La Critica politica - anno VI - n. 6 - giugno 1926

252 LA CRITICA POLITICA vago come tutti i professori delle medie, ed ha un fondo sodo di cultura e di temperamento umanistici, riflette in vero un mondo e un•anima che si distendono fra la bassa del Po, gli Appennini e il confine d'Abruzzo. Egli non riesce a toscaneggiare nemmeno quando si sforza : quando i suoi personaggi toscaneggiano, lo fanno in un certo modo che nessun toscano riconoscerebbe per suo. Egli possiede a meraviglia la buona vecchia lingua della tradizione letteraria Petroniana e romagnola, ma se proprio volete sapere come si discorre da questa parte dell'Appennino, dovete allora prendervi ad esempio al Papini, il Cicognani, il Giuliotti, il Paolieri, il Tozzi, e, per la Lucchesia, quei geniali e talora disperanti rompicapo del Viani, o una novella di Dante Dini. Nè di tutti quest•ultimi potr:te poi dire che siano essi finalmente i tanto cercati italian,-: essi sono toscani, toscani e niente altro I » • « ••• Che non m'importa se un autore scrive un italiano genericamente buono, e mette la scena dei suoi romanzi e tragedie in una qualunque città d'Italia, quando poi l'animo e il temperamento di Salvatore Gotta, di Gallarati-Scotti, di Virgilio Brocchi, dello stesso Bontempelli son esclusivamente transpadani, di Antonio Baldini romani, di Rosso di San Secondo meridionali. Dove manca una netta per - sonalità regionale, manca, insieme con quella, una qualsiasi personalità artistica•. Questo per il presente. Per il passato - dice il Pellizzi - « varrebbe pur la pena, in altro luogo, mettere in chiaro come le luci più vive nelle lettere nostre fra il Tasso e il Parini (ad ~ccezione di alcune figure riassuntive dei tempi e degli umori di tutta la classe dominante, co- , me il Marino, il Metastasio e altri) sorgano da ispirazione regionale e locale » • Nè, secondo, il· Pellizzi, c•è da dolersi che non esista una vera e propria letteratura UaUana. Le considerazioni che egli fa a tale riguardo hanno anche un indiscutibile valore politico. Egli dice: e Se ogni cittadino delle terre d'oltralpe e di oltremare può dire di avere una patria, noi italiani diciamo di averne una e BibliotecaGino Bianco parecchie. Sopratutto parecchie I L'Italia letteraria non è una sintesi, è una confederazione, tenuta insieme dalla tradizione di alcuni grandissimi letterati i quali seppero trarre dal molteplice l'uno, i quali seppero esprimere una sintesi ,-taUana e, perciò stesso universale ». E più oltre, concludendo : « L •Italia è una molteplicità : è un vortice di organismi vivi e pulsanti, ognuno vivo di se e ben saturo dei suoi propri valori: la sintesi di questa pluralità non si potrà ottenere per riduzione ma semmai per inclusione; nella sint~i tutti i componenti dovranno ritrovarsi necessari e operanti » • Se non sapessimo di recargli dispiacere, saremmo tentati di gridare alr autore di queste conclusioni : Bravo Pellizzi I IL CONGRESSO DIALEIT ALE. La « piccola patria l) , il paese dove ciascuno di noi è nato, e che ciascuno porta nell'animo suo, ha avuto pure quesf anno la sua celebrazione nel e Congresso dei dialetti • , tenutosi a Torino nelle giornate del 21, 22 e 23 maggio. Se la letteratura italiana è regionale nelle sue espressioni e manifestazioni, le regioni han .. no tutte un linguaggio loro nel quale la loro originalità artistica ha saputo molto spesso manifestarsi in modo compiuto : il dialetto. Il quale dialetto non è poi una deviazione od una degenerazione dell'idioma nazionale, ma è il terreno stesso nel quale germoglia e sboccia il fiore della nostra lingua. Vivo, frizzante. ricco, d'immagini e d'imprevisto, anche se incompleto e incomposto, non imprigionato in regole di grammatica, o di sintesi, il dialetto ha dato alla letteratura, in ogni tempo, vere opere d'arte. Trilussa, Pascarella, Testoni, Salvatore di Giacomo, Barbarani, i poeti dialettali, sono incontestabilmente tra i nostri maggiori poeti, . ad ogni modo tra i più fortunati. Il Congresso dialettale di Torino è il secondo del genere. Il primo si tenne a Milano ranno scorso e noi ne riferimmo su questa rivista. Fu la « famiglia Meneghina > che ruppe il ghiaccio, che per la prima vide quanto di buono. di utile sarebbe sortito dalla valorizza-

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