Critica Sociale - Anno V - n. 7 - 1 aprile 1895

CRI'l'ICA SOCIALE 103 l'o1·gano di un aggregato a base egualitaria, senza distinzione di.classi, esso rappresenta invece l'in– teresse e la volont.~di una classe predominante o rurto di classi antagonistiche. Diversifica altresì dai Parlamenti medievali e dai così detti Stati Ge– nerali per ciò, che in questi - almeno per lun$O tempo - non esisteva diritto di maggioranza, rn quanto ciascun membro dell'assemblea rappresen– tava altrettante sovranità irrcducibili e assolute (feudi, corporazioni, città, la cui economia chiusa o isolata non era subordinataa più larghi interessi); laddove nei Parlamenti moderni hanno impero le magiiioranze, perché gli interassi dei capitalisti co– stituiscono fino a un certo punto un insieme coor– dinato ed organico. . .. '!'aie essendo la funziono del Pal'lamento,o~nuuo vede la infondatezza dell'attacco che il S1ghole muove al suo principio o, com'esso dice, alla !-ua .: essenza ,. Il J>arlamento,come qualunque assem– blea politica, non ha da risolvere problemi d'indole speculativa; non è c6mpito suo la investigazione scientifica, la elaborazione ideale di nessun pro– blema. Suo ufficio è risoh'ere i problemi pratici della vita collettiva. ~la la loro qualunque risolu· zione dipende dalle forze che si muovono nella so– cietà, e che sono nel Parlamento rapprasentate. Nessun genio, nessun pl'ofeta, nessuna assemblea di gen'ì o di scienziati può mutare le condizioni ferPeo di fatto, entro le quali soltanto può trovarsi la soluzione di tali problemi. È verissimo 1 infatti 1 quel che il Sighele rip01·ta dal No!'dau, che un·assemhlea di Goethe, di Kan~ di Helmholtz, di Shakespeare, di Newton, ecc. (e noi potremmo sostituire il nome di codesti scienziati o lelterati col nome dei più illustri statisti), a cui venisse sottomessa una questione p1·attca del 1110- nienlo1 non divel'Sifìcherebbe in nulla, quanto alle sue decisioni, da un'assemblea qualunque: è veris– simo, perchè la decisione possibile non dipende dallo intuizioni del genio, sibbene da quelle condizioni di fatto, da quelle combinazioni di forze, che sono alla por~,ta di qualunque intelletto mediocre, e che non ponno mutarsi per forza di idee. i J?UÒ dire, anzi, qualcosa di pii1 di quel che dice 11 Tordau: che, cioò, nessun genio, per quanto elevato, può a,·ere, circa la soluzione immediata di una questione pratic..1 1 un"idea che esca dall'àmbito delle idee comuni, un'idea superiore alla media. Sempre, infatti, quando it sonio ha voluto, pe1· lo scioglimento delle questio111pratiche 1 astrarre dalle forze attualmente in azione, quando ha voluto sol– levarsi sopra e fuori delle condizioni concrete di faUo, ha dato nell"utopia 1·eaziona1•ia o 1•iyoluzio– nari9., a seconda del temperamonto individuale. Ma sompro si è manifestato impotente.. In tutto it corso della sto,fa non si è mai dato che dal cervello di una persona, per quanto di genio, anco se rimasta per anni e anni a meditare noi silenzi di una tebaide, sia uscita la soluzione immediata di una questione pratica 1 che fosse fuori clelte possibilità visibili anco dalle menti comuni; eccezion fatta, s'intende, dei Mosè legiferanti sotto la ispirazione divina. L'uomo di genio - non l'utopisla mattoide - riconosce, anzi, i limiti di fatto che si impongono nella soluzione delle questioni pratiche. La sua azione consiste nel rilevare questi limiti di fatto, nel valutare le forze che necessariamente deter– minano questa o quella pratica soluzione, indicando, mercè Io studio profondo della realtà, di dove e come si avranno le fo1-zeper le quali diventi pos– sibile ottenere altre soluzioni. Cosi, ad esempio, tutta una assemblea di Fourier e di Owen non 1>tecaGino R1anco avrebbe mai potuto, nè potrebbe oggi, lesiferando, attuare il socialismo: perché alle i<l0e dei compo– nenti l'assemblea non corrispondono le disposizioni e le forze attuali del corpo sociale; ma ben può un Marx, studiando la realtà. presente, indicare la ,,ia per educare le forze, delle quali il socialismo sarà la indeclinabile risultanza. Ed ò qui appunto che il ighele - ii quale si dà per positivista - l'ivela il suo vero carattere di ideologo e di metafisico. Perchè il lamentare, ch'egli fa, che una assemblea legislativa anche di ottimi non possa da1·e risultati geniali, ossia supe– riori alla media, rivela in lui il concetto che le idee possano signoreggiare i fatti. Egli pensa evi– dentemente che, se la sua famosa assemblea dei Goethe,dei Kant, degli Helmholtz, ecc., potesse dare deliberazioni intellettualmente superiori a quelle cli una assemblea qualunque, le condizioni di fatto muterebbero, per effetto appunto cli t.,li delibera– zioni E codesta strana aberrazione idealistica. - degna in tutto d'un pensatore di un secolo fa - viene dal non avere badato - piccolissima svista! - che le assemblee politiche non sono un campo chiuso di discussioni e di indagini scientifiche, ma sono semplicemente il riflettore degli interessi ma– teriali che agitano il corpo sociale in un momento storico determinato. Viene dal non aver posto mente a ciò, che l'ufficio dei Parlamenti (come di tutta le e: unioni » politiche) non è il pensiero, ma l'a– zione: \'iene dal non aver capito come concludesse precisamente contro la sua tesi 1 il verso da lui ci– tato del Maupassant: Il {aut se siparer, pou1· pense1· 1 de la foule Et &'y co11fornlrepour agi,·. Agire. ~la che altro è l'opera dei Parlamenti! Essi votano leggi che devono immediatamente ap– plicarsi: or che cosa è questo, se non azionet E l'azione come si determina in questo o in quel senso? A seconda 1 e, 1 identemente, che nell'assemblea pre– valgano queste o quelle tendenze. Le discussioni parlamentari, infatti, nè sono dirette a persuadere o a smovere alcuno, nè mai hanno persuaso alcuno o l'han rimosso da quell'atteggiamento cho esso avc, 1 a come rappresonta!1le degli interessi mate– riali ch'erano in gioco. E noto come il Gladstone abbia confessato di non avere mai mutato una opi– nione per effetto dei discorsi avversari, in tutto il lunghissimo corso della sua vita parlamentare. Le discussioni sono sfide che gli interessi avversi. che i partiti nemici, si lanciano: sono mostre di forza: sono manO\'l'e fatte in vista dell'avvenire o a scopi di propaganda. E quel che sempra, in ogni caso, usci da ogni assemblea ~oliiica fu quel che era ~~ì1 1 ~of~~~s~Ti~ ~ 1 ~: 1 ~~ ~:~ az:~~~ risultante esatta Giusto, abbiamo detto. Perchè non è che pura melaftsica quel che dice in proposito il Sighele: e: sostenere che i pili in un dato momento storico .: hanno sempre ragione e i meno hanno sempre « torto, ò un constatare un fatto politicamente in– • negabile (e fatalmente necessario) ma non iiiusto. « Le minoranze invece, nel mondo come nei Par– « lamenti, sono sempre la gloria di ogni paese. • (') In queste linee il positivismo del Sighele dichiara completo fallimento. Questa giustizia, a cui il Si– ghele allude, che cosa è essa mai1 In un dato mo– mento storico certi interessi prevalgono a certi altri. Ogj1i,per un esempio, l'inte,·esse della borghesia italiana prevale agli interessi del proletariato. Que– sto è innegabile ed è« fatalmente necessario », così come, dato il peso di due chili sovra il piatto di una bilancia, e il peso di un chilo sovra_ l'altro, è

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