La Critica politica - anno VI - n. 10 - ottobre 1926

IL TRAGHETTO DI SAN FRANCESCO 365· =====================·===================== IV. - Chi .non sia digiuno di pedagogia ed anche solo chi serbi fior di senno e di senso comune comprende come libri simili posti nelle manì ai giovinetti possono riuscire fatali. O i giovinetti pigliano sul serio e credono le cose che ivi si trovano ammannite (e molti saranno inclinati a crederle perchè ammantate di ciò che debbono ritenere esservi di più serio, la religione), e diven-• tano. stupidi e dovranno compatire chi poi pretenda di insegnare loro le leggi impreteribili della natura e la matematica, se il colmo della sapienza è rinnegare la ragione e supplicare d'essere abietti, ciò ,che il Carducci qualificava empietà ; ovvero non credono e dubitano, come è facile solo eh' ei siano un po' svegli e non pecoroni e grulli del tutto, e in questo caso è un guaio non meno grave: il dubbio irriverente fa loro correre il rischio di diventar atei, miscredenti, materialisti o scettici nel peggiore senso della parola. Come si fa a dire ai ragazzi che le cose narrate nei Fioretti non sono se non tradizioni di popolo ignor~nte e ingenuo, alterate e trascinate di bocca in bocca? E con la credenza nei miracoli di san Francesco e di sant' Antonio ecco cadere per quelle animucce innocenti ogni fede ; ecco chiudersi ogni spiraglio verso l'ideale, il divino, lo eterno ; cioè ecco- un palpabile risultamento tutto contrario a quanto si proponevano coloro che introducono simili letture nella scuola popolare. E se i ragazzi intelligenti dovranno ufficialmente credere e laudare santo Francesco e i suoi miracoli, crederanno ufficialmente e lauderanno, e si assueferanno ipocriti. lo non so quale maggiore insidia a « l'anima semplicetta che sa nulla »· potrebbe essere tesa dal diavolo, se costui ancora si aggira per le contrade di Italia, come soleva ai tempi di san Francesco per far paura ai frati poco zelanti e alle femmine peccatrici. Quello che nei Fioretti e in simili scritture v'è di veramente divino e santo, ossia di umano più intimamente e sostanzialmente,. ciò che .vi è di democratico e nobilmente plebeo riesce, da cotesta spessa fran-- gia di sovrannaturale, coperto e interamente obliterato per gli adolescenti e per gli spiriti deboli, che· non possono ragionando andare al fondo. V. - Nè alcuno si illuda di dare una interpretazione morale e razionale agli episodi più strampalati, agli assurdi più goffi e massicci, ricorrendo insomma. a quel senso anagogico che l'Alighieri stesso ha autorizzato e suggerito per sollevare « il velame delli versi strani » • Non creda padre Pistelli di pigliare a gabbo impunemente sul Corriere (è per antonomasia il Corriere della sera), 8 maggio 1926, quei commendatori dei comitati francescani della verde Umbria. che proponevano di riprodurre coi fuochi del Bengala o le lampadine elettriche quel passo dei Fioretti dove si racconta come la notte delle Stimate « tutto il monte della Vernia parea che ardesse di fiamma risplendentissima, la quale risplendeva e illuminava tutti i monti e le valli d'intorno». Lo splendore del crudo sasso veduto, nei Fioretti, da tutto il Casentino, è per l'arguto padre Ermenegildo Pistelli « uno di quei miracoli di pura poesia che fanno tremare il cuore » , è « il fuoco d'amore per il quale il Santo di Cristo prese l'ultimo sigillo >. Adagio, Biagio. Basta tirare innanzi nella lettura dei Fioretti per toccar con Biblioteca Gino Bianco

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