Critica Sociale - Anno II - n. 19 - 1 ottobre 1892

802 CRITICA SOCIALI: quali il socialismo scientillco odierno si fonda e che non c~iamo Malagodi rinneghi. ti.la , se è cosi, non ha egh pensato alla contraddizione in cui si va im• P!gliando1 E che. bisogno vi ha - anzi che conve– men1,ae che logica - a dimostrare pe,· altre vie che il socialismo ò possibile, quando, per una vtll accertata, ~è necessario? Che ò questa posstbtlttà eh? sta _fuoridella necessttà, che vi aleggia in certa guisa dt sopra e che la guata da lunge 1 Che ci sta a fare_cote~ta po_ssibilità se non erompe, come un semplice m1ragg10, dalla necP.ssità sottostante? La possibilità è, per natura sua, mobile e incerta. È dunque, questa ~ssibilità, una negazione? Oppure è ::à ~~ns~~t~.appoicl~è l'ine\'itabile è integrato Ancora; e quel che diremo non sarà che un'altra faccia di quel che abbiam detto. Cotesto pensiero ani– ma~•:e, cotesto p1;opulsore psicologico dello riforme sociali, cl_10 è, o donde sgorga 1 Tu, Mala.godi,certo non c1-e<hal miracolo: tu vedi la forza der pensiero, di un (dato pensiero sociale, o vuoi motto ria lin luce, ma non dici d'onda derivi, e pur sai che deriva. Non deriva ossa da quei fatti, che tu hai l'aria di subordinarle, da quei ratti cho la scien1,a positiva decompone o indaga e dei quali son composte le leggi scientifiche, colle quali, secondo te, il pen– siero dee accordarsi per eMero vita.le e omcacef Il pensiero non è che un rHlcsso mentale del fatto st.0$SO che evolve. /<.:X nthflo ntMt, anche nei do– mini dul cervello. Il pensiero è un duplicato; sia ti~,~:':~ iu~n~/~,~ilt:e~:e~:~11 il~~1!~~e J~b~t che p1"CeSiste. Cosi, per altra \'ia, si ritorna in seno a quei fatti, a quei dati biologici, etnogra(lci, storici, a quello necessità insomma, dalle quali la teoria di Mala– godi pa1'8vaci avesse dipartiti. Cercammo una sintesi pili esatta, pili fedele e completa; ma gli elementi onde doveva risullaro e,-ano quelli pur sempre. Ci levammo un po'in alto, guardammo ·a volo d'uccello il paesa~gio, o ci parve alquanto divol'so; ma il paesaggio è il medesimo. Non corremmo anzi il rischio che, corno ad lcal'O, ci si sciogliessero lo ali? L'ebbrez1.a dei voli è la grande tentatrice, ma Anteo, por pigliar for·,,a., O d'uopo che dtenti la terra. A noi - ri1>0teremo a sazietà cho abbiam CO· scienza di poterci ingannare - a noi sembra che ?ilalagodi somigli un po· al viaggiatore del deserto, cho studia la via che ha da percorrere fiss."l.ndola ~~~~Ìa 0 ~i ;~~:lir;:?:~>fd ro;~,~~~\1~tiòlU~e;:t vi ravvisa stava pur sempro sulla terra: un passo dopo l'altro, su la terra, vo l'ancbbc trovato. FILIPPO TURATI, DAL VERO Io tengo una camera a Bologna dove alloggio nello mie fermate di passaggio fra ,_lilano e casa mia. Avevo incaricakl di rifarla e pulirla, quelle venti o trenta vvlte che mi ci rermo, una vecchietta che fa i servizi a un inquilino della casa; con l'in– tenzione di pagarla a fine d'anno. In fatti ad ogni mio arrivo essa m'era a tvrno con una premura meticolosa, con l'alfaccendat~zza moltiplicata ed in– tricat., che rassomiglia al rurore di careue e di festa d..il cane che vede tornar~ 11padrone dopo un mese di assenLa. Era una vecchietta piccola, rattrappita, con nelle B bl1oteca G no Bianco storture e nello squ.illbrfo del corpo Il segno di quel lavoro monotono che domanda l'incessante ri– petersi di quattro o cinque movimenti che vi si im– primono in deformità nuove, le deformità sociali del mestiere; uno di quegli esseri che hanno su sè stessi nei gesti, nelle parole, nelle espressioni il meschino, lo scialbo, il bigio sporco, silenzioso e pauroso di quelle bestie che si rifuggono nei sotto– suoli dei nostri centri di civiltà, nelle cantine e nelle chiaviche, e vi durano per una abilità con• Linua di paure e di fughe. Una di quelle povere crea• ture sociali che portano in sè stesse l'impronta della sommessione di tutta la vita; il gesto sempre in. certo e pauro:10, lo sguardo pendente sempre in una interrogazione stupida dal volto e dal gesto del padrone, il balbettio continuo, confuso della scusa timiJa e sciocca sulle labbra. Tutte le volte che vi ritornavo era sempl'e la stessa servilità non mai rallentata, non mai stanca, senza mai l'accenno, non eh➔ nella domanda ma nè pure nella espre~sione del volto, del mio obbligo di pagarla. lo me n'ero dimenticato. Il glorno che me ne ricordai ed offersi di pagarla ru in essa, con mia gran meraviglia, una sorpresa paurosa; poi un mezzo rifiuto come ad una cosa pericolosa ed il– lecita, che tenta; l'attenuazione di ciò che essa aveva ratto per me e di ciò cbe io le dovevo; in– One l'accettazione ontosa, servJle, le mezze genu– flessioni, la profusione labiale di ringraziamenti e di benedizione dell'elemosina. È uno dei miracoli più diabolici della organfz. zazione feudale e borghese d"ella schiavitu questo, di essere riusciti a inoculare la servitù cos\ pro– fondamente da rarne una disposizione organica del- 1'indivlduo, d'essere arrivati a spegnere nella co– scienza il senso cos\ primitivo ed universale che ogni lavoro deve esser ricompensato, questa affer– mazione prima e sola giusta della proprietà! La .ecchia società è riuscita a rare della servitù una vera specie naturale. In Tribunale. Di rronte il nero delle toghe dei giudici dormicchianti ai due lati del presidente ge– sticolante, il frusc\o delle carte spiegazzate, ti luc• cicchio degli occhiali, dei calamai, delle penne sul tappeto verde. Da una p.i.rt.e in rondo, sola, una donna di settant'anni, un affagottamentu di stracci luridi e rappezzati su una mostruosità di corpo in– credibile; sopravi un volto che non esprimeva niente, che pareva perduto in una impossibilità dolorosa di pensare, in una incoscienza morta su cui guizuva di tanto in tanto, come !ilUI rang,, di un padule, un movimento, uno sforzo subito spento. L'accusata aveva raccolto sopra un campo, nelle siepi, in un giorno d'inverno, per un rascetto di sterpi. Il '1anneggiato parlava, accusava con una specie di rancura ostinata e cattiva, con una pre– c,sione meditata e ralsa di particolari; due testimoni, un ragazzo ed una donna, guardavano il presidente come un protettore, affermavano ad ogni domanda, si rivolgevano con una specie di paura e di osti-

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