Critica Sociale - Anno V - n. 5 - 1 marzo 1895
CRITICA ::,01.,IALb 77 capitale addizionale per attuare questo desiderio, capitale che da lui non sarebbe punto calcolato come un capitale diveno d.1quello impiegato nella produzione e quindi come partecipante ad un lli– verso saggio del p1·ofltto. Ma poichè indiscutibil– mente, per la conosciuta legge dei costi compara– tivi, à a lui più utile dedica1·si esclusivamente ad un ramo solo del procedimento economico, egli ab• bandona senz'altro la rase commerciale della merce ad una categoria di individui, la quale si dedica soltanto ad essa. « Il capitalo comme1·ciale non è « assolutamente diverso dal capitale-merce del pro• « duttore che ha da compiere sul mercato la sua e funzione come capitale-merce; solo questa fun• « zione, invece di essere una secondaria opera• « ziono del produttore, appare adesso una esclusiva « opc1·azione di una speciale categoria di capitalisti, « i commercianti, e diviene indipendente come af. « fare di uno speciale impiego di capitale> (pag. 253 o :2:; 1 1 voi. III). Esso non c1-oauno speciale plusva– lore; ma il plusvalore, che esso si attribuisce, è una parte del plusvalore prqdotto dal capilale produt– tivo, industriale. li commerciante, il quale impiega la merce del– l'industriale, non intende impiegare il suo capitale ad un saggio di profitto minoro di quello ottenuto dall'industriale. Egli perciò si sforza di ottenerlo vendendo la merce ad un p1•,zzo superiore a quello di acquisto e che corrisponde esattamente al saggio medio del profitto del suo capitale. Maconvien sta1·e nttenti ad una circostanza. L'industriale, vendendo h.\ merce al commerciante, ò cosi dispensato dal costo per il trasporto, pm· la conservazione, per la rnndita del lavoro prodotto, e per lui tutto ciò (tranne il lavoro necessa,·io per la circolazione e di cui qui, per quanto lo abbiamo già accennato, non occorre tener conto, per semplincare le nostre nozioni) rappresenfa una spesa fruttifera; nè po· trebbe venirgli in mente di voler ottenere su queste operazioni - se egli le compisse da sè - un no– vello profitto, perchè al101-a egli otterrebbe sulla stessa 1nerce un doppio profitto: uno per la circo– lazione e l'altro per la sua produzione. Per tutto ciò, l'industriale venderà la merco al commerciante non al prezzo comJJiu.to di produzione, ma ad un prez1.o diminuito del costo ,tel commercio più il p1·o{lllosu dt esso, le quali due ultime cose fanno pal'te del costo negativo del complessivo prodotto sociale. Per esemplificare: sia un capitale costante 100, un capitale variabile 100 cd un saggio di plusva- 101·0del 100 °,, 0 • Il valore del prodotto sarà così di 300 ed il saggio del profitto del ~,o ¼· Sia il ca pitale comme1·ciale uguale a 100. Così il capitale complessi\'O che rappresenta un costo sarà di 300 ; il plusvalore resta di 100; il profitto cala al 3.3 'I,. L'indush•iale non vendel'à la sua me1·ce al com– merci::rnto per 300, ma per 267 1 mentre quest"ul– timo, vendendola per 300 1 (poi• semplicità suppor– remo che il prezzo di venditi:. coincir1acol valore). avrà guadagnato sul suo capitale l'istesso saggio di plusvalore dell'industriale. Si deduce da ciò, che il capitale commerciale esercita una mostruosa influenza sulla legge della progressiva caduta del saggio del profitto, poichè « quanto più è grande il capitale commercialo in « ,-apporto al capitale industriale, tanto. è più piccolo « il ~aggio del profitto industriale, e viceversa» (pa• gina 270). Ora ò facile comprendere quale sia stato l'errore del Loria. Egli afferma cho - secondo le premesse dell' Engels - il prodotto di un lavo!'o, nel quale sia rappresent:t.ta la parte tec11icaad un limite mi - nim o, si scambia col prodotto di un altro lavoro, noi quale la parte tecnica del capitale abbia un Ji. Gino H1ar o mite massimo, ad un prezzo inreriore al \'alare, e questo specialmente nei rapporti che intercorrono fra commerciante od industrialo. I11vece noi qui vediamo corno tale considerazione sia affatto inutile noi 1•iferimenti al capitale commercialo. Può infatti il capitale di una indusfria essere comunque costi• tuito nelle suo oarti, costante e variabile, che il capitale commei·ciale influirà identicamente su di esso. La merce, nella quale sin contenuto il lavoro morto di un capitale tecnico minimo, si venderà bensl ad un prezzo inferiore al suo ,·alare, ma in tal ratto ò assolutamente inesistente l'influen1.a del capifale commerciale. Il capitale commercialo non alte1•a il prezzo di vendita, come si può l'iscontrare nell'esempio già addotto; esso rappresenta un costo negativo solo per il produttore: la socielà è affatto indifferente alla sua opera. Noi siamo dunque 1·itornati al nosfro punto di partenza: al prezzo di vendifa. Dalla sua pili chiara nozione 1 dalla dimostrazione che noi ci sforzeremo di rendere sempre più evidente e sintetica, balzerà fuori come soltanto la teoria 1•iduccnto il ,·alore al lavoro sia degna di chiamarsi veramente scientifica. o come il so!o che abbia intuita la complessità delle sue varie conformazioni, con una poten1.a di genio che davvero lo asside sul culmine più alto della scicn1.a economica. sia stato Carlo )larx. E si tratta ora di ,·edere come il prezzo di vendita sia appunto null'altro che uno degli aspetti della legge del valore. . . . L'insieme dei diversi capitali individuali, che t'or• mano il capitale sociale, ò alla sua volta concepi– bile come la media delle diverse composizioni tec– niche dei capitali; vi ha cioò una media secondo la quale il capitale è diviso nella parte costante e nella parto variabile. Se questa media, prodotto mera– mente astratto della teoria 1 fosse completamente 1·ispettata dalla realtà, cioè so tutti i capitali fos– sero composti, nell'identica propor-liane, di una parte variabile e di una parte costante, il prezzo di ven• dita coinciJerebbe col valore, od il saggio del pt'O· fitto s.u·ebbe allora identico pe1· tutte le industrie. Cosi come il prezzo di vond1ta. per il complessivo capitalo sociale è uguale al prezzo di costo più il pro<lotto del saggio medio del pl'Ofittocalcolato sul prezzo di costo. il prezzo di vendita coinciderebbe con questo in modo gcne1-ale. La concorrenza di– stribuisce variamente il complessivo capitale nelle diverse industrie, ma cercano queste di eguagliarsi alla composizione media del capitale, por modo da ottenere che il prezzo di vendita faccia tutto uno col valore. Quando <tuesta circostanza non si verifica, non perciò si può affermare che la legge del valore dcova uno strappo o sia insufficiente a risolvere le complicazioni della 1·ealtà. Consicle1·andodal punto di vista del movimento sociale. tutte le merci ven~ dute ad un prezzo individuale finiscono col vendersi nl loro valore. Difatti, richiamando l'esempio nu• merico offerto la volta scorsa, la somma comples– siva del plusvalore sociale e quindi del profitto 1·esta la stessa, quali che siano gli eventi cui i sin– goli prodotti vanno incontro, appunto come iden– tica ò restata la massa del lavoro impiegato nella produzione. « In tal guisa - scrive Mar-x - con– « siderando la totalità di tutti i rami della produ– « zione, la somma dei prezzi di vendita delle merci « prodotte é pari alla somma dei loro valori» (pa– gina 138). Nè il profitto medio ò una creazione natm·ale, come vanno predicando gli apostoli co– scienti ed incoscienti della borghesia. « Egli è « chiaro che il profitto medio altro non è che la « massa complessiva del plusvalore, divisa fra le
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