La Critica politica - anno VI - n. 8-9 - ago.-set. 1926

320 LA CRITICA POLITICA steriori. I nostri ultimi cinquant'anni di vita politica e sociale, sono ormai penetrati dalla linfa inestinta della sua concezione, delle sue parole, della sua attività concreta. Per tutti i più occulti rivoli della conoscenza, per quasi misteriose derivazioni di pensiero, l'influenza del Fortunato affiora fin sulla penna dei più giovani cultori della sua dottrina, fin su quella dei suoi avversari, i quali, nonostante l'esteriore opposizione del linguaggio, non tardano a rivelare quali fondamentali effetti abbia avuto l'opera di Lui sulla loro formazione mentale. E si badi che di avversari - facili, oh! molto facili, la più parte - il Fortunato ne ha avuti quanti altri mai, fin da quando, giovane ancora, nell'età in cui l'uomo più tiene in conto l'opinione de) pubblico e la sollecita con ogni mezzo, per la realizzazione delle sue native ambizioni, si pose risolutamente contro l'imperante e leggero ottimismo al quale s'improntava la concezione dei più stimati ed osannati statisti e studiosi nei riguardi del Mezzogiorno, per enunciare la più cruda, la più chirurgica, la più impopolare delle teorie. Ma, in compenso, la più realistica e la più vera ! Fu così che il clinico più acuto, il chirurgo più preciso della inoltrata patologia meridionale fu chiamato la Cassai:idra della nostra... floridezza. Fu così che il diagnostico insigne, che avrebbe dovuto veder confluire intorno a sè tutti gli uomini probi e volenterosi, tutti coloro che non preponessero la propria individuale ascesa al benessere di tutti, si trovò quasi isolato, o confortato semplicemente dal più platonico e dal meno impegnativo dei consensi. FORTUNATO E IL PROBLEMA ITALIANO Nè questo atteggiamento egli ebbe neì soli riguardi del Mezzogiorno: alle illusioni di floridezza egli oppose la dimostrata miseria del nostro popolo : « Siamo poveri; e non volere accorgersene, sognando un'Italia ricca di forzieri e libera disponitrice di denaro, è colpa ... » « Ma severissima - egli aggiungeva in una lettera agli elettori del suo collegio - e inesorabile sarà la <!ondanna della storia se vorremo continuare a pascerci di illusioni, a gonfiarci di orgoglio, sognando, non si sa come nè perchè, grandezze e ricchezze». Agli entusiasmi politici oppose la necessità di una più accurata, più paziente, più diffusa propedeutica : « Abbiamo avuto, politicamente, troppa fiducia nei nostri entusiasmi, che non significavano nè volontà, nè esperienza ... Abbiamo, sopratutto, voluto progredir troppo in poco tempo, imitar troppo dagli altri in quello che non ancora rispondeva al nostro sviluppo storico e sociale ». Ali' illusione di una unità già saldata in tutte le sue connessure, già penetrata nella coscienza del popolo e da essa vissuta e materiata, egli, apostolo della nostra unità politica e di essa sostenitore fervente, opponeva la più esatta verità che sia stata concepita: essere stata la rivoluzione italiana « essenzialmente esclusivamente politica, conseguenza integrale di un avvenimento storico, non effetto di una trasformazione delle energie morali del diritto pubblico e privato, delle credenze, delle norme stesse della vita quotidiana ». Egli ha dunque, fra i pnm1, intuito la presenza di residui tuttora insoluti nel fatto del risorgimento Biblioteca Gino Bianco

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