La Critica politica - anno VI - n. 6 - giugno 1926

ORIENTAMENTI CONSERVATORI E DEPRESSIONE INDUSTRIALE 233 tratta quindi qui di comprendere quali siano le cause che hanno portato al lo squilibrio in questione. I Non le cause remote, generali e che, più o meno, operano in tutte le condizioni. È cosa nota che l'attività industriale procede a ondate: i periodi di slancio si alternano con quelli di contrazione. Essi sono come le due p areti di un mantice. e sono entrambe necessarie, in una economia individualistica , perchè il fatto della produzione e della circolazione si determini. La storia de lla crisi industriale è, infatti, una storia ormai due volte secolare. D'altronde l'economia postbellica di tutti i paesi d'Europa - della Russia solo si hanno poc he notizie ; e sarebbero proprio le più interessanti : perchè in quel paese non vige una . economia propriamente individualistica - ci presenta, poco o molto, l o stesso aspetto ciclico. E neanche le cause troppo vicine, immediate, aderenti al fatto stesso della crisi, e che, in un certo ~enso, vi ineriscono. La politica monetaria, ossia l'allargarsi e il restringersi della circolazione, ha, certo, un rileva ntissimo peso, e, anzi, in fin dei conti, è decisiva. Ma essa però, è alla mercè, o quasi, degli stessi ceti industriali dominanti, che sono anche quelli politicamen te predominanti. E non può quindi essere presa, essa che è la determinata, co me una delle cagioni determinanti di quel fatto complesso, di cui è essa stessa un aspetto. Lo stesso si dica della politica creditizia, tributaria, bancaria, dogana le, ecc. ecc. Anche tutte queste attività sono, in buona parte, regolate da quei gruppi produttori, che poi vengono a subire la crisi. Non è pertanto possibile imputar loro di essere la causa dei malanni venuti poi che ad un patto: di dire , cioè, che tutte quelle diverse politiche furono viziate dall' « errore » • Ma questa nozione di «errore» è, in economia, una nozione astratta e sradicata dalle forze collettive reali che agiscono, e che, come tutte le forze collettive, opera no con larghe dosi di irrazionalità. E qui tocchiamo il punto. ~Le cause dell a crisi. quelle almeno che è qui utile investigare, si trovano in una sfera di co se, che non è razionale, calcolata e utilitaria in senso stretto. Esse sono piutto sto, di natura irrazionale, impulsiva, volontaria, e operanti alla cima. Sono stati d 'animo generiche aspettative del futuro, tensione del volere ecc. ecc. dei gruppi sociali che comandano la produzione. È facile capire come queste disposizioni dello spirito di una intera classe siano strettamente subordinate alla situazione politica generale. Ora il fa scismo sulla base della sicurezza che ha dato alle classi possidenti e del din amismo propugnato in tutti i campi, ha fortemente inHuito sui ceti produttori. In questo senso, e sopratutto in questo senso, esso non ha tutti i torti di ritenersi un moto, o, almeno, un impulso rivoluzionario. Il successo politico delle classi lav oratrici aveva determinato quella energica propulsione verso il futuro, che si· chiamò massimalismo. Se una più solida vittoria avesse arriso alle classi operaie, molto probabilmente ci avrebbero mostrato anch'esse (naturalmente sulle loro proprie direttive : e cioè a incremento dei prodotti ·di consumo popolare) un grande slancio della produzione. L'industrialismo ad oltranza, praticato dalla nos tra borghesia respirante nell'atmosfera fascista, può essere definito come il suo massi- • Biblioteca Gino Bianco

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