La Critica politica - anno VI - n. 4 - aprile 1926

.. . .. ··LA CRITICA PoLIT'i.cA · RIVISTA MENSILE ANNO VI APRILE 1926 FASC. 4 I rurali e lo Stato Le aspirazioni e le esigenze dei rurali in Francia avanti la Rivoluzione erano - secondo il Tocqueville {1) - nel ~enso delle autonomie locali, di un largo decentramento politico e amministrativo. Il concentramento che gli uomini dell '89 ereditarono dall'antico regime ed ebbero il torto di conservare, invece le sacrificò; ma uccise anche lo spirito· della Rivoluzione. La libertà non fu che un nome. Gli abusi si riprodussero, i privilegi ed i sistemi distrutti si ricostruiscono più solidamente ancora che nel passato, la città si sovrappose alla campagna, e la democrazia non si realizzò nello Stato. Il Tocqueville ritiene che alla esistenza di una solida democrazia non sia affatto indifferente il prevalere nello Stato degli interessi rurali. I libelli di Paolo Luigi Courier hanno, durante la Restaurazione, costituito_la più vivace e vigorosa protesta contro il nuovo dispotismo regio. Ebbene, Courier, il vignaiuolo Courier come egli amava firmare, scriveva in nome dei contadini oppressi ed angariati, privati di ogni libertà e di og1_1i diritto. Che le esigenze e le aspirazioni dei rurali fossero nel senso delle autonomie e della libertà fu anche l'opinione di Proudho~. Il socialismo di questo scrittore, a differenza di quello di Marx, è un socialismo libertario, solidarista, che tiene specialmente conto della realtà ruralè, che politicamente si pone contro l'unitarismo statale, per la sovranità dei Comuni e per il federalismo. ' E possibile ritenere che il Tocqueville, il Courier, il Proudhon avvertissero abbastanza esattamente le tendenze dei rurali della loro epoca. Guardando ora le manifestazioni che se ne hanno nell'epoca nostra è pos- ' sibile altresì vedere che quelle tendènze non sono di fatto mutate. E anzi sintomatico che a tanta distanza di tempo, e persino di luogo, appena in Europa incomincia a profilarsi un movimento politico dei rurali, le sue richieste possano trovarsi già nettamente formulate negli scritti di T ocque- · ville e di Proudhon. Nè è a pensare che la ispirazipne dei due scrittori ( 1) Cfr. A. DE TOCQUEVILLE : L'antico regime e la Rivoluzione. ed. it. ,. ·Biblioteca Gino Bianco

138 LA CRITICA POLITICA possa avervi in qualche modo contribuito. L'avversione contro la politica di accentramento statale è comune ai rurali di ogni paese. Per ciò i partiti che hanno voluto averli con loro hanno ovunque dovuto fare largo posto nei loro programmi ed affermazioni contrarie al protezionismo, allo statalismo, al burocratismo e a richieste di decentramento, di autonomie ' amministrative e di alleggerimento fiscale. E in considerazione delle esigenze e delle aspirazioni dei contadini che in Italia il pa1tito popolare compilò il suo programma. Dove poi i rurali arrivano a costituirsi in par· tito autonomo tali affermazioni e richieste si fanno chiare, precise, pregiudiziali. Radic non sarà il modello della coerenza politica, ma le richieste del partito dei contadini croati non hanno subìto mutamenti : sono restate ' anticentraliste e federative. E inoltre un postulato comune ai partiti. agrari e di contadini dei paesi balcanici la riorganizzazione politica della penisola in senso federale. , Sappiamo, insomma, per molti elementi di prova dove i rurali vogliono andare. Per quanto nella valutazione di tali elementi si voglia essere assai cauti, non è comunque possibile negare che le loro tendenze politiche si trovino in contrasto con la tendenza dello Stato moderno a crescere, a svilupparsi, a concentrare e a moltiplicare i suoi poteri. Se è in considerazione di. ciò che si è detto · che i rurali costituiscono un pericolo di rea· zione non si è detto nulla di meno vero. Lo Stato troverà nei rurali un ostacolo al suo ulteriore accrescimento. pressione esso debba ritornare indietro compiti, i propri uffici, il numero dei ( stessa struttura. ' E così probabile che sotto la loro sui suoi passi, limitare i propri suoi impiegati, modificare la sua Chi è abituato a misurare il1 progresso dallo sviluppo preso dall' orga· nismo statale ha ogni ragione di guardare con preoccupazione l'ingresso dei rurali nella vita pubblica. Resta però sempre a vedere se il progresso possa essere misurato sulle proporzioni prese dall'organismo statale. Ma le preoc· cupazioni dei liberali su che cosa si fondano? In che il liberalismo - inteso come libertà dei cittadini a manifestare le proprie opinioni e come possibilità di farle valere, come esercizio di diritti non limitato od ostacolato, ma garantito - ha a temere dei rurali? Non credo che si possa stabilire la seguente equazione: statalismo= liberalismo. C'è piuttosto da domandare se in nome del liberalismo non parlino interessi che da un sistema di effettiva libertà avrebbero tutto da temere. Esiste un solo paese in Europa o-ye forse (e dico forse perchè è tutt'altro che certo) gli interessi dei rurali potrebbero riuscire nocivi ad una politica schiettamente liberale: l'Inghilterra. Ma si tratta di una eccezione Biblioteca Gino Bianco

I RURALI E LO STATO 139 che trova la sua spiegazione. L'Inghilterra è la sola nazione ad economia quasi esclusivamente industriale. Fino a poco fa conveniva economicamente all'Inghilterra trarre dall'estero e dalle colonie i prodotti agricoli necessari all'esistenza della sua popolazione e dare il massimo sviluppo alle sue attività industriali, assai favorite da condizioni naturali. Per ciò l'agricoltura, un tempo fiorente, vi venne abbandonata quasi del tutto; per ciò.s'impose allo. Stato una politica cli libertà economica nei riguardi dell'estero e dello interno. Gli interessi industriali appena si accorsero di essere gli interessi del maggior numero, si ·accorsero pure di non aver bisogno di privilegi o di chiedere protezioni e che lo Stato concedendone finiva con lo stabilire inevitabilmente delle ingiustizie le quali poi si convertivano in danno e in ostacolo alla attività di ciascuno, e che la migliore protezione era così per essi quella di non averne nessuna. La politica inglese seguì, durante quasi un secolo, tale linea di condotta. Adesso l'aumentato costo dei prodotti agricoli e la minore disponibilità di essi di fronte al consumo vi sta facendo risorgere la convenienza di rimettere in coltivazione la terra. La difficoltà dei rifornimenti in caso di guerra - resasi in particolar modo evidente durante l'ultimo conflitto mondiale nonostante la conservata supremazia sui mari - contribuisce a dare in lngh~lterra al problema dell'agricoltura un particolare carattere politico. Trattandosi di riprendere la coltivazione là dové fu da gran tempo abbandonata e quindi d'incoraggiare i capitali a dirigersi per questa via, è naturale che la· ripresa dell'agricoltura si accompagni a proposte e a richieste di carattere protezionista. C'è poi il fatto che le condizioni di superiorità dell'industria inglese nel mercato mondiale stanno declinando e che alcune forme d'industria debbono preoccuparsi di trovare all'interno quelle condizion.i favorevoli che ali' estero non trovano più. Nell'economia inglese si verifica una crisi che è pure un fenomeno di decadimento economico. Si sono così determinate colà correnti protezioniste le quali dalla ripresa delle attività agricole, e dalla necessità politica di favorirle, potrebbero trovarsi rafforzate e giustificate. Si capiscono, quindi, le preoccupazioni di Lloyd George. Ma fuori dell'lnghi'Iterra quelle preoccupazioni non hanno ragione di essere e non si giustificano. Il liberalismo inglese è stato ed è liberismo, anzitutto. E le istituzioni parlamentari inglesi hanno solo perciò resistito e resistono alla prova, e il paese se ne mostra soddisfatto: in virtù appunto della politica economica dello Stato, che ha limitato l'attività legislativa a poch_i grandi e generali interessi, che ha evitato lo statalismo e impedito il determinarsi del contrasto degli interessi particolari attorno allo Stato, che ha consentito I a tutte le attività di esercitarsi, di affermarsi senza bisogno di speciali tuBiblioteca Gino Bianco •

140 LA CRITICA POLITICA ==============.:::::::.:::::::.::::::.::::::.::::::..:::-_·==-----_-=------_----=-=-===--=-= tele. Precisamente l'opposto di quello che si è verificato nel resto di Europa. Non è per un caso che la crisi del sistema parlamentare ha coinciso in tutti i paesi con lo sviluppo dello statalismo : tra l'uno e l'altra i rapporti sono precisamente di causa ad effetto. La politica protezionista fu dape1tytto un' acceleratrice meravigliosa dello statalismo. Le istituzioni parlamentari vennero, sì, copiate nelle altre nazioni più o meno bene, male quasi sempre, su quelle dell'Inghilterra, con una differenza però : che in Inghilterra prevalevano già politicamente gli interessi del maggior numero i quali non avrebbero mai consentito privilegi o particolarismi economici a vantaggio di minoranze; fuori dell'Inghilten·a il maggior numero non contava, nè pensava di farsi valere e le istituzioni parlamentari, create da una minoranza, dovevano necessariamente servire ad una minoranza. . In Inghilterra gli interessi del maggior numero erano interessi industriali; nel resto d'Europa erano e restano, invece, interessi agrari. L'industrialismo, che in Inghilterra è necessariamente liberista e quindi strumento di una politica liberale, è fuori necessariamente protezionista e intervenzionista. Gli agrari fuori dell'Inghilterra non hanno, invece, nessun interesse a una politica protezionista. Il dazio sul grano in Italia interessava gli agricoltori, ma solo in quanto rappresentava un piccolo corrispettivo dei dazi ben maggiori che l'industria faceva gravare sull'agricoltura. S'è poi visto che al loro mantenimento l'agricoltura non era affatto interessata. Non so come e in base a che molti scrittori politici possano da noi riporre nelle categorie industriali - operaie e capitaliste - ogni loro speranza di rinascita del liberalismo. L'esempio inglese a tale riguardo, e per le ragioni già d~tte, non conta proprio niente : perchè contasse bisognerebbe che si ripetessero identiche condizioni economiche naturali. Ciò non può essere. Aver dimenticato tale circostanza ha fatto sì che l'esempio inglese fosse in Europa causa, in politica come in economia, di grossi spropositi. Noi abbiamo esempi molto più probanti : il nostro e dei paesi a noi vicini. L'organismo statale si è sempre e dovunque plasmato secondo gli interessi dei gruppi politicamente dominanti. La politica degli Stati continentali di Europa - sola eccezione, forse, la Svizzera - è stata una politica di minoranze: siano pure la parte più evoluta, più capace, più attiva della pop@lazione, ma minoranze. Molto forti i gruppi industriali e plutocratici, forti gli speculatori e, negli ultimi tempi, alcune categorie operaie organizzate. Era inevitabile che queste minoranze agissero in modo di trarre ciascuna dalla propria attività politica particolari vantaggi lasciando ricaderne il costo sulla maggioranza assente ( 1). T aie coincidenza di azione ( 1) Il fenomeno dello statalismo, nelle sue forme e nei suoi aspetti più diversi, non ha altra causa diretta, per quanto mascherata spesso da finalità nazionali. sociali, o umanitarie. Biblioteca Gino Bianco

• .. I RURALI E LO STATO 141 era facilitata dalla ristretta sfera di attività (l'attività industriale) in cui gli interessi di quelle minoranze, pur non essendo interamente comuni e anzi alle volte tra loro contrastanti, si trovavano compresi. Ma una maggioranza politicamente dominante non potrebbe agire nello stesso modo. Non vi avrebbe interesse e non ne avrebbe la possibilità. Finchè si tratta .di distribuire su molti il peso dei benefici che dovranno ripartirsi tra pochi la cosa non si presenta difficile : le difficoltà sorgono quando i pochi incominciano a diventare parecchi e sono troppi quelli che premono per en- , ' trare a parte dei benefici e dei privilegi. E appunto ciò che si sta verificando ed è la ragione della crisi politica in cui versano molti Stati. Ma · la difficoltà diverrebbe impossibilità assoluta quando moltissimi volessero essere i privilegiati e il peso dei privilegi dovesse cadere solo su pochi. Ecco perchè, senza pretendere a profeti, limitandoci solo a quel che, sulla base dei fatti, a _noi è dato vedere e prevedere, è possibile affermare che il prevalere. degli interessi rurali nella vita politica avrà_ come inevitabile conseguenza un indebolimento della statalismo nelle sue varie forme. Il dissidio storico tra campagna e città è il dissidio tra una maggioranza politicamente dominata e una minoranza dominatrice : nel Comune prima, poi nello Stato. Il passaggio di posizione della maggioranza da dominata in dominatrice non può non determinare nell'organismo politico un mutamento di attribuzioni e di funzioni, e quindi anche di organi. La maggioranza non ha nessuna .ragione di chiedere allo Stato quel che doveva chiedergli una minoranza. Può avvenire, in un primo momento - e precisamente nel periodo della sua ascensione da dominata a dominatrice - che essa pretenda per sè alcuni di quei favori e di quei privilegi già riservati alla minoranza ( 1). Ma successivamente essa vorrà liberarsi del peso non indifferente dei privilegi che· la minoranza già dominatrice aveva caricato sulle sue spalle. Sono i gravami fiscali che sopratutto l' infastidiscono, nè potrà liberarsene scaricandoli su altre spalle. Si accorgerà allora che molte forme di intervenzionismo statale, oltre ad essere assai dispendiose, non le servono. E sopratutto per ciò, perchè non servono, quelle forme cadranno. I rurali avranno pur tuttavia qualche cosa da chiedere e da ottenere. Il loro .interesse a dominare nello Stato non è solo negativo. V' è pure una protezione della quale hanno bisogno ~ ed è la protezione ( 1) Appunto ora in Italia nella politica del fascismo si nota una spiccata preoccupazione di andare incontro, con speciali provvidenze ed interventi di Stato, alle esigenze dell'agricoltura. È impossibile non vedere in ciò un risultato, più o meno indiretto, della nuova coscienza politica che va mat1:1randonella campagna e che Mussolini evidentemente ha avvertito. Biblioteca Gino Bianco

142 LA CRITICA POLITICA ====-=--=---=---=---=---=---=---=---=---=--=----=---=---=---=---=---=---=---=---=---=--~- _ _-_ - - -- -- - della legge, la sicurezza delle persone e delle cose, il rispetto e la tutela ' del loro diritto e della loro libertà, la tranquillità, l'ordine insomma. E la sola protezione 'che per essi valga veramente qualche cosa. Lo Stato si vedrebbe riportato così, proprio per virtù dei rurali, al suo ufficio essen- ' ziale: quello appunto assegnatogli dai teorici del liberalismo. E forse questo che temono i pratici del liberalismo? Si potrebbe supporlo. Tutti gli elementi che possediamo sulla loro psicologia, sulle loro abitudini, sulle loro tendenze servono ad escludere che il prevalere dei rurali possa accompagnarsi ad una trasformazione delle istituzioni politiche in senso autoritario, in una limitazione di libertà e persino in un aggravarsi di insolidarietà sociali. Di solito la libertà soffre maggiormente quanto più vivi sono i contrasti sociali. Tali elementi essendo comuni ai rurali di ogni paese, è a supporre che debbano dovunque agire, su per giù, allo stesso modo. Se gl' interessi dei rurali non sono destinati a conciliarsi troppo con lo statismo, occorre aggiu.ngere che indipendentemente dagli interessi i rurali non hanno nessuna disposizione ad intenderlo. La loro visuale è necessariamente limitata : vede il càmpo, abbraccia il Comune, non arriva ad abbracciare lo Stato. Lo Stato è per essi il Governo e si sono abituati a vederlo e a sentirlo unicamente nei sacrifici che loro impone, con le imposte specialmente. Ma anche se lo Stato avesse fatto nel passato una politica più consona al loro interesse, non perciò l'idea dello Stato moderno si sarebbe nei rurali precisata meglio. Ciò per il genere della loro attività che li ha abituati a cercare in tutte le cose il concreto, ciò che si vede e si può toccare con mano. Nella loro mente le idee astratte non entrano. Ecco perchè le esperienze pratiche hanno sulla gente della campagna una efficacia che non hanno le teorie. Invece i rurali sentono molto il Comune. Lo sentono perchè lo vedono, perchè è sotto i loro occhi. Lo sentono anche quando restano esclusi dalla sua amministrazione. Le sommosse dei contadini meridionali sono andate sempre a finire contro la sede del Comune e ha rappresentato, insieme, l'obiettivo dei loro odii di classe angariata e la loro aspirazione maggiore. L'interessamento che i rurali prendono alla vita locale è enorme. Chi ha preso contatto con la campagna lo sa. Nulla di ciò che sul luogo si fa sfugge alla loro attenzione, al loro commento, al loro controllo. Oltre la famiglia, il contadino ama il proprio Comune. Per quanto sia grande il suo desiderio di diventare proprietario, di rendersi libero, indipendente, di la-vorare sul suo, tale desiderio si accompagna sempre all'altra aspirazione: di divenir proprietario nel paese natio. E l'amore al proprio paese è più forte del desiderio stesso della proprietà. Biblioteca Gino Bianco

" I RURALI E LO STATO 143 ..Il contadino è calcolatore, economizza su tutto, bada al centesimo, per due palmi di terra è capace di impiantar lite col proprio vicino, ma la terra del suo Comune," quando può acquistarla, non ha prezzo per lui ( 1). Avrà visto e lavorato altre terre migliori, più redditizie, saprà dove potrebbe averne a migliore mercato; non importa, egli cercherà e vorrà acquistare i la terra del suo paese ! E non si dica che in questo suo amore per il ' paese natio il sentimento di patria si disperda o si annulli. .E anzi il solo modo in cui si estrinseca e vive di vita perenne, inestinguibile. Prendiamo un fenomeno nazionale davvero grandioso : la nostra emigrazione. Si tratta, ogni anno, di qualche cosa come mezzo milione di uomini. Poveri contadini, analfabeti molto spesso, costretti ad emigrare solo dalle dure necessità della vita, che non hanno patria perchè della patria non sanno e perchè nessuno ha loro seriamente imparato a sapere cosa sia. Eppure questi uomini respinti oltre l'oceano partono per ritornare. Si sottoporranno a fatiche durissime, vivranno male per anni, ma per ritornare. E r.itorneranno ricchi di esperienza, provvisti di sudati risparmi, alfine soddisfatti. Cosa li fa ritornare? Cosa è, dunque, che li ha tenuti legati indissolubilmente alla patria se non l'affetto al luogo dove sono nati e l'attaccamento a tutto ciò che vi hanno lasciato, ricordi, simpatie, nostalgie? Togliete di mezzo quel1' affetto, quelle ragioni di attaccamento e... la patria non c'è quasi più. Debole legame, si dirà. E invece, è il solo legame che non si spezza, che resiste a tutte le prove. Una ragione degli ostacoli che dagli Stati Uniti si pongono alla immigrazione italiana e delle preoccupazioni che essa desta, è precisamente che questi italiani, rurali quasi tutti, non si lasciano assimi· lare, o almeno non si lasciano assimilare così facilmente come quelli di altre nazionalità ; resistono, restano italiani e cioè del loro paese, non si sparpagliano ma si raggruppano, tendono anzi a ricostituire sul luogo di immigrazione l'immagine della patria riunendosi secondo il Comune di provenienza, e poi secondo la regione e la nazione. L'attaccamento dei rurali alla vita locale non è un fenomeno esclusi- ' vamente italiano. E un fenomeno generale, ragione questa che ci permette · di ritenere che la prevalenza politica dei rurali sarà accompagnata ovunque da un rinvigorimento degli enti locali. La partecipazione attiva dei rurali alla vita pubblica, prima che sullo Stato, si effettuerà nei Comuni., Le f ( 1) Scrive l' AGUET, op. cit. pag. 90 : « Novanta volte su cento, se forti ragioni non li trattengono lontani{ noi li vediamo raggiungere il natìo luogo a comperare a qualunque prezzo un po• di terra perchè, nati contadini, vogliono morire contadini nel loro paese I Se nel territorio vicino c•è un pezzo di terra da acquistare a buone condizioni, il contadino non ci va perchè preferisce di stare nel proprio Comune, a~che a costo di forti sacrifici » • .Bibl1oteca Gino Bianco I

' 144 LA CRITICA POLITICA ' conseguenze non potranno essere mai illiberali. E anzi proprio a questo punto che bisogna dire che. il senso della libertà è nei rurali assai più dif- ' fuso e vivo che nelle altre classi (1). E connaturato alla loro stessa aspirazione di possedere la terra. Ciò che per gli altri è spesso una espressione rettorica, suscettibile di diversa interpretazione, è per essi una idea chiara, semplice, precisa: la libertà è per il contadino la proprietà, e cioè la piena disponibilità di sè stesso, la facoltà di disporre di sè e delle proprie cose a proprio modo senza limitazioni. « Terra e libertà '>, sono per il contadino una sola cosa, hanno un significato identico. Questo termine è stato durante un secolo, il solo grido rivoluzionario che abbia echeggiato in Russia ed è il solo grido col quale la Rivoluzione vi si rese possibile. Tutta la intuizione politica di Lenin è nell'aver capito che senza i contadini non si poteva fare. E la sua capacità di politico è consistita nell'avere ripiegato. ad un certo momento dal rigido comunismo di Stato sul terreno della realtà rurale dell'economia russa. Egli ha distrutto la proprietà e la libertà nello Stato, ma ha dovuto poi lasciare ai contadini la disponibilità della terra e la autonomia amministrativa di Comune e di villaggio (2): cioè riconoscere limitatamente ai contadini e per quel che sul momento li interessava, il loro diritto alla proprietà e alla libertà. La proprietà è la indipendenza; non solo, come dice Voltaire, << raddoppia la forza dell'uomo », ma dà il senso della dignità, della fierezza individuale. In una nazione dove la proprietà è molto diffusa pure lo spirito della libertà è molto diffuso. Ecco qua, sull'argomento, una opinione di Lubin (3), il fondatore dell'Istituto Internazionale d'Agricoltura: « La parte rappresentata nel passato, nel presente, e che sarà rappresentata nell'avvenire dal piccolo proprietario agricolo indipendente sotto il governo costituzionale a tendenza democratica, è della massima importanza per la nazione. Furono questi piccoli proprietari agricoli che dettero al mondo il Governo costituzionale a tendenza democratica ». La democrazia svizzera è stata una democrazia di rurali : è tuttora una democrazia di piccoli e medi proprietari. Per ciò è una democrazia che non ha subìto forti scosse. Ora in Svizzera i contadini non sono affatto (come potrebbe supporsi) l'elemento m~no evoluto e nemmeno quello che alla vita politica si interessa di meno. Al con• ( 1) « Amo la libertà per istinto, per natura » - scriveva Courier : Scritti di Battaglià. Ed. ltal. pag. 131. (2) Ciò si rileva pure dalla diffusa relazione che l'on. GUIDO MIGLIOLI ha ora fatto sulle soluzioni agrarie della Russia soviettista in un libro Una storia e una idea del quale mi propongo di occuparmi di proposito, prossimamente. (3) AUGUET, op. cit., pag. 56. Biblioteca Gino Bianco

I RURALI E LO STATO 145 trario i contadini svizzeri non contano analfabeti ; leggono molto ; di politica si occupano con vero fervore. Avviene anzi che le campagne diano quasi sempre nelle elezioni politiche una percentuale di votanti di gran lunga superiore a quella delle città. Il Battara, che ha scritto un ottimo libro sulla Svizzera (1), dà poi di essi questo giudizio lapidario: « Rispettano la legge, ma più la loro libertà e detestano le capitali anche perchè da esse vengono freni ». Fu detto che i rurali costituiscono un modo di vita. Si può parlare di una classe rurale con una esattezza maggiore che di una delle classi sociali sulle quali il Marxismo ha basato le sue speculazioni teoriche. In alto come in b~sso noi troviamo le stesse caratteristiche, gli stessi sentimenti, gli stessi modi di operare. Da luogo a luogo i caratteri della psiche rurale sono poco variabili : tra categoria e categoria le distinzioni sono sottilissime. Forti di carattere, persistenti, quieti, sentono molto la continuità delle generazioni. Sono cioè legati alle tradizioni, alle costumanze, alle cose che sono loro vicine, a quelle specialmente che furono care ai loro antenati. La forza delle tradizioni - nelle quali il Rensi fa consistere la soluzione del problema della autorità (2) - ha in essi un predominio assoluto. Un ordinamento statale che si reggesse sul predominio dei rurali sarebbe certamente un ordinamento meno soggetto alle variazioni e alle improvvisazioni. Lo stesso contrasto sociale è tra i rurali meno aspro, meno assoluto; sono facili i motivi di conciliazione. Le ragioni della solidarietà - come è stato osservato anche dal Sorel - sono insomma tra essi più forti delle ' ragioni di antagonismo. E per ·ciò sopratutto, che la cooperazione ha tro· vato nella agricoltura quelle applicazioni e quei risultati che non ha ottenuto nell'industria, tra i salariati, nemmeno quando trattavasi di pura e semplice cooperazione di consumo (3). La cooperazione ha potuto nella agricoltura effettuarsi o mantenersi indipendentemente dalle differenze sociali. La conclusione? Eccola, riassuntiva. Gli effetti di una partecipazione attiva dei rurali nella vita politica mi sembra debbano essere questi : una ( 1) ANTONIO BAIT ARA, La Svizzera d' ieri e di oggi, pag. ? 89, anche per le constatazioni citate più sopra. (2) Vedere la prefazione posta alla nuova recentissima edizione del suo libro su : La Democrazia diretta. (3) Il successo della cooperazione agricola deriva dall'attaccamento maggiore dei soci alla cooperazione. Il VALENTI ritiene che gli insuccessi nella cooperazione operaia « siano principalmente derivati dal fatto che i soci lavoratori non erano alla lor volta capitalisti. Non si avrà mai un buon cooperatore, se esso non ha nulla da perdere e vuole solo guadagnare ». Studi di 'Politica Agraria, pag. 5 29. Biblioteca ,Gino Bianco

146 LA CRITICA POLITICA -=-=-=-=-=-=-=-- - -=-====-=-=-=-=-=-===============--===================== diminuzione della pressione statale e quindi un ritorno indietro nella via dello statalismo; un rinvigorimento delle istituzioni locali; un senso più diffuso ed esatto della libertà; una situazione politica molto più stabile e cioè meno soggetta agli urti e ·agli sconvolgimenti. Che i rurali si sbrighino ! Su essi, su ciò che necessariamente saranno~ dobbiamo fondare le nostre speranze. E sono - se ai liberali e ai socialisti non dispiace - speranze di libertà. . OLIVIERO ZUCCARINI Nota: Sembra che gli articoli sui rurali abbiano destato un certo interesse. Se ne è occupato, in un articolo di fondo « L'ingresso dei rurali», l,A-vanti I del 26 marzo. Ne hanno riferito, in vario modo commentandoli, la cattolica Rivista Internazionale di scienze sociali e le riviste fasciste Vita No-va di Bologna e lo Stato di Napoli. Un articolo vi ha pure dedicato nel Quarto Stato uno scrittore anonimo ma che viene presentato come « un economista socialista di chiaro valore» e mi ha fatto piacere vedere come questi mi dia completamente ragione anche là dove dice di darmi torto. Infatti mi attribuisce un errore nel quale non sono affatto caduto. Non ho detto che si deve estendere la piccola coltura indistintamente a tutta· Italia, ma ho detto invece che si deve lasciar fare alle tendenze e alle iniziative spontanee. Nè ho detto che la grande impresa capitalistica non ha giovato e non giovi, ho detto invece che ha giovato e continua a giovare. Ho detto però anche che l'avvenire economico - più o meno lontano - è della piccola coltura intensiva, per quelle ragioni economiche e demografiche che ho esposto e che è inutile ripetere ad un economista. LE DUE POLITICHE COLONIALI C, è una politica coloniale da fare. L, Italia è troppo prolifica. .f/bbiamo esuberanza di popolazione: ogni anno mezzo milione di uomini devono andar fuori de,· confini a cercare in altre terre e sotto altro clima impiego alla loro atti-vità. C,è chi dice che ciò è un male. C,è chi sostiene, in-vece, che è un bene. Noi riteniamo che sia una necessità benefica. Dunque: politica coloniale. Quale politica;> .}lnche qui ci sono due opinioni e quindi due sistemi: quello della bandiera che segue e quello della bandiera che precede. [J{oi siamo per la politica della bandiera che segue. Crediamo al valore delle iniziative e delle tendenze spontanee. 'lJiffidiamo delle improv-visazioni e delle creazioni artificiali. La Patria de-ve aiutare, proteggere, difendere, se occorre, i suoi figli : si capisce. Le nostre correnti emigratorie hanno tro-vato da 3è le -vie e i luoghi delle loro preferenze, del loro tornaconto, del loro interesse. Sappiamo dove vanno, dove vogliono andare. Bisogna seguirle per sorreggerle, per tutelarle, perchè sentano 011unquel'ausilio della Patria. Per l'Italia la -via è segnata. Sappiamo cioè dove devono volgersi le nostre attenzioni, l nostri sforzi, le nostre preoccupazioni. L' .}lmerica settentrionale, l'America latina hanno attualmente colonie italiane numerosissime, di milioni di uomini. Per quelle colonie l'Italia nel passato ha fatto poco, anzi pochrssimo. Bisogna dire che se n'era quasi disinteressata. È vero che era stato istituito un Commissariato dell'Emigrazione, che in effetti rendeva poi agU emrgrantl sempre meno d,· quel che ad essi togliesse ali' uscita. I beneficl, molti benefici, di quelle colonie per la madre patria cosi si perdevano. Se non fosse stato l'attaccamento naturale degli italiani all'Italia, l'affetto dell'emigrante per il luogo natio, le nostre colonie si sarebbero imbastardite assimilandosi colle popolazioni dei luoghi d, emlgrazione. ~er i figli degli emigrati questo in parte è a\JVenuto. L, Italia si fece sentir poco tra di essi: poco con le scuole, poco con l'assistenza morale e materiale, poco con i rapporti economici di commerio. Occorre mutare metodo I Ecco tutto. Questa politica coloniale noi l'abbiamo sempre propugnata. c5'1ra l'altra politica coloniale - quella di cui abbiamo più sopra parlato - potrà giovare alla Patria ì Ci crediamo poco. fid ogni modo preferiamo la prima. È meno costosa e può rendere assai di più. Biblioteca Gino Bianco

Democrazia e movimento operaio (Appunti) Un uso convenzionale delle parole ha stabilito una graduatoria fra democrazia e socialismo, nel senso che la prima sarebbe qualche cosa di meno «avanzato» che non il secondo. Ma questa specie di distinzione è senza· f andamento. In linea generale si può, al contrario, affermare questo : che, sul terreno politico, {la storia è un altro conto) un movimento è tanto più conservatore quanto più sono vivaci in esso gli elementi economici ; e che, per cQnverso, i movimenti sono tanto più rinnovatori quanto più obbediscono a stimoli di natura idealistica. La ragione di ciò è nel fatto che i moti a base utilitaria sono suscettibili di un trattamento a base di transazioni e di compromessi ; mentre ciò non è possibile ~on le con·enti guidate da motivi ideali di portata genèrale. Non è, pertanto, niente affatto diiìcile immaginare che alcune organizzazioni operaie riformiste possano venire ad accomodamenti con altre analoghe fasciste ; le une e le altre hanno in comune, e come dato prevalente, la tutela degli interessi materiali degli organizzati. Per la stessa ragione si comprende che i partiti politici socialisti siano più resistenti ad accordi di questo genere : essi sono delle formazioni a_dispirazione prevalentemente idealistica, sebbene limitate all'ambito, pur larghissimo, di una sola classe. Ma la democrazia non può, poi, per nessuna guisa accedervi: perchè essa, essendo una corrente superclassista, mossa da principii generalissimi, è in fatto, in quanto è fedele a se stessa; una corrente di gran lunga più « avanzata >. Da un punto di vista umanitario, caritativo e subalterno, essa si preoccupa che le condizioni delle classi povere vengano migliorate; ma ciò che costituisce il suo specifico obiettivo è la soppres- ·sione, nelle classi lavoratrici, di ogni carattere di « umiltà sociale». Il suo punto di vista è nettamente libertario. Essa tende a risvegliare innanzi tutto nel lavoratore, anche traverso a privazioni materiali, il sentimento della sicurezza civica e umana ; pone a proprio caposaldo il risvegli~ della spontaneità della sua coscienza di individuo e di classe. L'autonomia dello spirito, emancipato dalle strette del corporativismo, le si presenta come il dato essenziale del movimento operaio ; e questo viene concepito come un aggruppamento, si potrebbe dire, di piccole repubbliche del lavoro. I ' Biblioteca Gino Bianco

. , 148 LA CRITICA POLITICA * * * Al di là della nozione di categoria operaia e di quella di classe lavoratrice, la democrazia pone l'idea e la pratica del « cittadino», e di qui desume il suo atteggiamento verso i lavoratori. Quando questi agiscono come tali, non hanno, in sostanza, altre armi che quelle attinenti alla loro stessa funzione di lavoro, e, più propriamente, hanno lo sciopero. Ora non è dubbia l'utilità che, in genere, esso presenta ' nei riguardi della categoria, che lo mette in azione. E, invece, dubbia la sua utilità nei riguardi degli altri settori della classe operaia : questi, infatti, possono essere avvantaggiati, e possono anche {ciò che è più frequente) essere danneggiati. L'economia conosce bene queste sorprese, ed essa conosce poi anche quali sono, per l'insieme della classe operaia, le conseguenze d'uno sciopero, non di categoria, ma generale. Questo, o implica un colpo di forza eversore o esula dal campo dell'economia ; o è un semplice sciopero economico generalizzato e allora ogni categoria perde da un lato, come consumatrice, ciò che ha guadagnato, dall'altro, come produttrice. In ogni caso il lavoratore, traverso la politica dello sciopero, matura la coscienza della propria insolidarietà sociale, e, ali' opposto, la democrazia tiene fermo lo sguardo alla visione degli interessi generali. Ma di questi non dà una interpretazione arbitraria come sempre -hanno fatto tutti i regimi dittatorii, paterni o utopistici. Essa non si affida ai freddi calcoli dell'economia intorno alla « soddisfazione massima >> di una società; e neanche alla valutazione che ne fanno delle oligarchie dominanti, che pretendono di guardare lontano. Tutto ciò è di pura marca aristocratica, o scientifica o intuitiva, e la democrazia fa invece appello al criterio tradizionale di ogni regime democratico: la pubblica opinione. Questa, convenientemente agitata e illuminata, agisce come una stanza di compensazione dei diversi punti di vista : la cura degli interessi futuri della società e la tutela di quelli presenti vi si compenetrano ; vi si fondono le ragioni della giustizia con quelle della produzione ; essa funziona come un libero anonimo e imparziale collegio arbitrale. Ma, per comparirvi dinanzi come parte in causa, i lavoratori non abbisognano che della loro qualità di cittadini, che presentano e dibattono pubblicamente i propri interessi. Lo sciopero che, sia o non sia legalitario, è sempre una manifestazione di azione diretta, non è affatto necessario per accedere alla azione mediata, espressa dal giudizio della pubblica opinione. Esso rappresenta, anzi, un fatto negativo, e quasi contraddittorio: come sarebbe contraddittorio un paese che, mentre pende su di esso un arbitrato internazionale già accettato, scoppiasse in atti di guen·a. Biblioteca Gino Bianco

. ' DEMOCRAZIA E MOVIMENTO OPERAIO 149 .. Ma, posti i problemi operai dinanzi alla opinione pubblica, randamento stesso del movimento operaio viene a mutare considerevolmente. r Fin qui, appunto perchè è stata dominata dalla nozione di sciopero, essa ha oscillato fra questi due poli: da un lato l'azione economica di categoria, e, dall'altro, l'azione politica della classe. Ma l'opinione pubblica ~ è manifestamente estranea a entrambe queste forme di attività operaia. La azione di categoria le sfugge, perchè essa non può giudicarsi che in base a criteri tecnici di impresa : e l'opinione pubblica, che si muove per grandi correnti, è, di fronte a problemi di questo genere, incompetente; nello stesso modo che sono incompetenti i Parlamenti nelle questioni di ammistrazione. D'altra parte le azioni di classe le sono estranee solo per il fatto che sono, in sostanza, azioni di forza : dinanzi a cui non ha niente da dire; come resterebbe muta, perchè impotente, dinanzi a un colpo di mano o a un colpo di Stato. Tra l'uno e l'altro tipo di azione operaia, è, pertanto, necessario adottarne uno che possa rientrare nel nuovo campo di giurisdizione pubblica ; e ciò non può farsi che raggruppando in serie di notevoli dimensioni le richieste dei lavoratori. Di tempo in tempo, ma in cicli sempre più ristretti, la situazione economica generale viene a mutare: una volta si è in un periodo ascendente, e un'altra volta si è in un periodo discendente ; in un · certo momento l'economia internazionale asseconda lo sviluppo di quella interna, e in un altro momento lo contrasta ; ecc. ecc. Al presentarsi di ognuna di queste fasi l'orientamento generale del giudizio medio sarà differente ; e ciò accade, se così si può dire, in modo quasi automatico. Il fatto economico stesso, mentre si compie, si rispecchia neUa coscienza di coloro che, attivamente o passivamente, vi partecipano; la vicenda economica diventa anche disposizione dello spirito ; nascono le correnti ottimiste J e generose ; oppure sorgono le correnti pessimiste e restrittive. Anzi il succedersi di fasi politiche liberali e di fasi politiche reazionarie può ricondursi a questo : il reazionarismo non è che il profilo politico dei periodi di crisi ; e, viceversa, il liberalismo non è che l'espressione d'uno stato di ricchezza, che consente la liberalità. Ed è evidente che, da queste grandi e diverse correnti di disposizioni di spirito che attraversano la cittadinanza, i lavoratori possono, agendo nella loro qualità di cittadini liberi, trarre la regola della propria azione : la quale sarà, volta per volta, conforme alle esigenze dell'economia e alle tendenze della maggioranza. N. MASSIMO fOVEL · Biblioteca Gjno Bianco •

.. L' '' u .' man1ta,, • IIl G. Mazzini e l'Associazione delle Nazioni (*) Umanità è il termine che costituisce la rivelazione dell'epoca nella quale entriamo (IV, 186). Tutta l'etica nuova si compie in questo concetto che, se appare l'ultimo nello svolgimento sistematico, è medesimamente il primo e il fondamentale principio dal quale e per il quale si svolge la teoria fin qui esposta. Teoria che non avrebbe nessuna giustificazione se n essa non si compiesse ; _poichènon ne è altro invero se non la determinazione e la rigorosa deduzione. Per questo dunque si può dire che l'etica dell'idealismo si assomma tutta nel concetto di umanità, com'ora finiremo di definire ; e che questo concetto costituisce il· termine nuovo, la conquista, od il valore originale di essa: la rivelazione dell'epoca nostra. Si misuri qui quanto addietro rimanga la sistemazione hegeliana alla limpida coscienza che possiede di sè il pensiero di Mazzini. Noi richiamiamo il concetto dell'umanità, come la vera, la reale e concreta definizione della legge di vita dell'uomo ; il concetto della missione dell'umanità, superiore a quella che ciascun di noi, è chiamato a compir sulla terra, la missione intera, la somma Missione di scoprire, di interpretare e rivelare la legge di Dio. « Ad ogni uomo, e ad ogni Popolo - scrive Mazzini - spetta una missione particolare la quale, mentre costituisce la individualità di quell'uomo, o di quel Popolo, concorre necessariamente al compimento della missione generale dell' «Umanità» (IV,4). Giacchè questa missione dell'umanità non esprime un universale vagante bigio e indistinto sopra il capo delle moltitudini, come immensa nube in cui per (*) Dello stesso autore abbiamo pubblicato già, nel fascicolo di febbraio, uno scritto: « La Nazione in G. Mazzini ». Quello che pubblichiamo oggi illumina il concetto mazziniano della » Umanità » che è di solidarietà tra le Nazioni~ Sono due capitoli che si completano e che sono destinati a far parte di un lavoro più ampio su La teoria ideologica di Mazzini, ancora da pubblicarsi. Per norma di chi legge, nelle citazioni, quando non v'è altra indicazione, l'A. intende riferirsi alla Edizione Nazionale degli scritti di Mazzini. Per l'opera : DolJeri dell'Uomo, citata solamente con D. si rimanda all'Edizione Daelli degli Scritti editi o inediti voi. XVIII. Questa stena edizione è indicata, per gli altri scritti, con la sigla Sei. Biblioteca Gino Bianco

' ' .. 1 L' « UMANITÀ » IN G. MAZZINI E L'ASSOCIAZIONE DELLE NAZIONI J 5 J potere naturale si condensino le manifestazioni delle particolarità ; ma è di queste particolarità la vita, la storia, lo spirito e la verità, e però non si compone fuori di esse come l'ordine sopra il caos, ma vive immanente ad esse, che reca, trascendendone la singolarità senza valore, dalla contingenza ' alla necessità,. dall'arbitrio alla libertà. E autocoscienza questo universale còmpito dell'umanità, ossia la storia dell'uomo; non si compie per decreto· di fato o potenza naturale bruta, non si compie per determinazione divina che non sia anche volontà uma:na { umana, diciamo, non del singolo uomo) ; è dovere e missione umana. Si valuti bene in tale profondo e suo essenziale valore il concetto di umanità, come la più vasta manifestazione, l'integrale espressione del principio di associazione. jlssociazione umana aggiunge appunto al concetto antico dell'umana società il principio dell'autocoscienza : La società - dice Mazzini - è un'associazione di la'Voro (VII, 180). Come parimenti missione è nel senso istesso la' più profonda determinazione del concetto di dovere. Qui di nuovo e più compiutamente è dato intendere come Mazzini dicesse essere la nazionalità la definizione della particolare missione d'un Popolo. Principio questo di Mazzini che non s'è inteso nel suo rigore fin'ora, mentre, come noi crediamo d'aver mostrato, è veramente la retta espresssione dell'idea di nazione e di stato come è da .dedurre dai sommi principi metafisici dell'idealismo. L'umanità s'ignorava dagli antichi pagani, che partivan gli uomini in liberi e schiavi, eletti di natura alla libertà o marchiati del servaggio. Come non era l'universale, la cristiana eguaglianza degli uomini· in una società divisa in schiavi e liberi, non era nemmeno l'eguaglianza tra i liberi, poichè non è questo invero principio che si possa stringere in cerchio ristretto di uomini, ma concetto razionale, di valore universale. Ogni nazione chiamava barbari gli stranieri, nè tendeva ad avere con essi altra sorta di relazione che non s' impones~e colla forza delle armi. Cristo amplia il ristretto cerchio morale degli antichi per l'universalità ·degli uoniini, cangia aspetto al mondo, preponendo alla sua credenza due verità inseparabili: [/\[on v'è che un solo Dio, tutti gli uomini sono figli di Dio: « Ai doveri verso la famiglia e verso la patria s'aggiunsero i doveri verso l'umanità. Allora l'uomo imparò che dovunque ei trovava un suo simile, ivi era un fratello per lui ». E predicarono gli Apostoli parole sublimi, inintelligibili ali'antichità, « male intese - dice Mazzini - o tradite anche dai successori: siccome in un corpo sono molte me-mbra, e ciascun membro eseguisce una diversa funzione, cosi, benchè molti, noi siamo un corpo solo, e membra gli uni degli altri. E vi sarà un solo o'Vile e un solo pastore ». (D. IV, 52-2). NondiBiblioteca Gino . 1anco

152 LA CRITICA POLITICA meno• il cristianesimo, che predicò il principio dell'unità della società umana, disconoscendo il regno terreno - per non aver inteso forse. le parole di Cristo - non conobbe veramente il concetto di umanità altro che in una forma rozza e indistinta. Il concetto idealistico, che pure si presenta come la integrazione e lo sviluppo del principio cristiano, è concetto in verità interamente nuovo. Ogni nuova verità conquistata si manifesta nella storia come l'approfondimento e lo sviluppo d'una verità antecedente da cui trae; ogni nuovo grado che il pensiero raggiunge nell'eterna ascesa dello spirito è un avanzamento degli altri gradi, sui quali solamente si fonda e si sostiene; così è per l'unità progressiva della storia, come si deduce dall'unità di Dio ; non è meno per questo ogni passo innanzi una reale conquista e la scoperta d'un nuovo vero. « Il Cristianesimo è la formula dell'individuo - scrisse una volta Mazzini - e come tale eterno e perfetto per me : per ehè quella formula nessuno può annientarla: vale libertà ed eguaglianza, e chi può escludere mai quelle due basi d'ogni progresso dal progresso futuro ? Il Cristianesrmo dunque rimarrà: soltanto dietro quella formula se ne cerca un'altra, la Sociale » • (Ep. a Pallia, X, 80). Al principio indi~iduale sottentra per la nostra filosofia il principio dell'associazione, ch'è principio sociale. Si tratta per essa di sostituire un nuovo principio al dogma cristiano della grazia, perchè la legge di Dio si compie sulla terra per l'opera faticosa e grave, degli uomi:1i. Il Cristianesimo, ignorando il principio di associazione, non conobbe · che p1imo articolo della Legge è Progresso (Cfr. D, IV, 52), Si ponga mente qui ancora una volta, dove ritorniamo su di un punto sul quale già ci siam fermati, come, nonchè riecheggiare semplicemente una parola che allora si ripeteva da tanti e suscitava il fervore delle discussioni, derivi Mazzini tale principio µal più profondo della critica idealistica ; onde bene sentì il bisogno di scrivere una volta ; « cette loi du progrès, seule loi di- . vine et universelle, que tout le monde bégaie aujourd'hui, mais dont la véritable intelligence est encore si rare» (VII, 425-6). Però è vero certamente che la nostra filosofia, se tanto a fondo può spinger la sua critica ai principi cristiani, preannuncia sicuramente la necessità di una nuova sintesi religiosa. Il nuovo concetto di umanità significa che la scoperta progressiva della legge, la conoscenza progressiva del vero, è l'opera e la fatica degna degli uomini. Nè la formula dell'individuo è capace di tale svolgimento - ecco i limiti della dottrina cristiana - ; a questo c<;>ncettoè dato giungere solo attraverso il nuovo principio, quello dell'associazione. Qui cade la critica al cosmopolitismo, concezione insufficiente ed erronea che si confina nell'ambito angusto della formula individuale; e che Biblioteca Gino Bianco

., L' « UMANITÀ » IN G. MAZZINI E L'ASSOCIAZIONE DELLE NAZIONI J 5 3 =======:==========================-===~================== nelle sue forme più pure, recando ali' applicazione nell~ politica di principi . cristiani, se antica è già d'assai più secoli nella sua formulazione, appartiene propriamente nel quadro storico alla fatica grandiosa del secolo XVIII, che nelle sue dottrine politiche parve voler inverare e compendiare in uno sforzo gigantesco il pensiero di XVIII secoli di storia, e recarlo in atto nella società terrena. La concezione cosmopolitica ha Ìn tal modo un suo proprio e certo grande valore storico, del quale non è possibile non tener conto. E pure è concezione interamente avanzata dai principi idealistici. I Credo - scrive Mazzini - sostenendo il suo concetto dell'unità umana come dell'associazione di nazioni, .« credo che questa parola cosmopolitismo implichi una idea molto più vaga e irrealizzabile, che non quel~a di Nazionalità {XXXVI, 34). « Per noi, il fine è l'umanità; il fulcro o punto d'appoggio il paese. Per i cosmopoliti il fine, lo ammetto liberamente, è pure l'umanità; il fulcro o punto d'appoggio, è l'uomo, l'individuo. A questo si riduce quasi tutta la differenza tra noi e i Cosmopoliti, ma è - dice bene - una differenza ~apitale ». (ivi, 35). Ebbe la sua ragione e la sua funzione storica il cosmopolitismo, reazione al diritto divino delle monarchie feudali : « protesta contro una nazionalità regia, contro una Patria senza popolo, sorse il cosmopolitismo a .negare nazionalità e patria, a non vedere che la terra e l'individuo» (SEI X, 125; cfr. XXXVI, 43); poi non tardò a degen«iare in una forma · gretta di materialismo. « Il cosmopolitismo c;ancellando il termine intermedio tra individuo e umanità sottraeva il punto d'appoggio alla leva che volea porre in moto », poichè invero umanità senza nazioni non _può esjstere (SEI X, 125-6). « Senza Patria, non è possibile ordinamento alcuno dell'Umanità. Senza popoli non può esistere Alleanza dei Popoli. E questi popoli devono stringerla leale e' durevole, essere liberi ed eguali, avere coscienz~ di sè, affermare la propria individualità e il proprio principio: essere insomma nazione. L'Umanità è il fine : la Nazione il mezzo: senz' essa, potrete adorare, contemplatori oziosi, l'Umanità, non costituirla o tentarlo (SEI XVII, I62). Così è che, come dice in altro luogo, « la questione della ;J{azionalità, intesa a dovere, è identica coli'Alleanza dei Popoli, con un equilibrio tra le nazioni fondato su nuove basi, coli' ordinamento del lavoro europeo, « {SEI VIII, 190), col concetto cioè idealistico dell'umanità, come verremo innanzi determinando. Si ponga mente di fatti, ·come « l'idea generatrice della Nazionalità è l'ordinamento in gruppi omogenei dell'Umanità sulla via del compimento d'un dovere comune » (SEI VIII, 42). Come dimenticare l' umanità sarebbe sopprimere ogni intento al lavoro, cancellare la nazione sarebbe un sopprimere lo strumento col quale solamente può esser dato di raggiun-~ gere l'intento (SEI VII, 223). Biblioteca Gino . 1anco

154 LA CRITICA POLITICA Si tratta in verità di tutta una nuova e sistematica concezione etica la quale, ben si compendia nel concetto dell'umanità come l'associazione delle Nazioni; giacchè « il fine comune non dev'essere quello di confondere i popoli in onta a ciò che serbano di distinto : bensì d'affratellarli per quanto essi• hanno di comune » (Il, 268). Tuttavia la via per giungere a questa mèta, s'è chiusa solamente colla scoperta del principio dell'associazione ignoto alla mente dei cosmopoliti (cfr. _XXXVI, 35 e VII, 36-7). ' E solo movendo da cotesto principio che ci è dato determinare nel suo vero il concetto di umanità: « Il culto dell'Umanità non esclude quello della Patria, lo esige. Non vi è lavoro comune senza divisione di lavoro. L'Umanità non può esistere ordinata, attiva, unita in un lavoro di progresso senza associazione ordinata fra le Nazioni che sono gli individui dell'Umanità (SEI, XV, 45): « La patrie et l'humanité sont deux degrés de l'échelle · qui mene les hommes à Dieu. Brisez..en un ; vous flotterez sur l' abime » (VII, 49). Anche noi, dice Mazzini, sempre rivolgendosi a quanti s'attengono alla rozza concezione cosmopolitica, anche noi miriamo ali' uomo, ma invero « ali' uomo nel pieno attivo sviluppo di tutte le sue facoltà, di tutte le sue forze, all'uomo intelligente, amante, volente,· capace di salire per sè e per gli altri le vie del progresso, ali' uomo centro e interprete del concetto d'armonia che Dio ha infuso nell'universo e incarnazione della Legge Morale ». Unica via per giungervi - noi lo conosciamo e l' abbiam detto - è l'associazione {SEI XVII, 161); in essa solamente all'individuo si potrà rile.vare un fine speciale, posto sulla via del fine generale e tale eh' ei possa colle sue forze, .tanto piccole e ~eboli in apparenza, di fronte al còmpito dell'umanità, e sappia realizzare come deve {ivi, 162..3). L' umanità, quasi Santa Alleanza dei Popoli, è la forma più vasta dell'associazione (cfr. VI, 315). Alla formula individuale che definì, si può dire, un'epoca della storia è sottentrata una formula sociale a definire un'epoca nuova; così sottentra al cosmopolitismo l'associazione delle nazioni : « Il periodo del cosmopolitismo è ovunque compito, comincia il periodo dell'Umanità: or la umanità è l'associazione delle patrie, è l'alleanza delle nazioni per compiere, in pace e amore, la loro missione sulla terra >>. (SEI, V, 19, cfr. XXXVI, 44). « Un nouveau dogme - scrive Mazzini con accento religioso - le dogme des peuples frères, le dogme de· la sainte..alliance des peuples, le dogme de l'humanité a paru » (IV, 315). In pace e amore le nazioni devono compire la loro missione sulla terra : sorridano gli apologeti e i divinizzatori della guerra: che nulla hanno inteso del nuovo pensiero. Gli· uomini delle antiche repubbliche - dice Mazzini - avevano schiavi, non intenBiblioteca Gino Bianco

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