Critica Sociale - Anno V - n. 19 - 1 ottobre 1895

CRITICA SOCIALE 301 terra e il capitale sono entrambi più forti del la– voro, perchè il lavoratore deve lavorare per vivere, mentre il prop1·ietario fondiario può vivere della sua rendita e il capitalista dei suoi interessi, (~in caso di bisogno anche del capitale o della proprielà tel'l'iera capitalizzata. Ne segue che al lavoro non tocca che il puro necessario, la stretta sussistenza, mentre la miglior parte dei prodotti si divide fra il capitale e la pt-oprietà terriera. Il lavoratore più forte caccia dal mercato il più debole; il capitale più grande caccia il più piccolo; la prop1•ielàfon– diaria più estesa caccia la più angusta. La pratica conferma questa conclusione. Sono noti i vantaggi che il grosso fabbricante o negoziante hanno sul piccolo, e così quelli del gran p1•oprietario di terre sul possessore di un solo jugero. Ne deriva che, in circostanze normali, il grande capitale e la grande proprietà strozzano, in virtù del diritto del pii1forte, il piccolo capitale e la piccola proprietà - onde l'accentramento delle proprietà. Durante le crisi commerciali ed agricole questo accentramento si fa rapidissimo. In generale la grande proprietà si accre– sce assai più rapidamente della piccola, perchè deve dedurre una parte assai più piccola del reddito come spese inerenti al possesso. Questo accentramento della proprietà è una legge immanente alla pro– prietà privata quanto ogni alb'a: le classi medie devono sparire ogni giorno più, lìnchè il mondo si trovi diviso in milionarì e miserabili, in grossi possidenti e miseri manovali. Qualsiasi legge, qual– siasi divisione delle te1•re, qualsiasi sbriciolamento del capitale non servirà. a nulla - questo risul– tato deve venire e verrà, se non lo si preverrà con una totale trasformazione dei rapporti sociali, con l'abolizione dell'antagonismo degli interessi, con la soppressione della proprietà privata. La Jibera concorrenza 1 la divisa dei nostri econo– misti della giornata, è un'impossibilità. Almeno il monopolio aveva l'intenzione, se non la reale capa– cità1 di salvaguardare il consumatore dall'inganno. L'abolizione del monopolio invece spalanca i bat– tenti alla frode. Voi dite che la concorrenza ha in se stessa l'antidoto della frode, perchè nessuno vuol comprare merce cattiva (ciò che suppone quest'altro assurdo, che ciascuno sia un conoscitore di ogni qualità di merce) - e di qui la necessità del mo– nopolio che si palesa ancora per molte merci. I farmacisti, per esempio, debbono avere un mono– polio. E la più importante delle merci, il denaro 1 ha bisogno più d'ogni altra del monopolio. Il me– dium circolante, ogni qual volta cessò di essere monopolio dello Stato, p1'0dusse una crisi comme1•– ciale, e gli economisti inglesi 1 fra gli altri il dottor \Vade, ammettono anche qui la necessità del mo– nopolio. Ma neppure il monopolio ci assicura dalla falsa moneta. Si conside1·i il problema da qualunque lato, la soluzione non ne diventa più facile; il mo– nopolio genera la concorrenza e questa di nuovo il monopolio; perciò debbono cadere entrambi, e queste difficoltà l'isolversi cou la abolizione del principio che le genera. . .. La concorrenza ha penetrato i 1•appo1·tidella nostra vita e ha recato a compimento la reciproca schiavitll che oggi avvince gli uomini. La concor– renza è la gran molla che sprona a semp1•e nuova attività questo nostro invecchiante ed impigrito ordine o piuttosto disordine sociale, ma ad ogni nuova tensione logora una nuova porzione delle sue forze scemanti. La concorrenza signoreggia il progresso numerico dell'umanità e signoreggia del pari il suo progresso morale. Chi ha qualche pra– tica di statistica criminale avrà notato la peculiare regolarità con la quale il delitto aumenta tutti gli anni, e con la quale talune cause determinano ta– luni delitti. L'estendersi del regime cli fabbrica ha dappertutto per effetto un aumento di reati. Si può predeterminare anno per anno con singolare esat– tezza il numero degli imprigionamenti, dei crimini e persino degli omicidii, dei furti con effrazione, dei piccoli furti, ecc., che avverranno in una grande città o in un circondario. Questa regolarità dimostra che anche il delitto è retto dalla concorrenza, che la società produce una domanda di delinquenza cui corl'isponde una adeguata oflèl'ta, che il vuoto lasciato dagli incarceramenti, dalle deportazioni o da]la pena capitale applicata a un certo numero viene bentosto colmato, proprio come ogni lacuna nella popolazione è tosto colmata da nuovi rampolli; che, in altre parole, la criminalità preme sui mezzi di repressione, come i popoli sui mezzi di lavoro. Quanto sia giustoi date simili circostanze (o non parlo di tutte le altre), punire i delinquenti, è cosa che abbandono al giudizio del mio lettore. A me qui basta di provare l'estendersi del dominio della concorrenza anche sul terreno morale, e di mo– strare a che profonda degradazione la proprietà. privata ha condotto l'uomo. Nella lotta del capitale e della terra conf1·0 il lavoro, quei due primi elementi hanno sul lavoro un altro singolare vantaggio - l'aiuto della scienza; imperocchè, negli attuali rapporti, anche la scienza è diretta contro il lavoro. Quasi tutte, ad esempio, le invenzioni meccaniche ebbero cagione dalla man– canza di forza di lavoro; cosi particolarmente le macchine da filar cotone di Hargreave, di Crompton e di Arkwright. Giammai si ebbe una intensa do– manda di lavoro, senza che ne scaturisse un'inven– Zione che aumentava. notevolmente la forza di la– voro e così rallentava la domanda di lavoro umano. La storia d'Inghilterra dal 1770 ad ora ne è una prova continua. L'ultima grande invenzione nella fìlatura del cotone, il mulinello automatico, fu occa• sionato unicamente dalla domanda di lavoro e dal• l'aumento dei salar'ì - essa raddoppiò il lavoro delle macchine e dimezzò quindi il lavoro a mano, gettando la meta degli operai sul lastrico e facendo quindi calare 1a mercede all'altra metà.; essa sba– ragliò una coalizione d'operai contro i fabbricanti e distrusse l'ultimo resto di forza con cui il lavoro

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