La Critica politica - anno VI - n. 4 - aprile 1926

142 LA CRITICA POLITICA ====-=--=---=---=---=---=---=---=---=---=--=----=---=---=---=---=---=---=---=---=---=--~- _ _-_ - - -- -- - della legge, la sicurezza delle persone e delle cose, il rispetto e la tutela ' del loro diritto e della loro libertà, la tranquillità, l'ordine insomma. E la sola protezione 'che per essi valga veramente qualche cosa. Lo Stato si vedrebbe riportato così, proprio per virtù dei rurali, al suo ufficio essen- ' ziale: quello appunto assegnatogli dai teorici del liberalismo. E forse questo che temono i pratici del liberalismo? Si potrebbe supporlo. Tutti gli elementi che possediamo sulla loro psicologia, sulle loro abitudini, sulle loro tendenze servono ad escludere che il prevalere dei rurali possa accompagnarsi ad una trasformazione delle istituzioni politiche in senso autoritario, in una limitazione di libertà e persino in un aggravarsi di insolidarietà sociali. Di solito la libertà soffre maggiormente quanto più vivi sono i contrasti sociali. Tali elementi essendo comuni ai rurali di ogni paese, è a supporre che debbano dovunque agire, su per giù, allo stesso modo. Se gl' interessi dei rurali non sono destinati a conciliarsi troppo con lo statismo, occorre aggiu.ngere che indipendentemente dagli interessi i rurali non hanno nessuna disposizione ad intenderlo. La loro visuale è necessariamente limitata : vede il càmpo, abbraccia il Comune, non arriva ad abbracciare lo Stato. Lo Stato è per essi il Governo e si sono abituati a vederlo e a sentirlo unicamente nei sacrifici che loro impone, con le imposte specialmente. Ma anche se lo Stato avesse fatto nel passato una politica più consona al loro interesse, non perciò l'idea dello Stato moderno si sarebbe nei rurali precisata meglio. Ciò per il genere della loro attività che li ha abituati a cercare in tutte le cose il concreto, ciò che si vede e si può toccare con mano. Nella loro mente le idee astratte non entrano. Ecco perchè le esperienze pratiche hanno sulla gente della campagna una efficacia che non hanno le teorie. Invece i rurali sentono molto il Comune. Lo sentono perchè lo vedono, perchè è sotto i loro occhi. Lo sentono anche quando restano esclusi dalla sua amministrazione. Le sommosse dei contadini meridionali sono andate sempre a finire contro la sede del Comune e ha rappresentato, insieme, l'obiettivo dei loro odii di classe angariata e la loro aspirazione maggiore. L'interessamento che i rurali prendono alla vita locale è enorme. Chi ha preso contatto con la campagna lo sa. Nulla di ciò che sul luogo si fa sfugge alla loro attenzione, al loro commento, al loro controllo. Oltre la famiglia, il contadino ama il proprio Comune. Per quanto sia grande il suo desiderio di diventare proprietario, di rendersi libero, indipendente, di la-vorare sul suo, tale desiderio si accompagna sempre all'altra aspirazione: di divenir proprietario nel paese natio. E l'amore al proprio paese è più forte del desiderio stesso della proprietà. Biblioteca Gino Bianco

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