La Critica politica - anno VI - n. 7 - luglio 1926

278 LA CRITICA POLITIC,\ culiari che la differenzieranno dalla coltura continentale. È uno spirito aperto~ Caracciolo, un « intellettuale », che ha fatto il diplomatico in Francia e in Inghilterra, ha bazzicato gli enciclopedisti e ha il fiuto dei tempi nuovi. Venuto in Sicilia, e trovata una rovinosa situazione economico-sociale, comprende subito che occorre nell'interesse del sovrano ventilare, trasformare l'ambiente e andare senz'altro incontro alla massa, sollevarla dalle angherie baronali. In sostanza, egli sogna un assolutismo illuminato: aver mani libere, cioè all'occorrenza scavalcare . il Parlamento, cui d'altronde il popolo è indifferente, e restaurare l'equilibrio economico, facendo subire l'onere delle tassazioni su tutte le classi, proporzionalmente. Quella dei «donativi», che pesano sul popolo più che sui feudatari, è un'ingiustizia e una rovina insieme : Caracciolo vorrebbe rimediarvi d'ufficio. È naturale che tali intenzioni gli accattivassero immediatamente l'ostilità dei baroni, i quali, vedendo minacciati i loro privilegi, cercarono di opporsi a che il potere esecutivo attuasse le tass~zioni senza il placito del Parlamento in cui essi avevano voce e forza. Una lotta s'ingaggia, quindi, tra vicerè e baroni : lotta in cui l'apparenza delle cose non ne risponde alla sostanza. Infatti, se i baroni si erigono a difensori del Parlamento, è in fondo per la difesa delle loro sorti che combattono, mentre il Vicerè, dipinto quale tiranno e conculcatore di libertà, lavora una volta tanto nell'interesse del popolo. Allorchè il Vicerè fa intendere che se non si farà a suo modo egli non esiterà a scavalcare la consultazione parlamentare, i baroni gridano allo scandalo, alla violazione degli statuti, alla lesa maestà della Nazione. E' da questo momento che si sviluppa la lotta fra Parlamento e Governo, lotta che si volle fare apparire come difesa di una Nazione minacciata nelle sue libertà contro l'arbitrio regio e invece è battaglia di una casta per la sua vita: battaglia che nel '12 finirà, pei baroni, con la vittoria sul terreno formale, politico e con la sconfitta su quelio sostanziale, economico: cioè con la decretazione delle riforme per voto parlamentare. Il discorso fatto dal Caracciolo al Parlamento del 1783 e a quelli successivi dànno lo spunto alla formazione di un pensiero politico nell 'Ìsola. · Caracciolo, scrive lo Scordia, « era solito ripetere tuttodì eh' era suo volere distrurre tutte le facoltà e tutti i privilegi che suddividendo nei particolari la potestà ~secutiva, snervavano il Governo e rendealo inetto a potere operare con vigore e coli sagacità, la potestà esecutiva esser mestiero risiedere in esso; la Nazione altro diritto non avere che quello delle imposte, e poi inizio alle riformazioni, e in parte la facoltà legislativa e consultiva in essa stare » ( 1). Era intenzione del Cara~ciolo procedere immediatamente e sul serio al rinnovamento della società siciliana, indebolendo lo smisurato potere dei baroni-: e le sue prime ordinanze destando l'allarme in seno alla classe baronale, contribuirono indubbiamente a impegnare l'attenzione di questa sul terreno del diritto politico. Ecco, dunque i baroni correre ai manuali ove si sanciscono le loro prerogative,• eccoli dispu- . tare di diritto feudale e costituzionale. (1) v. Considerazioni sulla storia di Sicilia dal 1532 al 1789 di PIETRO LANZA principe DI SCORDIA, pagg. 556-7. Biblioteca Gino Bianco

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