Critica Sociale - Anno VI - n. 11 - 1 giugno 1896
170 ùR.tT ldA So01AtE maturate. Ma, anche ammesso che la discussione preventiva si faccia, e sia ampia e sincera - al . che fanno spesso ostacolo la mancanza di oppositori validi, il preconcetto, il misoneismo, l'impazienza delle maggioranze - essa, nei singoli Circoli, dif– ficilmente astrarrà da impressioni effimere, da cri– teri locali, personali e particolaristi. Ai quali do– vrebbe, per l'appunto, servire da correttivo - se pur debba servire a qualcosa - la discussione ampia e integrale del Congresso; dove il cimento delle varie idee, le modifica, le rafforza, le spoalia dalle scorie locali. 0 Ma questo non è possibile che avvenga se il man– dato imperativo traccia indeclinabilrnente ai dele– gati il binario. Allora non è più il Congresso che decide; si potrebbe dire che il Congresso (s'intenda l'elemento specifico suo) cessa di esistere. Non ci sono più neppu_re, a rigore, i congressisti; dacché essi non possono votare secondo coscienza; non hanno l'obbligo di formarsi una_ convinzione, di pesare le obbiezioni, di riflettere, poiché una con– vinzione bella e fatta l'hanno già in tasca; hanno piuttosto l'obbligo di non disfarla. Non vi è più Congresso, non vi sono più congressisti; vi sono dei delegati, che hanno fatto della strada, spesso molta strada, per rimanere - intellettualmente - dov'erano prima. Tanto valeva che rimanessero a casa. * * * Su questo terna dei mandati imperativi (toccato di straforo anche dal nostro Bonardi nella sua I lettera da Lucca) ci scrive da Bergamo l'amico Emilio Gallavresi alcune osservazioni che meritano cli essere dtate. Constatato lo sconcio della contrad– dizione lamentata fra il mandato precedente e la coscienza posteriore, fra l'opinione formale e la reale, il Gallavresi si chiede: Va bene tutto ciò i È fuor di dubbio che ogni partito, il quale si svolga entro una società, come l'attuaie, scissa in classi cozzanti per opposti interessi, debba esso medesimo studiare i proprì bisogni e formulare le proprie domande in mandati imperativi, cui deputati e consiglieri debbono poi sostenere fedelmente. Il popolo non deve cedere la propria sovranità. Il terzo Stato, se nell'89 non avesse fissato nei cahiers le sue domande agli Stati generali, sarebbe oggi ancora quello che sempre fu, cioè nulla, mentre, mostrando una decisa volontà, determinò la rivoluzione e diventò tutto. Ma è egli identico il caso di un partito che debba formulare, non ad altri, nia a sè stesso, il proprio pro– gramma collettivo i O non è anzi piuttosto il caso con– trario1 Noi indiciamo i Congressi perchè lo scambio confi– dente di idee, di esperienze, di osservazioni dei molti concorra a formarci il programma, l'organizzazione, la tattica migliore; perchè da una discussione viva e ap– profondita esca una decisione collettiva. Come avverrà questo se l'amalgama è reso preventiva mente impossi– bile, e il gruppo dee rimanere gruppo anche ai Con– gressi, coi suoi criterì ristretti, locali, unilaterali i Come si conterrà il delegato, cui un argomento, non prima veduto nè discusso da lui nè dal suo gruppo, sforzi a mutare opinione i Quell'argomento, riportato nel gruppo, muterebbe presumibilmente anche l'opinione dei com– pagni, che spesso fu determinata da lui, o principal– mente da lui. E allora, votando a norma del mandato, egli farà, in sostanza, un tradimento ai suoi mandanti medesimi. Se il Congresso non deve ridursi che a un ufficio di sautinio - a un contatore automatico dei voti dei Circoli locali - a che pro tenerlo 1 A che pro l'ipocrisia Ji una discussionei Tanto varrebbe, quei voti, spedirli per cartolina postale. Si sparagnerebbe il tempo e la spesa. . Piuttosto, se non ponete una eccessiva fiducia nel vostro delegato (nel qual caso, a dir vero, meglio sa– rebbe valso sceglierne un altro e migliore), esigete che dei voti dati rimanga traccia a verbale. Il vostro manda- BibliotecaGino Bianco tario, rincasato, dovrà giustificare il suo voto, even– tualmente deviante dalle intelligenze precorse. Con ciò - se non un rimedio assoluto ad ogni inconveniente, che non è cosa umanamente conseguibile - porrete il 11?-a~gior possibile freno alle mutazioni leggiere e pre– c1p1tate. Ma non fate dei vostri mandatari, dei vostri uomini di fiducia, non fatene dei fantocci meccanici, delle macchinette votanti - col naufragio della loro dignità, con danno e con vergogna del partito e vostra. A noi queste semplici osservazioni sembrano ol– tremodo concludenti. Le Costituzioni degli Stati europei vietano in generale il mandato imperativo ai deputati. Questa è una frode alla sovranità po– polare. Le Costituzioni ricorrono a questa frode perché debbono dissimulare l'essenza dello Stato di classe e fingere che le Assemblee possano essere animate da intenti convergenti ed armonici. Perciò anche statuiscono che ogni deputato rappresenti - geograficamente e politicamente - non determinati . mandanti, ma l'intera nazione. Appunto perché questa è menzogna e frode nelle assemblee dove impera il conflitto delle classi - appunto perciò è necessità e ragione dove l'armonia fondamentale esiste, a così dire, per definizione. Il principio organico d'un partito è esattamente l'inverso di quello di una Assemblea di uno Stato di classe. Quivi la disarmonia necessaria genera la sfiducia e l'ostilità permanente di una frazione rispetto alle al tre; l'intento di ciascuna frazione è di vincere e di sopraffare. In un partito - che sia veramente tale e non un conglomerato di idee e di interessi cozzanti ed irreduttibili - regna natural– mente la fiducia, e lo scopo non è di sopraffare ma di concordarsi e d'intendersi. La intransigenza ri– spetto ai partiti avversari suppone e reclama la transigenza, ossia l'adattamento, nei rapporti interni del partito: senza quella, come senza questa, vi è il disgregamento e la morte. * * * Una pari logica ci guida nel trattare l'altro aspetto della questione. Fin dove e in quali ma– terie può un Congresso imporre ed imporsi? Su tutte e su tutto, no, non crediamo. Del Parlamento inglese soleva dirsi dai teorici che esso « tutto può fare, tranne mutare l'uomo in donna »: onnipotenza che diventa, necessariamente strapotenza e prepo– tenza. Diremo il medesimo di un nostro Congresso? Commetteremo noi, nell'interno del partito, quel che rimproveriamo agli Stati borghesi, la coercizione arbitraria delle minoranze? Certo, materialmente, questo si può fare. Come la Corte di Cassazione può sancire le iniquità più sbalorditive, pel solo motivo che non v'è altro giu– dice sopra di lei, al quale recarne appello; così la maggioranza di un Congresso può fare e strafare e stra potere - salvo subirne poi, il partito, le con– seguenze. Ma appunto perché può strapotere, perché nulla è sopra di lei, per ciò appunto, crediamo, essa deve trovare in se stessa freno e misura. A che pro creare, nel partito, dei vinti? Gli è come se un in– dividuo verberasse una parte di se stesso. A che pro suscitare dei possibili ribelli? Essi non lo di– verranno; ma hanno il diritto di dirvi, come i cre– denti al padre loro: et ne nos inducas in tenta– tionem. E, per concretare un po' (giacché neppure noi vorremmo dei Congressi mutati in semplici acca– demie), a noi pare che la forrnola da adottarsi supergiù sia questa: - Nelle materie che riflet– tono l'esistenza e l'essenza del partito, l'imperativo categorico è di rigore. Qui, il chi. non è con noi è contro di. noi è una necessità di ..lJita, amara qualche volta, ma imprescindibile. Nelle materie .accessorie e più complicate - in quelle che sono
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