Critica Sociale - Anno V - n. 19 - 1 ottobre 1895

298 CRITICA SOCIALE Adesso i piccoli proprietari o capitalisti c.-n:1liberi di unirsi in società, ma lo fanno essi 11 fatti, con la.scom• parsa della piccola proprietà, dicono il contrario, e se i piccoli proprietari non si associano, cosa che sarebbe ad essi vantaggiosa, vuol dire che in pra.tica si va. in– contro a difllcoltà insormontabili. I piccoli capitalisti e proprietari sono già in lotta fra loro, ed immense sono le difficoltà di conciliare numerosi e diversi interessi. Ma supponiamo ciò possibilei potrà ognuno di essi liberarsi su' due piedi della piccola officina, della pic– cola bottega, del piccolo podere, in cui aveva versato i suoi capitali1 Poichè, se anche uniti in società. ado– perassero gli stessi mezzi di produzione usa.ti quando eran separati, il maggior vantaggio che viene dalla grandezza del capitale impiegato, il poter usare mezzi più. perfetti di quelli degli altri, andrebbe per essi perduto. Ma, sormonta.te questo difficoltà, streUi eroicamente i piccoli borghesi in fascio romano, migliorerebbero essi di molto la loro condizione rispetto al grande ca– pitalista? Se si trattasse di piccoli proprietari, che vivono lavorando essi stessi sulla. loro proprietà, il fatto solo di avere investiti i loro capitali in una società non ba starebbe certo ad esimerli dal lavoro i essi quindi, se– paratisi dai loro ca.pitali, dovrebbero vendere come sa– lariati la loro forza di lavoro, ed il peggioramento delle condizioni dello masse lavoratrici, effetto della grande industria, li costringerebbe ben presto a. sbarazzarsi dei loro capitali. Di ciò torna comodo scordarsi ad al– cuni dei nostri avversari che. come il Richter ( 1 ), ci accusano di voler privare l'operaio de' suoi risparmi. Se poi, costituiti in cooperati va, i piccoli produttori unissero non solo i capitali, ma anche le energie del la– voro, il fascio romano si troverebbo subito in una condi• zioned'inferiorità in confronto di qualsiasi capitalista, non potendo ingaggiare o mandar via i suoi soldati secondo i bisogni della guerra; in altri termini, non potendo restringere il numero degli operai nei periodi d'ina– zione della produzione. Esso andrebbe, inoltre, incontro alle tante difficoltà che devono incontrare organismi non adatti all'ambiente capitalista, e che fanno sì che economisti ortodossi come il Boccardo (1), socialisti come il Malon ( 3 ), ed anarchici come il Kropotkin C-) abbiano nelle cooperative di produzione fiducia molto limitata. L'unirsi in società. o in coalizioni industriali (•) ò faci– lissimo, al contra.rio, ai grandi capitalisti, i quali così divengono padroni del mercato. Ma se cos\ non fosse, andando tutto a vele gonl1eper l'associazione dei piccoli capitalisti, non si accorge il sig. Bocco.rdoche nella concorrenza il più forte vince• rebbe sempre, e che, se più forte dei grandi capitalisti rosse l'associazione dei piccoli produttori, con la scon– fitta dei loro avversari avremmo un sistema di produ– zione in cui la concorrenza. sarebbe abolita? Concludendo, con o senza le società. per azioni e le cooperative, i ca.pitali dovranno per necessità di cose accentrarsi In un organismo solo, che, o agirà a bene– fizio di pochi, ed avremo il monopolio, o delle masse produttrici e consumatrici, e allora saremo in pieno so– cialismo. E. C. LONGOBARDI. (') R1cnTRa, Dopo la TJlttorta. ckl 1oclali1mo. P> BocCAROO, op. cit.: Cooperazione. P) MALON, Il &OClalf,mo. (f) KROPOTKIN, coopératto,t et ,oclau,me, nel numero del!~ lu– glio f89!idel giornale: /,e, temp, ttoui:eauai. (i) CRITICA SOC!AL1i, Coalhtont b1au,tnalt. Anno v, n. 7. L'ECONOMIA POLITICA IV. La lotta del capitale contro il capitale, del lavoro contro il lavoro, della terra contro la terra porta la produzione a tale un grado di febbre, che finisce per capoYolgere tutti i rapporti di natura e di ra– gione. Nessun capitale può sostenere la concorrenza dell'altro, se non spingendo fino all'est,~emo la pro– pria attività. Nessun fondo può essere coltivato con profitto, se non aumentando di continuo la sua forza di produzione. Nessun lavoratore può reggere di fronte ai suoi concorrenti, se non consacrando al lavoro tutte quante le sue forze. Tutti insomma, sul terreno delle concorrenza, sono costretti a ten– dere al massimo le loro forze, 1•inunciando a tutto ciò che veramente dovrebb'essere scopo della vita umana. Questo eccesso di tensione da una parte produce necessariamente il rallentamento dall'altra. Quando la oscillazione della concorrenza è piccola, quando la domanda e l'offerta, il consumo e la produzione quasi si uguagliano, allora sta per co– minciare, nella e\'Oluzioue della produzione, uno stadio nel quale la forza di produzione disponibile è tanto grande che la maggior parte della nazione non ha di che vivere: la gente soffre la fame in grazia dell'esuberanza. L'Inghilterra si trova già da un pezzo in questa situazione stravagante, in questo assurdo vivente. Tostochè, come necessariamente avviene in conse– guenza di una tale condizione di cose, le oscillazioni della produzione si fanno più violente, ecco le al– ternative di prosperità. e di crisi, di sopraprodu– zione e di ristagno. All'economista non è mai riu• scito di spiegarsi questa indiavolata situazione: per spiegarla in qualche modo, inventò la teoria della popolazione, che è altrettanto insensata, anzi più insensata ancora di cotesto contrasto di ricchezza e di miseria contemporanee. L'economista avea quasi il dovere di non vedere la verità; non do– veva vedere come questo contrasto sia semplice– mente l'effetto della concorrenza, perchè, se l'avesse veduto, tutto il suo sistema se n'andava a gambe all'aria. Per noi il fenomeno è subito spiegato. La forza di produzione che sta a disposiz!one dell'umanità è immensa. La pt-oduttiviti\ del suolo può essere, colla applicazione del capitale, del lavoro e della scienza, aumentata indefinitamente. Giusta i calcoli dei più valenti economisti e statistici (veggasi ALISON, Prlnctpte of populatton, voi. !, cap. l.' e 2. 0 ), la Gran Bretagna, che pur soffre, a quel che si dice, di sovrappopolazione, potrebbe in dieci anni essere coltivata in guisa da produrre frumento sufficiente per una popolazione sestupla dell'attuale. Il capitale aumenta ogni giorno; la forza di lavoro cresce colla popolazione e la scienza assoggetta al– l'uomo ogni giorno nuove forze naturali. Questa smisurata capacità produttiva, se fosse adoperata a disegno e nell'interesse di tutti, potrebbe ridurre

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