La Critica politica - anno VI - n. 7 - luglio 1926

CULTURA E LOTTA POLITICA NEL SETTECENTO S.CILIANO 281 -successo presso la classe baronale, e, scrive il Palmieri, « forse il Di Napoli ne avrebbe pagato il fio se non fosse stato interessato in ciò tutto il baronaggio siciliano di cui fu l'idolo, e che volle mostrare la sua gratitudine erigendogli una :statua nel Palazzo Senatorio di Palermo» (1). Poichè aveva sostenuto i diritti·:del Parlamento nazionale, questo Di Napoli fu ritenuto « de patria deque tota Sicilia patritius henemeritissimus » : e si identificano così, al solito, diritti della Nazione e privilegi di una sola casta. Dunque, la coltura politica siciliana fu uno sviluppo del diritto privato feudale ; i privatisti traggono le loro conclusioni dai postulati del diritto pubblico : e dalle · conclusioni del diritto privato i patrizi traggono elementi per la loro lotta politica. Diritto privato e storia sono i fondamenti e i punti di partenza delle nuove elaborazioni ed azioni. Alla storia, i.nfatti, al diritto consuetudinario, i feudatari -erano indotti a fare appello in difesa dei loro diritti minacciati dall'implacabile -campagna dei Vicerè, che non tralasciavano occasione per umiliare o stroncare l'autorità baronale. Era una persecuzione vera e propria; ora, scrive il Di Blasi (2), « vedeasi recisa una feudale prerogativa, ora sposseduti da un acquisto illegale o anche dubbio fatto da' loro antenati, ora in pericolo di perdere offici comprati, appena poteasi mettere in campo il diritto di regalia, ed ora minacciati da leggi che facean vacillare le proprietà che essi credeano assicurate nelle loro famiglie... ». Nel 1788 il Caramanico emanava un'ordinanza che proibiva assolutamente ai baroni l'esercizio di qualunque diritto angarico che non derivasse espressamente dalla concessione dei feudi: Cosa potevano contrapporre, i baroni, a tale politica? Nient'altro, di meglio, che l'intangibilità delle leggi sicule, la forza del patrimonio giuridico locale, l'autonomia della costituzione siciliana; giovava ad essi ricordare come i vecchi statuti siciliani garantissero l'isola da ogni arbitrio legislativo, anche da parte dello stesso sovrano; giovava ad essi, insomma, approntarsi una coltura politica sulla base della storia locale. Ma il Re teneva duro; rispondeva secco: « sebbene sappia S. M. che la legislazione di questo Regno {Napoli) sia diversa da quella di Sicilia, e che non abbiano le leggi di Napoli a farsi valere costà quando in codesto Regno ve ne siano delle contrarie, nulla sia di meno però le sue sovrane disposizioni che portano il vantaggio e sollievo dei popoli, sono e saranno sempre a cuore della M. S., onde sarà sempre intenta a farle valere sì nell'uno che nell'altro dei suoi Regni in beneficio degli amati suoi popoli » (3). Dunque, l'arbitrio reale non rispetta più nemmeno le prerogative locali ; eppure son queste le uniche trincee ove può difendersi e battersi l'interesse feuda le siciliano. Tutto sarà perduto se anche queste trincee non serviranno più. E poichè le prerogative locali si reggono su lunghi secoli di storia ; ecco funzionare sul serio le Accademie, ecco svilupparsi studi, tendenti a rivalutare, a lumeggiare, a difendere il prezioso patrimonio di storia politica locale. Proprio - ( 1) P ALMlERI, Saggio storico-politicosulla Cast. del Regno dl Sicilia infino al I 8 16. (2) DI BLASI G. E., Storia cronologica, cit. (3) v. Real Dispaccio degli 8 no..,embre 17 88. Biblioteca Gino Bianco

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