano mai con un'occhiata, con un sorriso, con una paro– letta, di far comprendere ed insinuare la propria opinione. Si aggiunga il fatto che presso di noi l'accusa è sostenuta da una persona la quale veste 1a toga come i giudici, è seduta accanto a loro ed è un pubblico umciale nominato e stipendiato dal Governo; ciò che, pel principio d'autorità, dà alle parole di lui un peso ed un'importanza che certo non hanno quelle d'un povero av, 1 ocatuzzo e tanto meno d'un accusato. E pur troppo i rappresentanti del pubblico ministero non comprendono sempre l'importanza sociale del loro ufficio e ne fanno per lo pii, una misera e gretta questione di puntiglio puerile e d·amor proprio da accalappiacani. E cosi vengon fuo1·i gli errori giudiziari: alcuni irrimediabili, come nei paesi dove vige la pena di morte; e non meno gravi, ma più numerosi, là dove questa pena è abolita. Poichè pensano in quest'ultimo caso giudici e giurati: a tutto fuor che alla morte può esservi rimedio, come dice il

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