Critica Sociale - Anno V - n. 19 - 1 ottobre 1895

296 CRITICA SOCIALE SOPRALAVORO E S PRAVALORE L'indipendma della teoria del profitto dalla teoria del nlore Non intendo riaprire una discussione già. chiusa. Mi propongo solo di dimostrare che, qualunque teoria del valore si voglia ammettere, concessa anzi per vera quella classico-socialista, la causa del profitto scoperta dal Marx può essere lumeggiata all'infuori di ogni legge del valore. Una tale questione trova la sua importanza nel fatto, che i marxisti sostengono la teoria secondo cui il valore si determina dal lavoro, non tanto perchè la credano in sè irrefutabile, quanto perché temono che, cadendo essa, venga a perderdi la con– cezione della natura usurpativa del profitto. Se si giungesse invece a provare che la causa di questo fenomeno, quale viene indicata dal Marx, è indipen– dente dalla teol'ia del valore, i marxisti pH1intelli– genti cesserebbero di vedere nel valore stesso la base della costituzione e della dottrina economica," e, liberati cosi da un pauroso preconcetto, potreb– bero più arditamente esercitare sulla teoria, che ne ha dato il loro grande maestro, una critica og– gettiva. La struttura economica ci presenta, nei fenomeni ch'essa. comprende, una lunga catena di cause e di effetti, che, staccandosi dalle radici più profonde, sale alle più superficiali espansioni del sistema pro– duttivo. Se per giungere alle prime basi si impone la necessità di passare attraverso alle manifesta– zioni più recenti ed esteriori, ò bene tuttavia che, nell'esporre il risultato delle ricerche, si segua il cammino inverso e si presentino i fenomeni nella loro successione causale. Il fondamento dell'econo– mia è il lavoro. Esso ci appare anzitutto come la causa della produzione. Solodopo esser stato l'agente della produzione, solo, cioè, dopo aver create delle merci, può passare, ammesso il criterio della scuola classico-socialista, a determinare il valore. Essendo infatti il valore una qualità delle merci, queste, pe1· assumere tale qualità, h~nno bisogno, prima di ogni altra cosa, di esistere. E cosi evidente il rapporto di causa ad effetto che intercede fra i due diversi momenti attraversati dal lavoro, che la stessa eco• nomia classico-socialista enuncia la sua legge del valore appunto perchè in prodotti di diversa na– tura non sa trovare altro di comune che il fatto di aver precedentemente costata una certa quan– tità di lavoro. Posto dunque che delle due rasi percorse dal la– voro, la prima sia quella in cui esso rappresenta la causa della produzione, nella prima dobbiamo cercare, secondo un più razionale processo d'ana· lisi, la causa del profitto. Il profitto evidentemente è costituito dalle merci consumate dal capitalista. Una volta che il capitalista non le produce egli stesso, deve produrle l'operaio. Biso~na in altri termini che l'operaio, dopo aver lavorato un certo tempo per ricavare le merci che costituiscono il suo salario, lavori un certo altro tempo per rica– vare le merci che vanno al capitalista. Questa quantità in più di lavoro è appunto il sopralavoro. Ma noi, per comprenderne l'esistenza, non abbiamo alfatto bisogno di sapere qual valore posseggano i prodotti. Lungi dallo spiegare il lavoro coi prodotti, dobbiamo spiegare i prodotti col lavoro. Il sopralavoro risulta dalla differenza fra lavoro totale e lavoro necessario. Ora l'entità di quest'ul– timo dipende da due elementi affatto estranei al valore. Da un lato dobbiamo sapere qual parte del prodotto complessivo tocchi all'operaio: e la gran– dezza di esso dipende dalla maggiore o minore preponderanza della classe capitalista sulla prole- 1 taria. Dall'altro lato dobbiamo determinare quale tempo occorra a produi•re il salario; e questo tempo ci è reso noto da una semplice osservazione cro– nologica esercitata sul processo della produzione. Constatato così quale sia il tempo necessario, il tempo che resta sul lavoro totale è sopra.lavoro. Il sopralavoro si può in tal modo ricavare senza e prima della determinazione classico-socialista del valore, considerando il lavoro in quella sola prima fase in cui ci appare come l'agente della produ– zione. Anzi è unicamente dopo avere cosi ottenuto il lavoro necessario ed il sopralavoro, che ci è lecito dire che le merci valgono una quantità corrispon– dente dell'uno e dell'altro. Con quale criterio infatti potremmo affermare che una data merce contiene 1 per esempio, sei ore di ciascuna delle· due specie di lavoro, se non avessimo assodata la loro esistenza con un esame p1·ecedente e all'infuori, perciò, di ogni valore? Solo in quel secondo momento, in cui da agente della produzione diventa agente dello scambio, il lavoro, appunto perché costituisce la misura del valore, s1 trasforma nel valore stesso. li lavoro necessario ed il sopralavoro della prima fase diventano allora rispettivamente valore neces· sario e sopravalore. Siccome l'analisi dei fenomeni può, indipendentemente dalla diversa bontà del metodo, compiersi tanto passando dalla causa al– l'effetto quanto passando da questo a quella, si può sempre osservar·e il la,•oro anche attraverso la sua forma valore. Ma non si deve mai dimenticare che, come nei fatti 1 cosi nel processo logico, c'è prima il lavoro che produce, poi il lavoro che si trasforma. in va– lore; prima il sopralavoro, poi il sopravalore. E giacché il profitto, se consiste nel sopravalore, de- 1~iva dal sopralavoro, la causa del profitto resta indipendente da qualunque teoria del valore. L'errore in cui cadono i marxisti è appunto quello· di non distinguere i due diversi momenti pei quali passa il lavoro. Essi confondono il lavoro agente della produzione col lavoro agente del va– lore; peggi9 ancora, stabiliscono una identità tra i due fatti. E quindi naturale che credano che, ca– duta la teoria del valore, cada la teoria del sopra– lavoro. Questo errore dei seguaci trova la sua causa nel metodo stesso seguito dal maestro, il quale, essendo, nella enunciazione del suo pensiero, giunto al sopralavoro solo dopo esser passato per la teoria del valore, non ha saputo spogliare mai definitiva• mente il profitto dalle ingannevoli forme dello scambio e presentarcene la causa nell'ordine lo$iCO che le compete. In quelle parti però del primo volume in cui, piuttosto che della teoria, fa dell'os• i servazione storica - per esempio, là dove parla della corvata - egli ci ha mostrato benissimo, quasi senza avvedersene, l'assoluta indipendenza che in– tercede fra i due fenomeni. Di più, il fatto stesso che il Marx ha adottata la teoria ricardiana del valore, dimostra che egli possedeva già, prima e senza di essa, la concezione del sopralavoro. Se il grande socialista, in una economia in cui i lavo– ratori costituiscono soltanto l'elemento bruto, il mezzo incosciente alle leggi che la reggono, in cui il lavoro manuale è tenuto a vile, e nè chi lo compie nè i capitalisti si occupano di sapere quanto dispendio della forza umana esso rappresenti, ha sostenuto non pertanto che sia un'azione dei lavorato1•i, e precisamente il lavoro, quello che determina un fatto dell'importanza del valore, vuol dire che egli aveva già. della funzione esercitata dagli operai un concetto che superava i pregiudizi creati dalla so– cietà. capitalistica; vuol dire che egli, riconoscendo nel lavoratore l'unica causa della produzione, allo scopo di consacrarne così il diritto al godimento

RkJQdWJsaXNoZXIy