La Critica politica - anno VI - n. 7 - luglio 1926

CULTURA E LOTTA POLITICA NEL SETTECENTO SICILIANO 279 ------------ Convinti che il Vicerè intendeva fiaccar la loro potenza, i baroni, scrive il Dimarzo, « per sostenere le loro prerogative facevano in qualsivoglia contesa valere l'autorità del nostro celebre giureconsulto Pietro De Gregorio, e precisamente quelli due trattati, in uno de' quali si ragiona De' giudizi delle cause feudali e nell'altro Della concessionedel feudo », sicchè il Vicerè, « onde togliere a' baroni un' arme atta a poterli difendere, ordinò con bando de' 23 aprile (1783) che si fossero pubblicamente bruciati dal boia, imponendo nello stesso tempo severe leggi contro chi avesse avuto ardire di citarli ne' giudizi feudali in sua difesa, ed inibendo a chicchessia la manutenzione degli stessi» (1). A titolo di contraltare, e a bilanciare le opere ostracizzate, Caracciolo ne pubblica altre di ufficio: egli stesso si fa autore di alcune amare « R;Jl.essioni » (2) sullo stato economico della Sicilia, mentre il suo consultore, Saverio Simonetti, polemizza coi baroni in tema di econon1ia politica e diritto costituzionale. Uno è il nodo delle dispute, ed è economico : l'assurda ripartizione dei donativi parlamentari (di quei « donativi » che Caracciolo avrebbe voluto si chiamassero piuttosto « contributi»), cioè delle tasse cui nobili e clero sistematicamente si sottraevano. Allorchè il Viceré si svela economista, appare opportuno ai nobili dimostrare come gli studi economici hanno già nell'isola dei cultori : ed ecco i principi di Trabia e di Pantelleria, il marchese Gianrizzo, il conte Donaudi, il marchese Spiriti occuparsi di economia (3). Tutti convengono sulla necessità di risollevare le sorti dell'isola, e di procedere a una più equa ripartizione delle tasse, ma i baroni che s'erano già affrettati a soffocare e affondare un piano di riforma in tal senso avanzato dal Sergio, non mostrano alcuna disposizione a far sacrifici. E poichè il Vicerè sta per le riforme, e a lasciarlo fare i donativi verrebbero disciplinati, ai baroni interessa limitare i poteri vicereali e conseguentemente sostenere i poteri del Parlamento. La rivalutazione dell'istituto parlamentare coincide appunto con tale impulso: i baroni comprendono che la loro esistenza è condizionata ali' esistenza dei vecchi statuti, da cui è sancito il divieto d'imporre tributi o altrimenti legiferare senza la consultazione parlamentare. E' contro codesto atteggiamento baronale che Simonetti polemizza, e sono argomentazioni, le sue, piene di buon senso e di cultura storica (4). Premesso che la ripartizione dei tributi è in Sicilia, ingiustissima, andandone esenti i ceti ricchi, Simonetti si maraviglia che i baroni cerchino di sottrarsi {il che non succede in Napoli) ali' obbligo di pagare i tributi, obbligo che proviene ai baroni in sostituzione del servizio militare, che essi non prestano al Re. S'invocano dai baroni e dai prelati i capitoli del Regno e le consuetu- (1) v• .J/ppendice alla Storia del Regno di Sicilia del Di Blasi dell'anno I 774. (2) CARACCIOLO March. DOM., Rijfl.essioni su l'economia e l'estrazione 'de' frumenti della Sicilia, fatte in occasione di carestia, Palermo, 1785. (3) Principe DI TRABIA, Sulla decadenza dell'agricoltura in Sicilia ed il modo di rimediarvi, Palermo, 1786 - Conte DONAUDI DELLE MALLERE, Saggio di economiact1'ile, Palermo, 1787 - March. DOM. M. GIARRIZZO, Prospetto de' saggi politici ed economie{ su la pubblica e pri1'ata felicità della Sicilia, Palermo, 1788, ecc . (4) Voto di rcgal ordine profferito dal Caporuota e Cqnsultore 'D. Saverio Simonetti nel Supremo Consiglio di Finanze per equilibrare il peso de' donativi nel Regno di Sicilia. Biblioteca Gino Bianco

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