La Critica politica - anno VI - n. 10 - ottobre 1926

366 LA CRlTICA POLITICA mano come fu una luce fisica vera e propria, apprensibile coi sensi e non solo con la mente o col cuore. I pastori la videro tanto bene che ebbero paura, e « certi mulattieri che andavano in Romagna si levarono suso, credendo che fosse levato il sole, e sellarono e caricarono le bestie loro; e camminando vidono il detto lume cessare, e levarsi il sole materiale ». Gabellare quella luce, veduta da tutti i pastori e da tutti i mulattieri di passaggio, per un interiore ardore dello spirito, è come sostenere che anche le stimate sono spirituali e metaforiche a guisa delle Piaghe del Rosmini, e spirituali la stella dei magi e la lux de coelo -che avvolse Paolo presso Damasco} e che è simbolico il fuoco dell'inferno o del purgatorio anche dopo la confutazione di padre Passaglia. Cotesto sarebbe simbolismo e modernismo, che spiega razionalmente tutto, dalla trinità alla transustanziazione e al bollore del sangue di san Gennaro. Altro che Bonaiuti ! Siamo a Filone e ai gnostici. Chi non sente il pericolo d'essere arguiti di modernismo e hegelianismo ? Il Swedenborg ha spiegato col sistema delle corrispondenze tutto il vecchio e il nuovo testamento ; ed è un eresiarca matricolato. Il Pascal cerca nell'antico testamento le figure del nuovo: ed è giansenista. Non resta che invocare il precedente del padre Bartoli con la sua Geografia trasportata al morale. Inutile cercare a chi appartenga il credo quia ab:;urdum, se ad Agostino o a Tertu~liano, quando è professato o presupposto da tutti i credenti. D'altronde, venendo alle strette, chi ci persuade che abbia maggiore probabilità di verità il ragionevole o l'assurdo ? VI. - I Fioretti, tarda compilazione, anzi traduzione, di racconti leggen- ·darii, restano come un notevole campione dei tanti libri frateschi del trecento, uno dei testi che fecero andare in visibilio il padre Cesari. Agli odierni sdilinquimenti pei Fioretti potremmo opporre il giudizio di Giulio Perticari, che sulle molte scritture di quel tempo, plebee non per la forma solamente ma per gli spiriti, innalzò l'opera contemporanea di Dante, in cui si raccolse, e non nelle leggende e nei fioretti e nei versi scempi di Jacopone, la lingua e l'anima del1' Italia. Il san Francesco del Pascoli è poesia, cioè creazione. Il poeta gentile cerne idealizza ammoderna ad uso delle persone ragionevoli dei nostri tempi. Diverso dalla figurazione poetica dei letterati raffinati è il san Francesco della storia e della leggenda ducentesca. Come racconta il Sismondi (Histoire des républiques italiennes, cap. Xlii) Innocenzo lii, per arrestare i progressi dell'eresia, chiamò due collaboratori in suo aiuto: l'uno, Francesco d'Assisi, doveva adoperare la dolcezza e l'esempio; l'altro, Domenico di Guzman, l'inquisizione e i supplizi. È ciò che Dante canta poeticamente e misticamente, « e veramente la Sibilla eritrea seguendo questi tempi profetizzò di questi due santi ordini (Francescani e ·Domenicani), dicendo che due stelle orirebbero illuminando il mondo ». Così racconta, soltanto un secolo dopo, il primo (in ragione di tempo) nostro storico, il grave Giovanni Villani, · il quale racconta altresì che papa Innocenzo « vide in visione il detto san Francesco sostenere la chiesa di Laterano in su i suoi omeri, siccome poi Biblioteca Gino Bianco

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